RENZO FRANCABANDERA | Lo storico trimestrale di cultura teatrale Hystrio, diretto da Claudia Cannella e a cui collaborano critici teatrali di tutta Italia, dallo scorso anno ha avviato un nuovo percorso che mira a consolidare ma anche a dare il senso di una presenza attiva e di sostegno alla promozione del codice teatrale, in particolar modo per le giovani generazioni: si è così tenuta dal 13 al 18 settembre, al Teatro Elfo Puccini di Milano, la seconda edizione di Hystrio Festival, progetto interamente dedicato alla scena italiana under 35.

Un programma fitto con 8 spettacoli, 5 letture sceniche di drammaturghi under 35 e gli eventi legati all’edizione di quest’anno del Premio Hystrio che viene consegnato proprio nella giornata di oggi ai vincitori. Quest’anno i Premi Hystrio sono andati a Lino Musella, Lisa Ferlazzo Natoli, Emanuele Aldrovandi, Nuovo Teatro Sanità, Zaches Teatro, Les Moustaches,Supplici, regia di Serena Sinigaglia, e il Premio Mariangela Melato a
 Alessandro Averone e Roberta Lidia De Stefano.
Per i 40 attori under 30 finalisti del Premio Hystrio alla Vocazione il weekend è stato frenetico, con
le audizioni di ciascun candidato da mattina a pomeriggio inoltrato, uno dopo l’altro. Sembra un po’ come in quella serie tv di tanti anni fa, Saranno famosi, con i ragazzi – tipicamente già diplomati e con qualche esperienza di scena – a presentare davanti a una giuria di registi e direttori di teatri un paio di monologhi e poi una canzone o una poesia. Si preparano sulle scale del Teatro dell’Elfo, la tensione è palpabile. Chi fa training, chi ripassa, chi fa finta di restare disinvolto. 

Un riconoscimento se lo è aggiudicato ad esempio Camilla Dania, con la mise en espace del suo Ma-Donna, testo vincitore del Premio Hystrio-Scritture di Scena 2023.

Ci sono poi le letture sceniche, a cura di Tindaro Granata, organizzate in partnership con l’Associazione Situazione Drammatica/Progetto Il copione per la promozione della drammaturgia contemporanea. Create sul modello dei table read di matrice anglosassone, le letture sceniche sono un’opportunità d’incontro tra autori, attori e pubblico per svelare le dinamiche che portano alla messinscena di un testo. Gli spettatori, dotati del copione, seguiranno la lettura degli attori, con i quali, insieme all’autore, parteciperanno a un dibattito sul testo e sulla sua messinscena.

La sezione spettacolo, grazie alle collaborazioni con il Premio Scenario e Forever Young/La Corte Ospitale, vede le compagnie under 35 vincitrici delle due manifestazioni proposte ad anni alterni. Dal 2022, inoltre, Hystrio è partner del progetto Next di Regione Lombardia, Fondazione Cariplo e Agis Lombardia, che – tra i suoi obiettivi – sostiene le giovani compagnie lombarde nella distribuzione degli spettacoli.Vastissima la rete di collaborazioni che hanno contribuito a comporre la programmazione: Associazione Scenario – Forever Young/La Corte Ospitale – Next/Regione Lombardia-Fondazione Cariplo-Agis Lombardia – Associazione Situazione Drammatica/Progetto Il copione – PAV/Fabulamundi Playwriting Europe – In Scena! Italian Theatre Festival New York – Fondazione Romaeuropa – Festival di Tindari – Bonawentura/Teatro Miela – Pergine Festival – Premio Mariangela Melato.

Fra gli spettacoli visti, di cui abbiamo già raccontato qualcosa e altro a breve racconteremo, parliamo qui de Il mio corpo è (come) un monte di Giulia Odetto, che vede l’artista in scena con Lidia Luciani e Daniele Giacometti. La creazione parte dall’espressione di un desiderio razionalmente irrealizzabile: voler essere una montagna.


La Odetto occupa una postazione di regia in scena, posta sul lato destro del palco, un parallelepipedo grigio che nasconde gli strumenti tecnologici e il loro inquinamento luminoso per la sciare la visione incontaminata da questo elemento: un primo elemento di cura nella pulizia dello sguardo che è questione connotativa dell’intero lavoro. L’uso di differenti tipologie di materiali visivi e sonori sono infatti l’elemento connotante della performance, che è praticamente priva di testo, eccezion fatta per alcune battute iniziali che ribadiscono di fatto il titolo della creazione e il desiderio irrealizzabile di farsi montagna. Scorrono immagini in bianco e nero di panorami rocciosi. Un cumulo di grandi pietre di forma rettangolare occupa il lato sinistro della scena, in corrispondenza del quale è situata la postazione dell’operatore video, che inquadra le rocce stesse e di lì a poco, con un’indagine quasi disumana per il dettaglio macro, anche il corpo della performer Lidia Luciani che espone la sua geografia fisica ad un’indagine estrema. L’invito del collettivo al pubblico è quello è quello di abbandonare la fruizione logica per accedere a modalità di visione immaginifiche. Accogliendo l’invito e tuffandosi nelle bellissime inquadrature proiettate in gigantografia sul fondale, davvero si arriva a immaginare la superficie delle scapole della artista come fosse un lontano pianeta perso nel buio siderale, il suo corpo come appartenente a una biologia umana e animale insieme, la trama del suo tessuto epidermico come quello di una terra desertica.

Il viaggio ipnotico attraverso il movimento di questo irrealizzabile desiderio di corrispondenza prosegue con intervalli fra l’azione scenica e momenti di piccola coreografia, accompagnati dalle appropriate sonorità vocali ed elettroniche eseguite dal vivo della Odetto.
Il nitore formale è straordinario, come pure il corpo della performer, che si offre quasi completamente nudo allo sguardo, incredibile nell’incarnare il ruolo di alterità espressiva ora umana, ora disumana.
La creazione si apprezza per la sua peculiarissima originalità e compattezza (eccezion fatta per un finale più danzato meno organico con quanto precede), e si distingue visibilmente per cura e pulizia rispetto a tanta nuova performatività, inserendosi in un filone ormai individuabile per il quale le vecchie categorie di teatro, danza, teatro-danza risultano obsolete, di fronte a quella che Negroponte prima e Murdock poi, hanno definito come convergenza dei media, ovvero quel processo di progressiva fusione e ri-mediazione dei messaggi e dei linguaggi, che ne arrivano a creare uno nuovo, unico, in cui tutto converge senza più poter distinguere l’uno dall’altro. E in questo lavoro, con intelligenza, per grandissima parte, l’operazione limpidamente riesce. Importante il riscontro del pubblico.

 

IL MIO CORPO È COME UN MONTE

di Collettivo Effe/Giulia Odetto   
drammaturgia e aiuto regia di Antonio Careddu
Ambientazione sonora di Lorenzo Abattoir
Luci di Daniele Giacometti e Elena Vastano
Con Lidia Luciani, Daniele Giacometti, Giulia Odetto
produzione Romaeuropa Festival e Mirabilia International Circus