MATTEO BRIGHENTI | «Non fare meno, ma fare meglio». Francesco Perrone ci tiene a essere chiaro fin da subito. In-Box estende la sua azione sull’arco di 24 mesi per «smettere di rincorrere tempi a nostro avviso troppo frenetici: fare un passo di lato – continua il coordinatore del progetto insieme a Fabrizio Trisciani – per osservare meglio il panorama, con una visione di insieme più ampia, e di conseguenza operare con più efficacia».
Il bando In-Box 2024/25, dedicato alla prosa, che prevede 91 repliche in palio per 8 spettacoli finalisti, è appena uscito, mentre il bando In-Box Verde, dedicato al teatro ragazzi, uscirà a giugno 2024. «Attenzione – precisa Perrone – significa comunque che tutti gli anni uscirà un bando, In-Box o In-Box Verde, e che tutti gli anni si terrà In-Box dal Vivo. Avere più tempo toglie pressione agli artisti e soprattutto dà modo ai partner/giurati di effettuare una selezione ancor più accurata».
Siamo partiti da qui, da un’evidente novità per la rete di sostegno del teatro emergente italiano di qualunque età (non solo under 35), per poi allargare lo sguardo e la riflessione al sistema teatrale nel suo complesso. E quindi, a ciò che novità non è affatto. Anzi, resta lì a ricordarci quanto ci sia bisogno di un progetto che fa emergere artisti e spettacoli «significativi a livello di ricerca formale e contenutistica, ma ancora poco conosciuti, e più precisamente che abbiano fatto poche repliche». Perché non essere visti è come non esistere.

In-Box, come abbiamo detto, estende la sua azione sull’arco di 24 mesi. C’entrano motivazioni di risparmio economico/gestionale?

Non le definirei di risparmio: si tratta di ottimizzare le risorse a disposizione. Lavorare su un bando all’anno significa destinargli tutte le risorse di quell’anno. Io lo vedo come un arricchimento, un’intensificazione dell’azione su quel “pezzo” del progetto. Non parlo solo di risorse economiche o umane. Parlo anche di avere più tempo per sviluppare pensiero: i partenariati di In-Box, che complessivamente contano circa 90 soggetti, sono un prezioso meccanismo di intelligenza collettiva. Vogliamo darci la possibilità di farla funzionare al meglio e per fare questo è necessario avere del tempo di riflessione e confronto.

Foto di Costanza Maremmi

Che risultati vi aspettate?

Stare in maniera più sostenibile all’interno dell’ecosistema teatrale italiano, effettuare la nostra opera di selezione con più calma, dare la possibilità a più compagnie di arrivare a In-Box dal Vivo, dare loro un numero medio più alto di repliche pro capite: quest’anno nel bando In-Box, che complessivamente ne mette in palio 91, siamo passati da 10 a 11 e questo dato crescerà ulteriormente con le prossime edizioni.
Potremo inoltre pensare ad azioni collaterali di accompagnamento delle compagnie selezionate che vadano oltre le tournée. Lo consideriamo l’inizio di un percorso. Semplicemente ci aspettiamo di riuscire a lavorare meglio per promuovere efficacemente la scena emergente.

Ambite a selezionare una rosa di spettacoli capace di rappresentare al meglio il tempo presente. Quale “tempo presente” avete disegnato fino a oggi?

Non è univoco e non cerchiamo opere che siano a tutti i costi “attuali”. Anzi, da sempre i bandi In-Box e In-Box Verde non annoverano paletti tematici fra i loro criteri di selezione. La fotografia della scena contemporanea che emerge da questi anni è frastagliata e vitale. Pensando alle selezioni del bando In-Box degli ultimi anni, una tendenza che individuo è il tentativo di alcuni artisti di riconnettere, ciascuno con una specifica cifra stilistica, il proprio vissuto personale (la precarietà esistenziale, familiare e lavorativa, la salute mentale, “l’ansia climatica”, le questioni di genere, il razzismo) con la dimensione collettiva e politica. Penso a spettacoli come Questa splendida non belligeranza di Marco Ceccotti, Apocalisse Tascabile di Fettarappa Sandri/Guerrieri, Still alive di Caterina Marino o Sid di Cubo Teatro. Non è l’unica tendenza, ma è sicuramente presente.

Foto di Costanza Maremmi

Com’è cambiato, in sintesi, da quando è nato il Premio?

Non è facile rispondere senza essere banali, specie in tempi fluidi e frenetici come quelli in cui viviamo. Limitandomi all’ambito teatrale, una risposta più pessimista potrebbe essere che non è cambiato molto, che i problemi sistemici rimangono, che sono sempre tanti gli artisti che guardano a noi come a una possibilità quasi unica di far arrivare al pubblico le proprie opere. Essendo io un pessimista con scarsa memoria dirò che, invece, diverse altre valide esperienze di sostegno agli artisti emergenti in questi anni sono nate (la prima edizione di In-Box è del 2009), che probabilmente c’è una consapevolezza maggiore delle mutate esigenze degli artisti e che, tornando a In-Box, tanti spettacoli che rischiavano di rimanere nel dimenticatoio hanno avuto invece una vita, e hanno contribuito a “dare gambe” alla carriera professionale delle compagnie che li hanno prodotti.

I temi della qualità e della visibilità si legano a quello della sostenibilità economica: condizioni economiche dignitose in contesti adeguati. Come si è arrivati, in sintesi, al sistema attuale fatto di condizioni non dignitose e contesti inadeguati?

In estrema sintesi: iperproduzione, pochi spazi di visibilità per replicare e testare con il pubblico gli spettacoli, scarsità di risorse economiche, specie per gli artisti, troppo spesso messi all’ultimo posto della filiera, benché ne siano l’elemento essenziale. Allargando la visuale, una domanda che esiste, ma andrebbe stimolata di più e meglio, è la difficoltà del teatro emergente – del teatro tout court? – di vedere riconosciuto il proprio valore. Senza riconoscimento, che significa anche un quadro normativo al passo con tempi e tutele adeguate per i lavoratori dello spettacolo, e senza risorse non c’è possibilità di crescita. E la mancanza di risorse, non solo economiche (penso ad esempio alla formazione delle maestranze) incide in maniera significativa sulla ricerca artistica.

Foto di Costanza Maremmi

Il vostro obiettivo finale è dunque una riforma del sistema? 

In-Box nasce dalla frustrazione vissuta alla fine degli anni 00 da noi di Straligut in prima persona. Una frustrazione che deriva dal constatare con quanta fatica gli artisti emergenti (non) arrivino al pubblico, possibilmente vedendo ricompensato il proprio lavoro. Il teatro esiste quando incontra il pubblico, quando incontra “l’altro”, ed evolve quando ci si confronta molte volte e in contesti diversi fra loro. Da qui la scelta di sostenere la circuitazione e non la produzione, togliendo pressione agli artisti, non chiedendo debutti o anteprime, dando respiro al repertorio (dell’ultimo triennio).
Permettimi un rapido excursus: è opportuno ricordare che nonostante In-Box abbia due reti molto ampie di partner e che facciano parte di queste reti anche soggetti importanti come festival, teatri storici o circuiti regionali, si tratta di un progetto che si basa in buona parte sull’autofinanziamento; che tutti i partner, grandi o piccoli, versano la stessa cifra e hanno medesimo diritto di parola e voto; che il progetto ha come capofila una realtà medio-piccola come Straligut Teatro; e che non riceve un finanziamento ministeriale particolarmente alto (ma fondamentale; appello lampo: che il FNSV aumenti le risorse a disposizione della Promozione!).
Siamo dunque consapevoli di non poter riformare il sistema da soli, speriamo di rappresentare una buona pratica e un valido aiuto per artisti e compagnie.

Il progetto esiste perché siamo in Italia. In un altro Paese, un Paese “normale”, ce ne sarebbe bisogno? 

È una riflessione che abbiamo fatto spesso anche noi. È evidente che In-Box ha successo anche perché interviene su alcune criticità del sistema teatrale italiano. In un sistema che funzionasse meglio probabilmente In-Box potrebbe esistere con funzioni analoghe, ma non identiche: lo stimolo alla circolazione delle opere sarebbe comunque utile ma ci si potrebbe concentrare ancor più sul ricambio generazionale. Oppure sulla dimensione internazionale: cosa che intendiamo fare in ogni caso.

In-Box lavora per il cambiamento. Possiamo dire che, per certi versi, lavora al suo stesso superamento? Succederà mai?

Non mi auguro “l’estinzione” di In-Box: tenere dritte le antenne per intercettare e sostenere la qualità sommersa è sempre utile, anche in contesti più ricettivi del nostro.
È però auspicabile che cambi radicalmente il quadro generale in cui si trova a operare: passare dal sostenere le compagnie affinché possano esistere a sostenerle, perché vivano e lavorino meglio, sarebbe già un grande risultato.

Foto di Costanza Maremmi