CHIARA AMATO* | In scena al teatro Dialma di La Spezia, in occasione della seconda edizione del Festival Tutta la vita davanti. Festival di teatro per vecchi del futuro, un’eterogenea popolazione di artisti si presenta al pubblico con performance, video-performance, percorsi sonori, linguaggi fra stand up, rap e poesia.
Tra queste esperienze trova il suo posto Ciack si gira, la vita è una tortura, l’esibizione del gruppo UROR, formato da Evelina Rosselli e Caterina Rossi: il podcast dal nome Radio Tortura è incentrato su una trasmissione radiofonica che dà ampio spazio alla lamentatio. Qui trovano rifugio tutti coloro che vogliono lamentarsi della loro vita senza essere giudicati, per agonie e dolori più disparati (amore, rapporto col proprio corpo, eccetera).
Nello spazio scenico vi è una postazione radiofonica, con la scritta al led “good vibes” e un teschio, e ai cui lati sono sedute le attrici, in camice hawaiane blu e arancio: si occupano sia di condurre la trasmissione radio sia di interpretare il pubblico di ascoltatori, attraverso l’utilizzo di marionette e travestimenti.
Le marionette sono realizzate da Rossi stessa e, in questo piccolo sketch di venti minuti, rappresentano, facendo anche ricorso a dialetti diversi, una donna addolorata da problemi con il proprio corpo, un professore universitario che ci dimostra perché l’essere umano soffre durante tutta la vita e una avanguardistica dottoressa americana che spiega come essere infelici in dieci passi. I travestimenti invece vengono attuati dalle due performer grazie all’utilizzo di maschere, cappelli, occhiali che di volta in volta permettono loro di fornirci uno spaccato anche visivo dell’ascoltatore di Radio Tortura (abbiamo special guest del calibro di Virginia Woolf che si esprime in silenzio solo attraverso la mimica facciale, ovviamente triste). L’ironia viene sottolineata anche dal jingle radio, cantato direttamente da loro, e dallo stacchetto pubblicitario, con tanto di balletto.
Abbiamo intervistato il gruppo Huror, a seguito della tavola rotonda tenutasi durante il festival, per capire con loro il percorso che le ha portate a questo spettacolo e i passi futuri.

Come è nata l’idea per questa pillola di teatro?

Questo format è nato durante gli anni dell’Accademia Silvio D’Amico: chiaramente c’era una grande pressione, tante materie e compiti e bisognava studiare moltissimo. Eravamo a un certo punto molto frustrate per questo sovraccarico di questioni, per cui tornavamo a casa e, semplicemente per gioco, immaginavamo quanto sarebbe stato bello poter telefonare ad una radio impersonale e che non avesse propriamente a che fare con il mondo del teatro: una radio per sfogarci su quelle che erano le nostre frustrazioni. Sempre giocando abbiamo realizzato che questo format sarebbe potuto essere abbastanza universale perché effettivamente di questioni su cui lamentarsi ce ne sono tantissime e quindi è nato così, non con un’intenzione di messa in scena.
Poi abbiamo visto che in Accademia c’era il Bando Anna Marchesini, indetto per progetti di natura comica e abbiamo iscritto, sempre in modo spensierato e senza alcuna aspettativa, il progetto, vincendo il bando. Infine l’abbiamo anche rappresentato al Teatro Valle con Solenghi e Lopez e non ce lo saremmo mai aspettate.

In che modo l’utilizzo delle marionette apporta per voi un valore aggiunto allo spettacolo?

Il lavoro originariamente non aveva marionette perché Caterina e io, durante gli anni dell’Accademia, non avevamo ancora scoperto questo amore per il teatro di figura e per le sue possibilità. Semplicemente incarnavamo tutti i personaggi e le voci cambiando degli occhiali, mettendo dei cappelli, con degli ingredienti di una semplicità disarmante. Da tre anni circa le marionette sono entrate attivamente a far parte della nostra poetica.
Le abbiamo utilizzato in dei contesti anche molto più cupi e scuri e l’apporto che crediamo diano è veramente immaginifico e anche in qualche modo straniante, nella misura in cui contestualizzano i personaggi del radiodramma proprio in un universo molto lontano e allo stesso tempo molto vicino. Vicino per via degli accenti, delle cadenze popolari o anche dei contenuti trattati, ma anche molto distante perché le maschere pongono sempre una distanza che può anche inquietare.

Il progetto di Radio Tortura era nato con l’idea di una continuazione/estensione del lavoro?

Questo progetto è nato per diletto: ci piaceva pensare che potessero esserci altri episodi della stessa durata, quindi massimo di mezz’ora l’uno e che potessero presentare sempre all’interno del contesto radiofonico format e personaggi diversi, maschere diverse perché in realtà il dolore è un coacervo di possibilità se si prova a trattarlo con ironia. Quindi possiamo veramente attingere a un bacino sterminato di personaggi nati così, scherzando, giocando, e per divertimento.
Questo era il pensiero sullo sviluppo: più che allungare quello che già c’è, vorremmo creare diverse pillole con altri argomenti, sempre che ruotino intorno a questo nucleo ironico.

Avete già dei progetti in cantiere?

Stiamo progettando con largo anticipo, un lavoro sulla marionetta e sull’intelligenza artificiale. Detta così potrebbe sembrare veramente fumosa però abbiamo rintracciato delle affinità interessanti tra l’androide, quindi diciamo il robot, che assomiglia all’essere umano (nelle fattezze, nella voce, eccetera) e la marionetta; in particolare quelle che hanno veramente fattezze umane e possono in qualche modo generare lo stesso sentimento di straniamento che genera l’androide. Il lavoro che stiamo affrontando muove dal primo capitolo del Decalogo di Krzysztof Kieślowski che parla, appunto, dell’intelligenza artificiale, del rapporto che c’è tra un bambino, la logica, la scienza e il computer. Il mondo del bambino ora è veramente una questione molto grande e infatti ci stiamo confrontando con degli ingegneri meccanici, dei fisici, dei filosofi, degli psichiatri proprio per cercare di sondare questo terreno. L’obiettivo è cercare di lavorare a partire dal primo capitolo del decalogo di Kieslowski per un progetto che vorremmo presentare in Biennale College.
Le marionette sono diventate il fil rouge in qualche modo della nostra ricerca.

CIACK SI GIRA, LA VITA È UNA TORTURA
Triste radiodramma teatrale per esseri umani e non

intervento ironico registico di gruppo UROR
con Caterina Rossi, Evelina Rosselli ( gruppo UROR )
realizzazione maschere e marionette Caterina Rossi
con il sostegno di PAV

Teatro D!alma, La Spezia | 24 maggio 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.