GIULIA BONGHI | La scatenata vitalità, l’arguzia e la sottile disputa psicologica dei personaggi settecenteschi de La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi, ritrova la sua vis comica nell’intermezzo composto da Aldo Tarabella. La continuazione della storia ne Il servo padrone si pone in perfetta specularità alla vicenda di partenza. Uberto, padrone ma ora schiavo della non più serva ma moglie Serpina e Vespone, ora cantante e quasi padrone, non più servo muto. Mi spiego meglio.

L’intermezzo di Pergolesi tratta una vicenda che orbita attorno a tre personaggi. Serpina è una serva vivace, furba e impertinente, che detta legge in casa del suo ricco padrone Uberto. Quest’ultimo, in balia dell’intraprendenza della ragazza, vuole ristabilire la propria autorità e annuncia di volersi sposare. Serpina, dunque, architetta un piano per costringerlo a sceglierla come moglie. Persuade il servo muto Vespone ad aiutarla: lo traveste da Capitan Tempesta e lo presenta come suo presunto promesso sposo. Costui reclama una sostanziosa dote a Uberto che, tratto in inganno, sceglie di sposare lui stesso Serpina, spinto dalla contrarietà dell’esborso e dall’affetto. Si conclude con il trionfo di Serpina che così, da serva, diviene padrona. La sua personalità dirompente, che piega il destino alla propria volontà, si manifesta perfettamente nella brillante aria Stizzoso, mio stizzoso. La musica si conforma a precise esigenze realistiche e descrittive, ovvero le frasi concise e i monosillabi che costituiscono gli ordini perentori di Serpina. Ora ironicamente severa, ora fiera e sicura, imbronciata e capricciosa, ora sfoderando un sorriso beffardo, riduce Uberto a un rassegnato silenzio.

Il sequel, costruito sul libretto di Valerio Valoriani che conserva la successione di arie e recitativi, vede l’evolversi della vita dei tre personaggi. Uberto, dall’aspetto esausto e smagrito, è pur sempre il padrone, ma viene trattato come schiavo dalla sua giovane moglie pasciuta e tiranna. Il complice Vespone ottiene invece tutte le attenzioni della padrona di casa. La sua nuova posizione lo trasforma in baritono lirico, dandogli voce e autorità. Tanta cura eccede nel tentativo di indurre Vespone a condividere il letto con lei, dato che il tanto ambito matrimonio con il padrone non è stato consumato. Presumibilmente, Uberto nella sua stoltezza si è pentito e si rifiuta di consumare il matrimonio per non renderlo irreversibile. Per riportare la situazione allo status quo originario, progetta una trappola. Rovescia lo stesso stratagemma utilizzato tempo prima da Serpina, travestendosi da Madama Uragano, legittima moglie di sé stesso. Come prima moglie, reclama il marito e convince Serpina a firmare la recisione del contratto di nozze. Svelato infine l’inganno, Vespone e Serpina tornano a essere i servi di Uberto e si sposano tra di loro.

Ph Virginia Braidi

La serva padrona, rappresentata la prima volta il 5 settembre 1733 al Teatro San Bartolomeo di Napoli, abbraccia la morale del rimescolarsi delle classi in nome dell’amore. Il seguito – potremmo chiamarlo la Vendetta – recupera invece la dialettica servo-padrone: “Chi è servo è servo e chi padron padrone!”. La partitura riecheggia elementi pergolesiani, combinati con stilemi vicini alla commedia musicale novecentesca, tra recitativi che abbandonano la forma tradizionale e arie sviluppate in un contesto atonale. Si avvale di un pianoforte al posto del cembalo e all’orchestra d’archi aggiunge flauto, oboe, clarinetto e fagotto. Utilizza un parlato-cantato comico e una varietà di citazioni, talvolta musicali e talvolta verbali, che spaziano da Mozart – Serpina declina al femminile il famoso incipit di Leporello nel Don Giovanni: “Voglio far la gentildonna” – a Fred Buscaglione – Vespone riferendosi a Serpina: “Eri piccola così”.

All’invenzione musicale agile e precisa si accorda una regia – dello stesso Tarabella – ricca, abile e a tratti dalla comicità sfrenata, che lavora sull’interpretazione e la gestualità. I toni richiamano quelli della Commedia dell’Arte, giocata su ironia e arguzia, e la recitazione sottolinea la caratterizzazione dei personaggi. Gli interpreti ne mettono in evidenza i gesti e le peculiarità caratteriali.

Questi ultimi sono i giovani allievi della Scuola dell’Opera del Teatro Comunale di Bologna. Mariska Bordoni, soprano dalla voce limpida e brillante, seduce con la sua performance elegante e di grande carisma scenico. Jiahe Zhang è un basso convincente, anch’esso scenicamente espressivo ed energico. Ayaka Arima dà corpo al Vespone di Pergolesi, un servo muto giovane, dalla mimica enfatica e ironica. Gonzalo Godoy Sepulveda è invece il baritono, voce pregevole ed efficace del Vespone di Tarabella.

Ph Virginia Braidi

L’azione si svolge attorno a un enorme talamo-poltrona, color carta da zucchero, dal decoro settecentesco essenziale, ravvisabile anche nei costumi. La scena di Beatrice Meoni prevede inoltre una tela per retroproiezione ove la luce varia di tonalità dando rilievo all’atmosfera emotiva.

Al termine di questo dittico estremamente divertente e ironico, il pubblico, ormai contagiato, ride apertamente. La serva padrona è un divertissement considerato il capostipite dell’opera buffa, che unisce all’umorismo implicazioni sociali e di costume, prima fra tutte la vittoria della serva come donna e come categoria sociale. L’intervento di Tarabella e Valoriani è certamente un omaggio al famoso compositore e alla sua fortunata opera, divenuta ben più celebre de Il prigioniero superbo – opera seria dello stesso Pergolesi – per il quale faceva da intermezzo. Nondimeno, è un felice esempio di come l’ascolto della musica contemporanea possa accostarsi, combinarsi e connettersi con la musica del passato. Il dialogo musicale tra i due intermezzi è altresì interessante poiché giustappone la nostra sensibilità di spettatori a qualcosa che possiamo comprendere, come le note di Pergolesi, e alle forme del nostro sentire odierno.

Lorenzo Bianconi, professore emerito, sostiene che l’opera rappresenta da sempre una privilegiata scuola dei sentimenti. Così come nel Settecento, ancora oggi è possibile dare forma ai pensieri, alle idee, alla sensibilità, al nostro presente, e tradurre in suono e immagine l’uomo contemporaneo, l’essere umano che siamo noi adesso.

 

LA SERVA PADRONA

Intermezzo buffo in due parti di Gennaro Antonio Federico
Musica di Giovanni Battista Pergolesi
Edizione critica a cura di Francesco Degrada, Jesi / Milano, Fondazione Pergolesi Spontini / Ricordi, 2004

Scuola dell’Opera del TCBO
Uberto Jiahe Zhang
Serpina Mariska Bordoni
Vespone Ayaka Arima
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore, cembalista e responsabile musicale del progetto Angelo Michele Errico
Chitarra barocca Francesco Oliviero
Regia Aldo Tarabella
Scene Beatrice Meoni
Luci e Costumi TCBO

 

IL SERVO PADRONE

Intermezzo buffo di Valerio Valoriani
Musica di Aldo Tarabella

Scuola dell’Opera del TCBO
Uberto Jiahe Zhang
Serpina Mariska Bordoni
Vespone Gonzalo Godoy Sepulveda
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Chitarra barocca Francesco Oliviero
Direttore, cembalista e responsabile musicale del progetto Angelo Michele Errico
Pianoforte in orchestra Mariachiara Grilli
Regia Aldo Tarabella
Scene Beatrice Meoni
Luci e Costumi TCBO

3 novembre 2023
Teatro Comunale, San Giovanni in Persiceto (BO)