CHIARA AMATO* | Torna in scena a divertire il pubblico dell’Elfo Puccini di Milano L‘importanza di chiamarsi Ernesto (titolo originale The Importance of Being Earnest, A Trivial Comedy for Serious People) con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che nel 2017 era stato un successo di comicità, cattiveria e frivolezza. Il testo stesso rivela che «bisogna prendere sul serio le cose belle nella vita se ci si vuole divertire!».
La commedia, di Oscar Wilde, fu scritta nella prima versione nell’autunno 1894 in quattro atti e rappresentata per la prima volta nell’1895 al St. James’s Theatre di Londra.
Difficile individuare il gioco principale nei significati della commedia di Wilde fin dal titolo, per via dell’intraducibile Earnest, per alcuni traduttori Ernesto, Franco, onesto, probo: resta complesso contenere tutte queste sfumature diverse, sia nel titolo come nel testo. In ogni caso, è proprio quel prevalere del nome sul senso ad avere un paradossale effetto satirico, insieme ai continui doppi sensi.
La società che viene rappresentata, in questa opera molto fortunata di Wilde, è una società futile e formale, frivola ed eternamente bambina. La trama è molto semplice e si basa su un gioco di equivoci: Jack (Giuseppe Lanino) è un gentiluomo di campagna, che si è inventato un fratello scapestrato – Ernesto – che gli consente una seconda vita a Londra. Algernon (Riccardo Buffonini) è un amico londinese, il quale troverà modo di farsi passare anch’egli per il fratello Ernesto. I due personaggi maschili si fingono entrambi essere questo tale Earnest per fare colpo su due donne, una molto più giovane e una loro coetanea (Camilla Violante Scheller e Elena Russo Arman), interessate più al livello sociale che al vero amore. E non si sa bene per quale motivo surreale entrambe si sentono tranquillizzate all’idea di stare con un uomo al loro fianco che si chiami Earnest.

ph. Laila Pozzo

In questa versione, il palcoscenico diventa un cartoon e prende molto dall’immaginario pop e queer: sullo sfondo un grande roll-up dai colori sgargianti, cinque poltroncine colorate e un tavolo imbandito di vivande per una merenda. In scena, Nicola Stravalaci, nei panni del domestico di Algernon, annuncia l’ospite in arrivo per il suo padrone. Così, Buffoni e Lanino iniziano un botta a risposta divertente e irriverente sulle donne, sull’amore, visto in maniera molto cinica, e sui luoghi comuni sul gentil sesso. D’altronde, come sostiene lo stesso Algie, «è così facile essere cinici!»
Successivamente, entrano in scena Arman e la zia anziana (interpretata da Ida Marinelli), entrambe esilaranti: la prima palesa dei problemi di vista, camminando goffamente e tirando fuori da una borsetta minuscola degli enormi occhiali bianchi; la seconda, invece, in pompa magna cammina su una musica da marcetta tra il militare e l’avanspettacolo.
Il cambio di location avviene nel secondo atto, quando l’evolversi dell’intreccio si sposta in campagna, dove Lanino (qui Jack) vorrebbe liberarsi del suo alterego immaginario, fratello scapestrato, per liberarsi della menzogna detta alla ragazzina di cui è tutore (Scheller).
La scena diventa un esterno fatto di tavolini e sedie, con sullo sfondo uno Wilde in versione cartoon e una composizione floreale di rose rosse.

ph. Laila Pozzo

Tutto concorre nella spettacolo di Bruni/Frongia a sottolineare l’aspetto cinico e comico di questa società. In primis, i costumi, realizzati da Alessia Lattanzio e Saverio Assumma, sono molto curati: da veri dandy inglesi, per quanto riguarda la coppia di amici, e decisamente forti nei colori per la parte femminile. Tutti cambiano abiti durante l’evolversi della vicenda, tranne i due maggiordomi (Stravalaci) e il monsignore (Luca Toracca). Le tinte per i costumi della zia e della nipote sono molto forti, ricchi di piume e pellicce e dalle fantasie geometriche; mentre la cuginetta di campagna indossa una divisa da collegiale americana e parla come una bambinetta con le trecce, una Britney Spears qualsiasi degli anni ’90.
Il disegno luci, di Nando Frigerio, alla stessa maniera alterna colori fluo (come all’ingresso della zia nella casa di città o al diverbio fra le due pretendenti agli Ernesti), luci diffuse durante i dialoghi e coni di luce che generano un effetto comico. Questa cura per ogni elemento dello spettacolo fa sì che arrivi una reazione divertita da parte del pubblico. Non ci sono squilibri di nessun genere, se non una leggera petulanza della ripetizione degli equivoci: ripetizione che, dopo un po’, rischia di non suscitare più il sorriso.
Le citazioni musicali, a opera di Giuseppe Marzoli, prendono dal mondo queer, con pezzi come I Will Survive di Gloria Gaynor, verso i quali il pubblico mostra un’istintiva simpatia e partecipazione e marcette frenetiche come in alcuni film del primo Totò.
Anche la recitazione trae spunto dalle regine del mondo queer, per le pose e la dizione, per l’apertura dei movimenti resi eccessivi di braccia e gambe: è decisamente sopra le righe, ma fatto con sapienza dagli interpreti. Tutti bravi gli attori e ben calati nel ruolo, ma meritano una citazione in più Ida Marinelli e Riccardo Buffonini, che danno vita a una versione dei loro personaggi molto personale, e per i quali si prova vicinanza, anche e soprattutto per i loro aspetti bassi.
Tanto umani questi protagonisti di Wilde, molto moderni, grazie alla regia del duo a marchio Elfo Puccini.

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO
di Oscar Wilde
regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
luci Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli
con 
elettricista Matteo Crespi
macchinista Tommaso Serra
sarta Alessia Lattanzio
assistente alla regia Alessandro Frigerio
assistente ai costumi Saverio Assumma
produzione Teatro dell’Elfo con il sostegno di Fondazione Cariplo
Spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT 2017/18

Teatro Elfo Puccini, Milano | 13 dicembre 2023

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