RENZO FRANCABANDERA | Siamo a Venezia, a Dorsoduro. È il lato del cuore della città meno frequentato dai turisti, di fronte alla Giudecca, e prossimo al polo universitario. La laguna, in questi giorni di inizio novembre si agita sotto la frusta delle perturbazioni che portano acqua alta e mareggiate fin sui muri delle case.
Qui, dentro l’Arterminal San Basilio, un ex capannone industriale vicino all’area dei controlli doganali, ora integrato dentro il polo didattico San Basilio, è stato allestito The Render, una pionieristica produzione del TSV – Teatro Stabile del Veneto in collaborazione con Big Art Group, importante ensemble della scena sperimentale performativa americana, con sede a New York. Lo spettacolo, una performance multidisciplinare, ha visto protagonisti gli attori neodiplomati del Teatro Stabile del Veneto ed è un invito a riflettere, fra le tante questioni portate all’attenzione del pubblico, anche sul cambiamento climatico, in una drammaturgia che si apre in uno scomporsi di scatole narrative, per esplodere dentro un dispositivo scenico a suo modo misterioso e inquietante.
Fondata nel 1999 da Caden Manson e Jemma Nelson, la compagnia Big Art Group sfida fin dai suoi esordi i confini formali del teatro, del cinema e delle arti visive, creando performance innovative attraverso l’uso di testi originali, tecnologia e metodi sperimentali di comunicazione. Con questo metodo creativo, Big Art Group ha prodotto 22 creazioni, con committenze arrivate dai maggiori festival internazionali (Hebbel am Ufer Berlin, Festival d’Automne à Paris, Theatre Der Welt, Le Vie dei Festival a Roma, Desingel Antwerp, Zürcher Theater Spektakel, Szene Salzburg, Wexner Center for the Arts, REDCAT LA, Under The Radar, Yerba Buena Center for the Arts e The Kitchen).
Dentro schemi coreografici complessi, puppetry digitale e inquadrature video dal vivo, le  performance della compagnia si iscrivono dentro un filone della scena post-drammatica, in cui le narrazioni tradizionali e le relazioni stabilite tra performer e pubblico sono aperte per creare possibilità di indagine e relazione innovative.

Il lavoro di Manson e Nelson fonde tecnologie avanzate così come dotazioni tecnologiche di base, cultura marginale e mainstream, fino all’investigazione diretta svolta di volta in volta sul campo, sovente insieme ad alcuni artisti associati: in questo caso la scelta è caduta in modo non casuale su Riccardo Fazi, della compagnia Muta Imago, da anni fra gli interpreti più sensibili della scena multimediale italiana.
Le performance, e The render fra queste, affrontano le complesse questioni del tempo presente, e hanno permesso a The Big Art Group di trasformarsi da un piccolo gruppo di performance underground a New York in un ensemble internazionalmente prominente e riconosciuto dalla critica, cui sono stati dedicati saggi nella letteratura sulla performance (PAJ, Theater Journal, Mouvement, Theatre Heute).
Asteroide Amor, in cui si inserisce The Render, è una rassegna promossa dalla Fondazione di Venezia, in collaborazione con Università Ca’ Foscari Venezia e Università Iuav di Venezia, che mira a evidenziare le spinte positive che possono favorire matrici di pensiero che consentano un adattamento alle grandi sfide di oggi: l’affinità, la speranza e la resilienza, concetti fondamentali che emergono anche nella performance, resistendo all’impulso pessimistico e cercando strategie di riallineamento verso case, luoghi, ecologie e comunità.
Lo spettacolo, poi, si inserisce nel progetto di Specializzazione, parte dell’Accordo di Programma tra Regione Veneto e Teatro Stabile del Veneto per la realizzazione del Progetto
Te.S.eO. Veneto – Teatro Scuola e Occupazione (che abbiamo seguito anche in altre progettualità recenti, che univano la possibilità dei giovani diplomati dell’accademia di confrontarsi con registi e performer internazionali). Anche in questo caso il fondatore e direttore Caden Manson ha potuto quindi lavorare con giovani interpreti alla generazione di un tipo di spettacolo vera e propria cifra del suo codice, il Real-Time Film, ovvero un ibrido di film e teatro, in cui gli attori ricombinano le idee sviluppate alla base della performance recitando simultaneamente in scena e nei video live.
Gli attori neodiplomati dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni accompagnano qui il pubblico in un viaggio esplorativo attraverso le complesse connessioni che il cambiamento climatico impone sia all’umanità che alla natura. Lo spettacolo multimediale, ideato per Venezia, cerca però di superare le barriere geografiche per affrontare la crisi climatica globale e il suo impatto profondo sulle comunità umane e non.
All’ingresso nel capannone gli spettatori si trovano di fronte a una prima stazione di un percorso che diventerà poi itinerante: siamo davanti a postazioni-camerino per attori, immerse, però, dentro uno scenario bucolico artificiale, con spighe, piante. Gli interpreti si specchiano e a turno intervengono per iniziare a raccontare esperienze che hanno il sapore delle interviste della strada sul tema ambientale, punti di vista delle giovani generazioni sulla catastrofe climatica, sul drammatico senso di impotenza che attraversa i cittadini del futuro. 

Si tratta di un minuzioso lavoro di mimica e interpretazione di registrazioni off, recitate come fossero gli attori stessi a parlare (i performer coinvolti nel progetto sono Alice Agnello, Isacco Bugatti, Matteo Di Somma, Cosimo Grilli, Silvia Luise, Marcello Luigi Orsenigo, Magdalena Soldati, Leone Tarchiani, Arianna Verzeletti, Mattia Vodopivec); nella verità così non è, perchè con una recitazione la più naturale possibile, gli attori danno vita a un playback in slow motion che ricorda alcuni filmati di Bill Viola, e in cui progressivamente si spogliano dei loro panni per indossare t-shirt ispirate alle immagini delle catastrofi ambientali, con foto di paesaggi desertificati, aree inondate, fenomeni atmosferici di forza incontrollabile.
Dopo questa prima stazione, la performance si sposta sul fondo del capannone, dove la dimensione immersiva della creazione trova la sua più compiuta realizzazione: il pubblico si trova circondato da un dispositivo scenico di tipo surround, con schermi di proiezione che perimetrano, senza delimitarla, un’area di stazionamento degli spettatori (una trentina circa per replica). Ci si può spostare e muovere liberamente. Si inizia a circolare dentro l’azione, i performer corrono di qua e di là, ora davanti a una telecamera fissa, ora imbracciandone una e andando nello spazio a videoregistratore, ora recitando verso gli spettatori, ora a favore di telecamera. Il punto di vista unico non esiste più. È tutto esploso e non c’è una osservazione che può abbracciare tutto.
Siamo dentro la complessità del presente: la drammaturgia diventa ibrida, fra racconti di paura, canti a cappella, recitazione che avviene dal vivo ma anche in ripresa diretta con telecamere fisse e mobili, che a loro volta proiettano quanto ripreso sugli schermi, in modo da immergere completamente lo spettatore nell’evento drammaturgico di cui diventa finanche protagonista, visto che le telecamere si insinuano fra il pubblico, lo riprendono, facendolo diventare presenza nell’atto artistico.
Il pubblico si muove dentro il capannone come cellule gassose dentro un grande spazio e libere di circolare. Il capannone è diviso in due nel senso della lunghezza da alti praticabili di cartongesso che obbligano a un percorso nel senso longitudinale, ma che poi torna verso il lato da cui si è avuto accesso, in un continuo di schermi e spazi che vengono via via abitati e che diventano oggetto di recita, proiezione, ripresa, mentre i giovani interpretano vicende che in parte li riguardano quasi in modo fintamente autobiografico, in parte sono frammenti esplosi di racconti dal sapore gotico.
L’azione è diretta ad attirare l’attenzione degli spettatori su temi che diventano via via sempre più allarmanti: “Quante foreste ancora?”, “Questo ci riguarda tutti”, cartelli che compaiono nei video e che rimandano al movimento #fridaysforfuture, mettendo in evidenza l’urgenza di affrontare le sfide ambientali che il nostro pianeta sta affrontando. L’azione creativa, dentro un codice che a tratti ammicca al situazionismo post-punk, è in linea con la poetica della compagnia e con la sua storia di performance visionarie.
Big Art Group cerca così di mettere in evidenza le narrazioni che gli esseri umani costruiscono, ora con successo ora con drammatico insuccesso e fallimento, per comprendere e rispondere al mondo in continua evoluzione, ricorrendo all’unione tra tecnologie multimediali, cultura contemporanea e dolorosa indagine sulla complessità della nostra esperienza contemporanea.

A volte la suggestione è forte, altre il gioco scenico, il meccanismo, diventa predominante sulla linearità del contenuto, ma sicuramente il dispositivo è d’impatto e coinvolge, fino a un finale dalla doppia lettura: gli attori sul lato simmetricamente opposto del capannone rispetto a quello in cui avevano i camerini iniziali, ricostruiscono una sorta di piccolo hortus conclusus, in cui raccontano frammenti e sapori indimenticabili della loro vita d’oggi. A leggerla allegramente, una collezione di istantanee multisensoriali sul senso della vita, a leggerla drammaticamente quasi un testamento di giovani generazioni che lasciano agli spettatori un elenco delle cose importanti e indimenticabili della vita, come se non dovesse esserci un domani, quasi un lascito testamentario in un paesaggio di nuovo bucolico, di nuovo finto e artefatto, in cui l’umano è sigillato dentro il suo fragile sentire.
The Render è stata un’opportunità significativa per il pubblico di immergersi e esplorare le possibilità creative e innovative offerte dalla performance multidisciplinare di un collettivo che tornava in Italia dopo diversi anni e che mantiene una sua vivacità immaginifica capace di suggestionare non solo lo spettatore, ma anche i tanti creativi presenti nelle diverse repliche. Una significativa possibilità di conoscenza anche per i giovani interpreti coinvolti nella produzione, che hanno potuto quindi confrontarsi, con esito interpretativo apprezzabile, con metodologie di lavoro non tradizionali, prendendo parte a un dispositivo complesso e non ortogonale, ma rizomatico e aperto, come in fondo è la nostra società, complessa in modo drammaticamente perturbante.

THE RENDER

progetto di Big Art Group
regia Caden Manson, Jemma Nelson
video, suono, testi, coreografia, istallazioni Big Art Group
performance creata in collaborazione con le neo diplomate e i neo diplomati dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni
regista associato Riccardo Fazi
art director Caitlin Ayer
operatore video Marisa Conroy
assistente di produzione Leonardo Tosini
con le neo diplomate e i neo diplomati dell’Accademia Teatrale Carlo Goldoni: Alice Agnello, Isacco Bugatti, Matteo Di Somma, Cosimo Grilli, Silvia Luise, Marcello Luigi Orsenigo, Magdalena Soldati, Leone Tarchiani, Arianna Verzeletti, Mattia Vodopivec
produzione TSV – Teatro Nazionale
un ringraziamento speciale a NERO Editions e Giovanni Cecconi

Arterminal San Basilio, Venezia | 10 novembre 2023