ENRICO PASTORE | Pochi chilometri dividono Fiume da Trieste eppure, per raggiungerla, bisogna attraversare più confini, lasciare l’Italia, passare per la Slovenia ed entrare infine in Croazia. Nonostante le barriere politiche, il Carso Giuliano/Triestino e quello Istriano condividono secoli di cultura comune. Non solo lo si desume dall’architettura austroungarica e mitteleuropea ma lo si sperimenta ancora oggi quando nelle campagne istriane è più facile comprendersi con il dialetto veneziano che con l’inglese o l’italiano. Fiume, oggi Rijeka, è da molti secoli un crocevia di popoli e di lingue. Una città e una regione, l’Istria, che rievoca nel nostro Paese storie gravate dalla retorica nazionale, dall’irredentismo all’impresa dannunziana e la Seconda guerra mondiale, per non parlare dell’esodo degli italiani e le foibe.
Tuttora è difficile lacerare il velo delle narrazioni ufficiali per guardare gli eventi storici sulla base dei fatti e dei documenti, analizzando gli eventi senza farsi imbrigliare da visioni e racconti pregiudiziali e facendosi meravigliare dagli elementi che uniscono popoli e culture piuttosto che dare importanza ai fattori divisivi. Non poteva, dunque, esservi luogo migliore per ospitare Kamikaze. Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono, l’ambizioso progetto teatrale nato dalla collaborazione di Emanuele Aldrovandi e Marco Lorenzi, coprodotto dal Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc di Fiume (Hrvatsko narodno kazalište Ivana pl. Zajca u Rijeci) e dal Teatro Biondo di Palermo.

Marco Lorenzi

Lo spettacolo ha debuttato il 17 marzo scorso al Teatro Nazionale Croato e nasce dalla volontà di gettare ponti tra queste culture così affini e così diverse. La compagnia vede, infatti, la compresenza di attori italiani e croati, tra cui un attore di origine serba, specchio della comunità multinazionale della città; il testo di Aldrovandi è un riuscito melange di italiano, croato e inglese; due teatri, lo Zajc e il Biondo, benché appartenenti a realtà produttive diversissime e lontane, sono stati tra i pionieri nell’esplorare le ricche potenzialità nella collaborazione culturale tra i rispettivi Paesi. Tutti questi elementi costituiscono la spina dorsale dello spettacolo e il suo valore politico intrinseco.
Kamikaze è un testo che origina da un nucleo incandescente di domande scomode tra cui è impossibile districarsi con facilità. Come di fronte a una novella idra, ogni volta che appare una soluzione, ecco sorgere nuove questioni ben più tossiche di un serpente, il cui veleno ci stordisce e ci fa credere all’impossibilità di una soluzione. Aldrovandi dichiara che se lo stimolo alla scrittura è stato l’attentato al Bataclan del 2015, durante la stesura, scena dopo scena, si sono affollate le immagini, i personaggi, le situazioni, le interrogazioni.
Se, dunque, l’autore è partito dal domandarsi perché dei giovani decidano di uccidere altri giovani, subito sono affiorate le contraddizioni politiche, culturali e soprattutto economiche alla base di un conflitto che solo in superficie ha radici religiose.
Come giudichiamo l’altro? Siamo in grado di metterci nei suoi panni? Siamo liberi di assumere punti di vista inusuali e inauditi? E, soprattutto, possiamo liberarci dall’obbligo alle scelte binarie: noi o loro? Tutte queste questioni sfuggono dal confine del terrorismo di matrice islamica e si ripropongono con urgenza rispetto ai numerosi conflitti che infiammano il nostro presente, dove continuamente ci viene chiesto di prendere partito e ci viene presentato un nuovo nemico con cui pare impossibile dialogare.

Kamikaze di Emanuele Aldrovandi regia di Marco Lorenzi Ph@ŽELJKO JERNEIĆ

La storia della giovane regista mussulmana che intende girare un film senza scendere ad alcun compromesso produttivo, un lungometraggio costituito da una sceneggiatura frammentaria, senza un personaggio principale e che ha per oggetto vari aspetti del difficile rapporto tra Occidente e mondo islamico, apre ulteriormente a questioni non apparentemente imparentate come, per esempio, la libertà di espressione artistica al di là delle logiche di mercato e di propaganda culturale. La produttrice ricorda alla regista che si oppone a un happy ending, «io metto i soldi, io scelgo il finale». Non solo la protagonista ma tutti noi siamo subissati da domande urgenti a cui sembra non esistere altra soluzione se non adeguarsi o far saltare in aria il sistema, sperando in un reset. L’ironia e la leggerezza sono il farmaco che impedisce allo spettatore di soccombere di fronte all’ingombrante e orribile immagine di questo nostro deforme presente e dall’ipocrisia che esibiamo, volenti o nolenti, come cittadini di questo opulento Occidente capitalista.
Marco Lorenzi e il dramaturg Lorenzo De Iacovo si sono trovati di fronte a un testo spinoso, difficile da manipolare, seduttivo per le possibilità che offre, ma da maneggiare con più cura della nitroglicerina perché il rischio di cadere nei cliché e nella retorica è altissimo. Anziché semplificare, si è deciso di moltiplicare i piani di finzione: la vicenda della cineasta, che all’inizio vediamo pochi momenti prima del suo estremo gesto distruttivo, viene narrata attraverso rapidi flashback che formano la cornice ai quattro quadri del progettato film. Queste scene, che nella realtà della finzione non vengono realizzate, non solo sono rappresentate ma vengono girate dagli stessi attori, montate in diretta, e proiettate in tempo reale sullo schermo, in una mise en abime in cui la realtà viene moltiplicata dai vari linguaggi.

Il regista Marco Lorenzi e il dramaturg Lorenzo de Iacovo ph. Ivor Hreljanović

Il video apre inoltre a spazi esistenti solo in effige. Per esempio, nel secondo quadro, nel ristorante dove politici di schieramenti antitetici si trovano d’accordo nell’essere in fondo alleati, nonostante l’apparenza, l’uscita di scena della cameriera ci conduce in una cucina inesistente nel retropalco. Qui il suo corpo diventerà la pietanza speciale per i politici, donna cannibalizzata dal potere maschile, luogo simbolico dove verrà consumato il sacrificio di questa novella Ifigenia lavoratrice da parte di altri lavoratori (ancora una volta tutti maschi) per il benessere della politica.
Il teatro, inoltre, contagia il cinema, che non è più arte immodificabile, sempre riproducibile, uguale a ogni proiezione, ma compartecipa della fugacità della scena, ricostruendosi differente a ogni rappresentazione. Ulteriore elemento di complessità è il melange linguistico tra italiano, croato e inglese che alimenta la fiamma dell’incomprensione tra i personaggi.
La regia di Lorenzi adotta, quindi, una modalità compositiva complessa, un montaggio delle attrazioni capace di rendere fisicamente concrete le questioni scottanti sollevate dalla drammaturgia di Aldrovandi. Gli attori non sono manichini che danno voce a un testo ma sono i creatori di un linguaggio multiforme, interpreti di una partitura registica capace di muoversi su diversi piani e di utilizzare molteplici linguaggi artistici.
Sarebbe improprio parlare di semplice multimedialità, perché in questo caso il teatro contagia e ibrida gli altri idiomi. Non si procede per accostamento ma per moltiplicazione. Ne è testimonianza il lungo training degli attori per acquisire le competenze necessarie per girare in prima persona i video, gestendo le inquadrature, il cambio delle ottiche, e i movimenti di macchina, che hanno reso necessaria una vera e propria coreografia tra gli attori impegnati nelle scene e quelli impegnati nelle riprese; così come l’adattamento dei film-maker al linguaggio teatrale, per esempio nel tener conto dell’illuminazione fissa, non solo per l’autofocus ma nei cambi di inquadratura. Le grammatiche dei diversi linguaggi hanno sconfinato dai propri ambiti, contagiandosi vicendevolmente.

Kamikaze di Emanuele Aldrovandi regia di Marco Lorenzi Ph@Kamikaze di Emanuele Aldrovandi regia di Marco Lorenzi Ph@ŽELJKO JERNEIĆ

La scena degli jihadisti che cercano di girare il video della decapitazione di un prigioniero americano è un esempio di tale propagazione. Dapprima viene proiettato un video simile a quelli tristemente noti: un prigioniero inerme in tutta arancio, in ginocchio e terrorizzato, due terroristi dietro di lui in passamontagna nero, fucile mitragliatore, tenuta da soldati, bandiera nera dello stato islamico sul fondale.
La dichiarazione del prigioniero americano viene interrotta dopo pochi istanti e veniamo catapultati in scena, dove il regista del video esprime la sua insoddisfazione per la qualità dell’opera. Manca, secondo lui, di incisività: è troppo consueta, poco funzionale al nuovo marketing del terrorismo. Il regista e uno dei terroristi discutono animatamente. Decidono, quindi, di girare la scena all’aperto. Subito vengono dispiegati due diversi fondali paralleli con immagini di deserto. Regista, terroristi e prigioniero si dispongono con alle spalle i due diversi fondali, in modo che la proiezione possa giocare sul montaggio di campo e controcampo.

Tim Roth ne Le Iene di Tarantino

A questo punto, la moltiplicazione dei piani di finzione è massima: la scena rappresentata è presente solo nella sceneggiatura della cineasta, ma nella storia non viene realizzata, come la storia di copertura di Mr. Orange/Tim Roth ne Le Iene di Tarantino; il video dei terroristi all’inizio, in un primo tempo, si pone come doppio illusorio ma immediatamente ci precipita nella finzione della scena; la riproduzione fittizia dello spazio aperto nel deserto, inoltre, sdoppia la realtà scenica tra proiezione e recitazione; la troupe in scena, a sua volta, si scinde tra coloro che prendono parte direttamente alla vicenda e quelli che, semplici operatori dell’immaginato film, girano per la proiezione sullo schermo; vi è, inoltre, la regia in diretta che effettua il montaggio; da ultimo vi è il dialogo metateatrale (e metafilmico) in cui il prigioniero americano fa presente agli jihadisti come sia inefficace quel video, perché mancano dei microfoni.
In questo contesto “multifiction” affiora la drammatica complessità della realtà del terrorismo che, pur volendo combattere l’Occidente, ne assume le modalità di comunicazione, e quindi risulta evidente come alle spalle di una rivolta contro il sistema vi sia il sistema stesso che contamina ogni atto di ribellione. Inoltre, appare chiaramente la reale questione che lo spettacolo ci pone: il sistema vuol farci credere di essere invincibile? Veramente, come diceva la Tatcher negli anni ’80, non esiste alternativa?

Kamikaze di Emanuele Aldrovandi regia di Marco Lorenzi Ph@Kamikaze di Emanuele Aldrovandi regia di Marco Lorenzi Ph@ŽELJKO JERNEIĆ

Questo è un esempio. Avrei potuto scegliere la bellissima scena della metropolitana dove due fidanzati di diverse culture e religioni si rendono conto di come il loro rapporto sia ingabbiato in una serie interminabile di cliché. Raccontare Kamikaze è impresa ardua, proprio per la varietà e molteplicità dei piani di lettura e delle questioni che solleva. Non resta che vederlo quando approderà in Italia, al Teatro Biondo di Palermo, dal 5 al 14 aprile prossimi, sperando che non restino le uniche date italiane.
Per concludere non resta che segnalare la calorosa accoglienza del pubblico fiumano a questo lavoro complesso, capace, però, di trattare temi spinosi con grande leggerezza e ironia. In Italia si ha paura della complessità e costantemente si sottovaluta l’intelligenza del pubblico. Quando l’opera è forte, toccante, la drammaturgia solida, la recitazione impeccabile, anche la risposta dello spettatore sarà altrettanto potente.

KAMIKAZE
Assocerò sempre la tua faccia alle cose che esplodono

di Emanuele Aldrovandi
regia Marco Lorenzi
scene e costumi Gregorio Zurla
luci Robert Pavlič
creazione video Edoardo Palma / Emanuele G. Forte
cast italiano e croato Aleksandar Cvjetković, Elena Brumini, Vittorio Camarota, Aurora Cimino, Eletta Del Castillo, Serena Ferraiuolo, Stefano Iagulli, Mario Jovev, Mirko Soldano
assistente alla regia e dramaturg Lorenzo De Iacovo
produzione Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc di Fiume (Hrvatsko narodno kazalište Ivana pl. Zajca u Rijeci) / Teatro Biondo Palermo

Teatro Nazionale Croato | 17 marzo 2024