MATTEO BRIGHENTI | «Una mappa unica per orientarsi nella scena di oggi». Massimo Marino ha sotto gli occhi ogni giorno il primo ricordo del Teatrino dei Fondi di San Miniato, in provincia di Pisa: sono i volumi stampati dalla casa editrice Titivillus Mostre Editoria. «Questa mappa – prosegue – racconta il teatro italiano e internazionale dalla metà degli anni Novanta del Novecento in poi. Comprende pièce di grandi autori, tra cui il recente Premio Nobel Jon Fosse, come pure scrittori emergenti o di interesse locale, studi sui maestri del teatro e sulle compagnie contemporanee».
A questi libri, adesso, se ne è aggiunto uno che, in un certo senso, li raccoglie tutti: è il testo che racconta i trent’anni del Teatrino. E l’ha scritto lui: Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale è il viaggio in pensieri, immagini e suoni di una storia unica di spettacoli e cambiamenti, di difficoltà e successi, di interventi in scuole, manicomi, situazioni di fragilità.
Partito nel 1993 dalla cripta della chiesa di San Domenico, approdato a Corazzano in una ex scuola, tra colli, pievi romaniche, nebbie e bestie, negli anni il Teatrino dei Fondi si è allargato dal Teatro Quaranthana a organizzare cartelloni in altri paesi e cittadine; realtà che poi gestisce come complessi centri culturali sul territorio, il Nuovo Teatro Pacini di Fucecchio, il Teatro degli Astrusi di Montalcino e quello della Grancia di Montisi. Trent’anni di invenzioni e di passione che Massimo Marino ricostruisce e riconnette ai fermenti di una Toscana laterale e, a un tempo, centrale per il fare teatro in Italia, scorrendone le trasformazioni sempre attente a intessere fili di comunità.

Marino è saggista e critico, scrive sul «Corriere di Bologna» e su «doppiozero.com» coordina la sezione Teatro coadiuvato da Rossella Menna. Ha dedicato e dedica la sua vita a guardare e a scrivere di teatro. Ed è anche uno dei maestri che per primi mi hanno indicato la strada per arrivare al mio modo di rispecchiarmi nella scena, qualunque essa sia. Il tu che uso nel nostro dialogo sul suo libro, sulle origini del Teatrino dei Fondi e sulle ragioni della sua durata, per me quindi vale come quell’attestato di riconoscenza e di affetto che ho sotto gli occhi ogni giorno.

Massimo Marino durante la prima presentazione del libro il 21 ottobre 2023 all’Auditorium San Martino di San Miniato. Foto di Carlo Settembrini

Il Teatrino dei Fondi compie trent’anni. Qual è la sua “differenza” nel nostro panorama teatrale e, più in generale, culturale?

La sua differenza sta nel rigore della scelta a favore della scena contemporanea, senza dimenticare le esigenze del pubblico, con grande attenzione ai territori in cui opera, allargando il campo d’intervento dalla creazione artistica per adulti e giovane pubblico al lavoro partecipato con ragazzi, giovani, persone fragili, con l’importantissimo corredo della casa editrice e del festival Contemporanei Scenari prima, generato dalle pubblicazioni Titivillus, Gaia dopo, con un interesse precipuo alle questioni ambientali.

Serena Cercignano e Marta Paganelli in “Mignolina Rap”, regia di Enrico Falaschi

Per durare nel tempo, e così a lungo, un progetto culturale quali risorse, capacità, anticorpi deve sviluppare?

Deve essere insieme concentrato sulle ragioni della creazione e su tematiche di interesse per i suoi pubblici, e dilatato, attento a tessere reti, a coltivare gli spettatori, la loro fantasia, la loro intelligenza, la loro voglia di fare. E deve tessere reti tra luoghi, cittadinanza e istituzioni, cercando di cogliere sempre le questioni emergenti dei territori in cui opera.

Nel sottotitolo del tuo libro definisci il Teatrino dei Fondi «Una fantastica sinfonia teatrale». Perché «fantastica»? E perché parli di «sinfonia teatrale»?

Il termine fantastica è un riferimento alla Symphonie fantastique di Hector Berlioz, che libera, romanticamente, la forma sinfonia dalle parti definite nel periodo classico, facendone un organismo ogni volta differentemente modulabile. Ho applicato questa metafora musicale all’attività del Teatrino dei Fondi, perché mi sembra caratterizzata da una coerenza profonda complessiva, nella diversità delle attività, nella differente intensità e forma dei singoli “movimenti” del suo operare. Il termine fantastica qui significa libera, capace di inventarsi senza reverenze verso l’esistente, che pure la nutre.

Andrea Mancini con Paolo e Vittorio Taviani

Nell’introduzione ti riferisci al Teatrino dei Fondi anche come a una «bella intrapresa teatrale». Questa opera di notevole impegno, qual è il significato di intrapresa, è stata assunta e svolta, su tutti, da Andrea Mancini ed Enrico Falaschi. Come hanno scritto i loro nomi nelle pagine di storia del Teatrino?

Andrea Mancini con spirito di pioniere e di sperimentatore ha fondato il Teatrino dei Fondi, portando una ventata di novità, costituita dal netto schierarsi nella drammaturgia contemporanea, in una città già fortemente teatrale come San Miniato [qui è nato nel 1947 l’Istituto del Dramma Popolare, con la sua Festa del Teatro, il più antico festival di produzione d’Italia, ndr]. Ha lanciato sfide importanti, allargandosi al teatro internazionale, senza perdere il contatto con le radici. Sotto la sua direzione è stato prima aperto e poi ampliato il Teatro Quaranthana ed è stato avviato il progetto Titivillus. Lui ha creato legami con le amministrazioni locali e con gli artisti internazionali. A lui si devono spettacoli ormai storici come L’eccidio, da un testo di impegno civile di Riccardo Cardellicchio, e Matilde (da Gli uomini della contessa, ugualmente di Cardellicchio), nonché vari spettacoli per ragazzi di lunga fortuna e di grande coinvolgimento, con sperimentazioni anche nel teatro musicale.
Falaschi ne ha raccolto l’eredità, forse con minore slancio avventuroso, ma sicuramente con una forte attenzione all’organizzazione e alle possibilità di ampliamento, anche lavorativo, dell’esperienza. Ha continuato a dirigere la produzione verso adulti e ragazzi, dando un maggiore impulso a quest’ultima, tanto da fare del Teatrino dei Fondi una delle imprese teatrali per le nuove generazioni con i migliori esiti in Italia. Ha creato una rete di teatri che si estende in un’ampia porzione del territorio toscano, da San Miniato a Fucecchio a Montalcino, con importanti esperienze di audience development. Ha ripreso spettacoli del passato come L’eccidio e creato altre opere puntando anche sull’uso dei nuovi media, con interventi visuali e un ruolo sempre importante affidato alla musica, come in I colori dell’arcobaleno o Mignolina Rap, con un’attenzione anche al teatro come momento formativo, con progetti dedicati alla cittadinanza attiva e alla prevenzione degli infortuni. Ha dato impulso alle residenze teatrali, facendo del Teatro Quaranthana un luogo di lavoro e di confronto.

Sono proprio Mancini e Falaschi ad averti chiamato nel marzo scorso. A entrambi, dunque, si deve il tuo volume. Che cosa hai pensato quando ti hanno chiamato? E come hai affrontato, a tua volta, “l’intrapresa del libro”?

Mi sono subito chiesto cosa sapevo di questa realtà, rimasta, nonostante la sua apertura, in gran parte confinata in Toscana, a parte la produzione Titivillus. Ho chiesto ad Andrea e a Enrico di raccontarmi la nascita e gli sviluppi del Teatrino, e la sua storia mi ha subito appassionato. Ho cercato, poi, di ricostruirla in modo fedele, consultando moltissimi documenti e facendo alcune interviste. Il lavoro sull’archivio è stato faticoso, perché finora non c’era stata l’occasione di riordinarlo. Ma questa è una situazione in cui versano i documenti di gran parte del teatro indipendente italiano, impegnato più a fare e a riflettere su singoli progetti, che a guardarsi complessivamente allo specchio.

Enrico Falaschi con Ottavia Piccolo al Teatro degli Astrusi di Montalcino

Non possiamo fare tutti i nomi di trent’anni di storia del Teatrino dei Fondi. Ma un altro sì, a cui del resto hai dedicato il tuo precedente libro per La casa Usher, Il poeta d’oro, premiato l’anno scorso con l’Ubu. Mi riferisco a Giuliano Scabia. Ci racconti del Drago blu e poi di quando incontrò Marco Cavallo?

Scabia, che varie volte aveva collaborato con il Teatrino, si inserì in un lavoro che da anni svolgevano Mancini e Pilade Cantini con l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Con quei particolari pazienti psichiatrici, che erano anche detenuti per aver commesso reati, lavorarono alla costruzione di un oggetto che li rappresentasse e fu scelto un drago, perché i pazienti si sentivano come quella bestia favolosa: temuti, mostruosi e quindi emarginati. In un’iniziativa per l’abolizione degli Ospedali psichiatrici giudiziari nel 2003 a Montelupo, in una grande festa, per incontrare il Drago arrivò Marco Cavallo, il simbolo della liberazione dalla reclusione psichiatrica, costruito nel 1973 da Scabia e da altri con i pazienti dell’Ospedale psichiatrico di Trieste diretto da Franco Basaglia.

Il Drago Blu di Giuliano Scabia e Andrea Mancini all’OPG di Montelupo Fiorentino

Lavorando al libro che cosa hai scoperto del Teatrino dei Fondi che non sapevi?

Molto, moltissimo. Un’attività di trent’anni è piena di momenti principali, magari più noti, ma come un fiume si nutre di mille affluenti, tutti capaci di portare “nutrimento”. Mi ha molto colpito il lavoro con le scuole, che prepara in modo capillare i ragazzi alla visione degli spettacoli, dando loro anche compiti creativi che li appassionano a quello che vedranno.

«Tutta questa storia – scrivi ancora nel libro – si può narrare anche come un tentativo (riuscito) di far suonare insieme vari strumenti e di dare una forma, una bellezza, un rigore, a quei suoni». Arrivati a questo punto, ci puoi dire che suono fa per te il Teatrino dei Fondi? Qual è la sua forma?

La forma, rispondo tautologicamente, è quella di una sinfonia, fatta di parti diverse, in questo caso non strettamente canoniche, che insieme dialogano e creano un organismo unico, ma dalle molte teste. E dalle molte voci, dai molti corpi, dalle tante vitali relazioni, dalle tante scritture.