ESTER FORMATO | Tonio De Nitto e Fabio Tinella (Factory Compagnia Transadriatica) curano un originale allestimento idal titolo (H)amleto, tratto dall’opera di Shakespeare, andato in scena la scorsa settimana al teatro Franco Parenti di Milano. Lo spettacolo segna un punto di arrivo importante della compagnia salentina che da quasi dieci anni lavora, oltre che con successo internazionale nel teatro tout public, anche sul binomio teatro e disabilità.
Della qualità e della visione artistica che da tempo ormai caratterizzano la Factory, ne abbiamo spesso scritto.
Stavolta, la sfida amletica si fa più ardua e porta il nome di Fabrizio Tana, non solo primo interprete, ma anche autore del testo, la cui genesi e stesura sono state concepite in maniera originale ed inedita.
Le peculiarità di (H)amleto non sono poche, a cominciare dalla struttura drammaturgica che lo connota come un allestimento in equilibrio fra coerenza filologica e stravolgimento della lettura tradizionale e convenzionale dell’opera.

De Nitto e Tinella, difatti, ci mostrano un Amleto sdoppiato nel corpo e nella voce; Fabrizio Tana agisce sul palco, affidando la sua partitura ad una voce esterna che accompagna in tutto lo spettacolo.
Il testo che ascoltiamo, a sua volta, trascende ogni norma sintattica e grammaticale per approdare ad una lingua cesellata da apparenti sconnessioni, ossessive ripetizioni e sgrammaticature, ma che paradossalmente è in grado di scandagliare in maniera autentica gli stati emotivi del giovane principe di Danimarca.
La stesura del testo è frutto di scambi di lettere, messaggi vocali, insomma concepito come un enorme zibaldone, intessuto con l’ausilio di molteplici strumenti comunicativi, efficaci per l’autore a plasmare l’interiorità del suo Amleto, caratterizzato complessivamente da una coerenza sostanzial in una forma sregolata.
L’incomunicabilità fisica (la H del titolo, del resto, è il fonema muto del nostro alfabeto) dà corpo al suo tormento che trova parola in un codice linguistico alternativo a quello convenzionale col quale si esprimono gli altri, incapaci di comprendere le sue fragilità e lsofferenze. Questo solco esistenziale fra lui e il mondo, così profondo e sul quale per secoli abbiamo ricostruito infinite volte la nota vicenda, diventa qui più vivo e chiaro che mai, e va rafforzandosi sulla scena attraverso un’orchestrazione quasi corale dei personaggi, creando così un contraltare visivo alla frattura drammaturgica.

Lo spettacolo, infatti, si apre e si chiude con la stessa composizione scenica; vi è Amleto il cui corpo, ferito a morte, è circondato dai personaggi, sovrastati da un immenso candeliere pendente di sbieco che dà anche l’impressione di una corona. Le tinte fosche di quest’unico orpello scenografico, sommato al monocromatico assito, canalizzano l’attenzione su quest’assetto corale in cui ogni figura si contraddistingue per precise peculiarità. Da una parte, impomatati nei loro costumi e oggetti di scena (Claudio è tutt’uno con la sua bicicletta) il mondo degli adulti, o quello convenzionale di Rosencratz e Guidelstern; dall’altro, invece, Amleto, Ofelia e Laerte, coloro ai quali è dunque preclusa la giovinezza, sono i corpi non convenzionali, sono mondo a sé in cui si scorge appena un ecosistema inaccessibile e misterioso. Come lo stesso loro amico, sia Ofelia che Laerte rivendicano uno spazio in cui esprimere tutta la vulnerabilità e la fragilità dei loro sogni. La giovane fanciulla amata da Amleto è incorniciata dai fiori: vaga sulla scena con la sua carrozzina restituendo di sé un’immagine quasi eterea; così deve apparire agli occhi di chi l’ama, agli occhi dello stesso Amleto che le dedica struggenti parole. L’intrecciarsi delle loro vite viene scenicamente concepito quasi come una coreografia in cui ha luogo uno scambio al resto del mondo inaccessibile, e che anche per questo, ne mantiene la tragicità.

Non è solo, dunque, il tipo di scrittura a riportare alla luce le sfaccettature dei personaggi: irrequietudine e ambiguità ben si traducono anche scenicamente. Complementarietà e disarmonia dei personaggi vengono gestite in maniera equilibrata, e messe in evidenza dal fatto che buona parte dello spettacolo è nutrita dalla presenza di tutti, e questo è anche funzionale alla riduzione dell’opera, efficace e coerente, eccetto in alcune piccole parti che paiono un po’ forzate.
La compresenza di tutti i personaggi agisce per contrappasso, ponendo in evidenza la solitudine di Tana, il meno statico di tutti, la cui smaniosa dinamicità sembra rincorrere il flusso dei suoi pensieri e delle sue parole, un flusso volto a dare forma e consistenza alla potenza inespressa, quasi abortita, del suo agire.
È proprio attraverso l’agìto in scena che prende forma e consapevolezza l’attenta indagine di De Nitto e Tinella che compiono una profonda operazione di capovolgimento in merito alla relazione teatro e disabilità. Quest’ultima, infatti, si trasforma in naturale e intrinseca condizione dei tormentati protagonisti, potente e necessaria espressione degli aspetti cruciali dell’opera scespiriana, nutrendo una già ricca attività intorno al rapporto fra i due mondi; stavolta diventa evidente che non più è il teatro ad essere funzionale alla conoscenza di sé (un sé declinato nelle molteplici diversità), ma è proprio la diversità fisica e relazionale a supportare l’esplorazione della natura umana che, è da sempre, l’obiettivo primario del teatro.
(H)AMLETO
ispirato ad Amleto di William Shakespeare
progetto speciale di Factory Compagnia Transadriatica
a cura di Tonio De Nitto e Fabio Tinella
testo Fabrizio Tana
con Alessandra Cappello, Lara Capoccia, Anna Giorgia Capone, Nicola De Meo, Francesca De Pasquale, Antonio Guadalupi, Alessandro Rollo, Antonella Sabetta, Stefano Solombrino, Diomede Stabile, Fabrizio Tana, Carmen Ines Tarantino, Silvia Lodi, Fabio Tinella, Elena Urso
assistente Carmen Ines Tarantino
luci Davide Arsenio
costumi Lilian Indraccolo
scene Egle Calò
voiceover Lorenzo Paladini
musiche Paolo Coletta
sound designer Graziano Giannuzzi
Milano, 10 febbraio 2025, Teatro Franco Parenti