EUGENIO MIRONE | A volte può capitare a un attore di non riuscire a uscire dal proprio personaggio. È un fenomeno interessante e anche un po’ di tendenza, ultimamente, si veda il caso Elvis Presley-Austin Butler ad esempio: c’è chi ne è affascinato, chi rimane più scettico e chi lo reputa una completa fesseria. A prescindere dalle diverse posizioni, viene naturale chiedersi come sia possibile che la vita reale possa essere insidiata così profondamente dalla finzione. È tutta una messa in scena o forse i due piani sono davvero collegati?
Una preziosa suggestione arriva da Tchaïka, il primo gioiello del sodalizio teatrale formato da Natacha Belova e Tita Iacobelli. Lo spettacolo – in spagnolo sovratitolato – dalla sua nascita avvenuta nel 2018 è diventato presto uno dei fenomeni teatrali più importanti degli ultimi anni, ricevendo il plauso della critica con numerosi riconoscimenti internazionali e del pubblico, che anche quest’anno a Milano è potuto tornare ad ammirarne la bellezza al Teatro Franco Parenti.

Foto di Michael Galvez

In quello che pare essere il retroscena di una sala teatrale quasi completamente avvolta nel buio, la performer Tita Iacobelli entra insieme a Tchaïka, un burattino a grandezza umana con le fattezze di un’anziana, creato da Belova. Le due entità sono fuse insieme come gemelle siamesi: due anime nel corpo di un’attrice su cui stanno calando i riflettori dopo una vita consacrata alle scene. Anche la voce si sdoppia, a prender vita sul palco è un dialogo surreale, una vicenda paradossale a tratti divertente ma profondamente intima.
L’intera pièce ruota intorno a un addio al teatro: questo primo elemento è premonitore del gioco di specchi in cui personaggi e spettatori stanno per entrare. C’è da mettere in scena Il gabbiano di Čechov: la giovane sta ricordando a Tchaïka che dovrà interpretare il ruolo di Arkadina, bisogna andare subito in scena. Poco importa se non ci sono gli altri attori e se la scenografia non è adeguata: Konstantin lo farà un peluche, la giovane Nina sarà un fazzoletto viola, mentre un libro rosso impersonerà il ruolo dello scrittore Trigorin.
Un lungo telo pende dal soffitto fino al centro del palco dove accanto si trovano un tavolo e una sedia entrambi coperti da lunghi panni bianchi; è una scena “minimalista”, come cerca di giustificare Iacobelli all’anziano burattino che però non vuole saperne di recitare. Non si può mettere in scena l’opera in queste condizioni, oltretutto manca il lago, il vero protagonista del testo.

La riflessione sull’evoluzione della forma d’arte teatrale è un tema centrale nell’opera di Čechov: Konstantin, il giovane figlio di Arkadina aspira a fare un nuovo tipo di teatro, lo dimostra con la pièce che mette in scena nel primo atto del dramma. Proprio dal monologo dell’”anima del mondo” di Nina, la giovane amata da Konstantin, Tchaïka comincia a recitare: si sente ancora abbastanza giovane per fare la parte della protagonista femminile del testo perché d’altronde «non esistono personaggi minori, ma solo attori minori».
Finalmente Iacobelli riesce a convincere Tchaïka a interpretare il ruolo per lei stabilito, così la scena prende avvio dal dialogo in cui Arkadina dimostra al figlio di essere ancora giovane mentre lui pare già vecchio di spirito. È il suo personaggio che parla ma Tchaïka sembra volersi autoconvincere: quando finzione e realtà si toccano scatta il cortocircuito. E così la messa in scena salta.

Lungo lo svolgersi della pièce s’intersecano diversi livelli: c’è la realtà di Iacobelli che si confronta continuamente con il mondo del teatro rappresentato dalla vicenda dell’opera di Čechov. Ad esso si accede per gradi, scendendo i gradini di una scala che porta dalla realtà fin dentro la scena, un abisso formato da ampie zone d’ombra tagliate da sporadici coni di luce secondo il disegno luci di Gabriela González e Christian Halkin.
L’anello di congiunzione è Tchaïka, in lei la performer torna a recitare sotto forma di un burattino nel crepuscolo della sua carriera. Le cose si invertono sul finale dell’opera, Tchaïka ora è stufa, Iacobelli dovrà proseguire seguendo le sue indicazioni. Va in scena il dialogo finale tra Nina e Konstantin durante il quale i due personaggi rivelano loro stessi: Nina è decisa ad andare avanti, nonostante le sofferenze inflitte da Trigorin; il teatro infatti le ha fatto scoprire la capacità di sopportazione. Al contrario Konstantin non trova quiete, nemmeno ora che è uno scrittore come sognava; l’arte non riesce a dargli la forza per smettere di amare Nina, pertanto non resta altro che smettere di vivere.

«Ci siamo prese la libertà di trattare il testo di Čechov attraverso la memoria deteriorata di un personaggio che dà il suo addio alle scene proprio con questo spettacolo, al quale dà vita navigando fra la finzione del testo e la sua realtà. Tchaïka fa il tentativo eroico e decadente di continuare a far volare il suo gabbiano fino alla fine» afferma Belova. Ma bisogna aggiungere un elemento: infatti è proprio attraverso Tchaïka che la vera attrice ritrova la forza di portare a termine la pièce. La finzione, dunque, aiuta la realtà nel suo compimento.

Disillusione e speranza. Nello spettacolo della compagnia Belova – Iacobelli si cerca di risolvere il rebus, per farlo è necessario contaminarsi con la finzione del dramma di Čechov. In russo la parola Tchaïka (gabbiano) contiene il verbo Tchaïat, che significa sperare vagamente. Nel testo le due realtà coesistono così come un’attrice e il proprio burattino sulla scena. Come ricordano le due artiste: «Il gabbiano è l’illusione, la delusione, lo slancio, la disillusione, è l’essere rivolti verso il futuro e aspettare l’irreale, o guardare verso il passato e aspettare che questo passato scopra la speranza di una riconciliazione possibile»; i protagonisti dello spettacolo, come i personaggi de Il gabbiano, passano attraverso tutto questo.
Resta qualche istante per vedere se la riconciliazione è avvenuta; dopo tutto, il sipario non si è chiuso: c’è ancora tempo per un ultimo ballo. Così la vita ritorna e si manifesta in scena con un cha cha cha ballato dalle due donne. Un’ultima sapiente trovata scenica che pone il marchio sul lavoro eccezionale compiuto da Iacobelli sul corpo e sulla voce, per dar vita a due entità distinte ma indissolubili.
Anche la forma d’arte si contamina, in Tchaïka teatro di figura e performance sono uniti in una combinazione audace, che vince l’azzardo e si porta a casa il piatto, ovvero più di tre minuti di applausi da parte del pubblico.
Teatro e arte, realtà e finzione, vecchiaia e morte sono i temi al centro di un testo che volutamente possiede un forte tratto meta-teatrale perché sul teatro vuole riflettere ma in modo profondo e ironico. Tchaïka è la dimostrazione in scena che le storie, seppur siano pura finzione, possono aiutare a conoscerci e a ritrovare noi stessi. Tanto che a volte bisogna arrivare fino al punto di non saper più tracciare un confine distinto tra i due piani, prima di iniziare la risalita.

TCHAÏKA

liberamente ispirato a Il gabbiano di Anton Čechov
regia Natacha Belova e Tita Iacobelli
con Tita Iacobelli
scenografia Natacha Belova
luci Gabriela González, Christian Halkin
musica Simón González dalla canzone La pobre gaviota di Rafael Hernández
in consolle Gauthier Poirier
produzione Ifo Asbl
con il sostegno di Financiamiento del Fondo Nacional para la Cultura y las Artes, Chili, la Fédération Wallonie Bruxelles-arts de la scène – service interdisciplinaire
in coproduzione con Mars-Mons arts de la scène, Théâtre Des Martyrs à Bruxelles, Atelier Jean Vilar à Louvain-la-Neuve

Teatro Franco Parenti, Milano | 8 aprile 2024