RENZO FRANCABANDERA | Il Teatro Olimpico di Vicenza è in Italia un’ambientazione unica per chiunque viva di teatro. Recitare nella incredibile struttura del Palladio, connotata da una ricchezza di presenze statuarie e architetture già insite nella scenografia voluta dal grande architetto veneto, significa trovarsi dentro un rito con una geografia simbolica molto ricca e in qualche modo ancestrale.
Dal 1934 è sede di uno dei più antichi cicli di spettacoli classici, un programma di rappresentazioni teatrali dedicate al teatro classico, arrivato quest’anno alla 76esima edizione, ospitando i massimi interpreti del teatro italiano e internazionale. Da alcuni anni è direttore artistico della rassegna Giancarlo Marinelli.
La rassegna degli Olimpici va in scena fra fine settembre e inizio ottobre: ogni artista è chiamato a integrare il proprio segno dentro questo ambiente connotato ma a suo modo capace di aggiungere ricchezza poetica.
Circe porta la firma alla regia e alle scene di Giuseppe Dipasquale, ex direttore dello Stabile di Catania e della Scuola d’Arte Drammatica “Umberto Spadaro” di Catania, e attualmente direttore artistico del Barbablù Fest di Morgantina e del Festival delle Ville Vesuviane di Ercolano.
Il monologo è affidato all’interpretazione di Viola Graziosi e fa parte di una trilogia di cui sono parte anche i precedenti Clitemnestra e Medea, opere di Luciano Violante, magistrato, ex Presidente della Camera dei Deputati, presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine.

Con Circe, ultima figura mitologica del progetto di scritture prodotto da Teatro di Roma,  Violante chiude una riflessione sulle donne di sangue e giustizia, dedicando l’ultimo atto alla dea-maga figlia del dio Sole, simbolo della seduzione, ma che l’autore pare interpretare come sacerdotessa del dolore, capace di arrivare a sondare le profondità dell’animo altrui, nel gioco degli specchi con cui si rivela l’identità.
Il testo si sviluppa in due ideali parti: la prima in cui, con un piglio quasi à-la-Borges, in un attraversamento fuori dal tempo e dallo spazio, la protagonista incontra personaggi la cui esistenza è stata segnata dal dolore. Fra queste figure anche la poetessa russa Achmatova, Giuda Iscariota, Medea stessa. La seconda e più ampia parte della vicenda è invece dedicata all’incontro omerico con Odisseo.
Il personaggio mitologico, di cui vengono rievocate le caratteristiche letterarie nel testo di Luciano Violante, viene interpretato appunto da Viola Graziosi, attrice di grande e robusta esperienza scenica che ha praticato con impressionante continuità i grandi classici del teatro di sempre, dalle tragedie greche fino alle sue riletture nel teatro contemporaneo, così come i maggiori drammaturghi del tempo presente (è stata fra le prime interpreti in Italia anche di Jon Fosse, il recente premio Nobel per la letteratura, con Sogno d’Autunno per la regia di Alessandro Machìa, 2011). Alla sua interpretazione sono state affidate tutti e tre i personaggi femminili della trilogia.

All’ingresso del pubblico in teatro, lo spettatore trova già una piccola pedana che occupa il centro della scena sormontata da un vestito in cui domina una lunga gonna dall’andamento quasi a ragnatela, di tessuto che alterna strisce di colore blu Prussia a un grigio freddo. La parte superiore di questo vestito è invece una stola di colore giallo caldo, che scende sui due lati della gonna. Dalla gonna sbucano due scarpine, quasi a creare una postazione manichino che infatti l’interprete andrà a occupare nei pochi secondi di buio che precedono l’inizio dello spettacolo.
Ispirazione pressoché integrale di questa scelta scenica e di costume è il bellissimo dipinto dedicato a Circe di Umberto Bottazzi (1865-1932), uno dei massimi pittori romani della prima metà del secolo scorso, un eclettico interprete tanto dello Jugendstil quanto del simbolismo. Il quadro è una delle sue opere più tarde, del 1931, e raccoglie le profonde suggestioni dell’arte del nuovo secolo con mirabile nitore cromatico ed espressivo.
Con l’avvio della recita lo sguardo si completa con una sorta di tappeto dalle colorazioni marine che lascia quindi immaginare la pedana sormontata dalla veste come un’isola dentro al mare (rievoca appunto la mitica isola di Eèa, individuata nell’Odissea come dimora della maga Circe e che prendeva il nome da Eos, aurora, ovvio legame con l’ascendenza paterna solare). Alle spalle di questa ambientazione, in secondo piano, a fare da fondale, uno schermo di forma ovoidale allungata nel senso della larghezza, quasi un enorme occhio alle spalle della protagonista.
L’attrice con un importante trucco al volto che potremmo avvicinare a certi maquillage in stile Callas, per creare un riferimento epico, assume una posizione ieratica, ponendo le mani una sull’altra e infilandosi dietro il vestito. Viene così dato corpo al manichino, che esce dalla sua dimensione assoluta per incarnarsi nella recita, per inserirsi e mescolarsi dentro la grammatica del mito e creare l’ambientazione poetica in cui lo spettatore viene immerso.
Alle spalle vanno in scena, dentro il grande occhio ovoidale, video retroproiezioni che hanno un andamento alternato di presenze umane, sebbene in fotografie al negativo e quindi imprecise nella lettura dello sguardo, e altre sequenze di portata quasi lisergica, che invece sono rimando a liquidità informali, colori che si mescolano l’uno nell’altro, dalle tinte accese, spesso fluorescenti.

ph Roberto De Biasio

L’interprete crea un mélange di registri vocali che alternano il discorso indiretto, reso con una lingua sospesa fatta di pause e di dizioni più espressioniste e contemporanee, al discorso diretto in cui i dialoghi si intrecciano con una dizione normale.
Le voci degli dèi, invece, sono amplificate con una leggera distorsione-eco che ne esalta il tono enfatico. Graziosi, coperta nella sua corporeità per gran parte della recita dalla lunga postazione vestito, rende il personaggio praticamente solo con il volto e la voce, oltre che con la minimale gestualità delle mani, racchiuse in una posa composta che solo di tanto in tanto trova interruzione. Pare un personaggio a tratti beckettiano, una Winnie incastonata nel suo destino.
Le riprese video che si alternano e fanno da contrappunto alla narrazione verbale sono creazioni in parte digitali e in parte riprese video che in alcuni momenti rimandano all’archivio personale dell’interprete nei suoi più celebri attraversamenti dei classici, fino all’arrivo di Odisseo (in video Graziano Piazza).
Proprio con il sopravvenire della figura dell’eroe di Itaca, Graziosi lascia la sua postazione al centro della scena per muoversi e rivelare agli spettatori una corporeità denudata e scarnificata quasi animale, con un costume fatto di una tuta di colore candido irrobustito nella parte del busto da una sorta di scheletro che ha sulle spalle una serie di aculei che ne disegnano un sembiante ferino post-punk. Un segno corporeo molto carico, la cui lettura resta meno immediata.
Nel momento dell’avvento del re di Itaca alla sua corte, la donna lascia il centro della scena per portarsi dietro la superficie di proiezione, giocando con la sua ombra, in uno dei momenti più evocativi e poetici dello spettacolo, la combinazione fra l’ombra dell’interprete stessa e la videoproiezione, con cui l’attrice interagisce in modo lieve e delicato mentre la sua voce arriva off. Questa interessante formula narrativa verrà poi utilizzata in sequenze successive, soprattutto quelle in cui viene raccontato dell’amore fra la protagonista e l’eroe omerico.
Il testo, pur con qualche barocchismo, è ricco; mantiene un coerente registro lirico e un  proprio ritmo drammaturgico, più criptico nella prima parte ma che non scade di tono e rimane organicamente poetico.
La recitazione è profonda e intensa, tanto che a fine recita il pubblico tributerà alla attrice un lunghissimo applauso, mentre il codice video, pur a tratti originale, prende troppo lo sguardo, creando una contro-narrazione che però pecca di scarsa omogeneità stilistica, fra visioni psichedelico-digitali e scene più romanzate e romantiche, in non pochi casi didascaliche.
L’operazione resta comunque interessante: la regia guida l’attrice nella resa di un testo che necessita di una intensa interpretazione vocale e gestuale ed è quello che la Graziosi restituisce nell’ora di recitazione.

ph Roberto De Biasio

La complessità di questo personaggio rivelatore dell’indole profonda, un po’ come in Stalker di Tarkovskij, si spiega proprio con alcune battute centrali, quelle in cui Circe chiede all’antagonista Odisseo di specchiarsi. Lo specchio, offerto a Ulisse ma metaforicamente agli spettatori, restituisce quello che siamo: “Questi specchi sono i miei occhi. Essi rivelano la vostra essenza. Non si specchia chi sa di non essere innocente (…) Serve coraggio di donna per affrontare se stessi”, per riuscire davvero ad affrontare il buio che alberga nell’essere umano.

CIRCE

drammaturgia Luciano Violante
regia e scene di Giuseppe Dipasquale
con Viola Graziosi
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale