ESTER FORMATO | Dopo tanti anni di ricerca teatrale e attività artistica che abbiamo accuratamente documentato nel corso del tempo, la compagnia milanese Phoebe Zeitgeist ritorna in scena con Love-lies-bleeding grazie al supporto trentino di TeatroE che ha tenacemente creduto in quest’ultimo progetto, curato in toto da Francesca Marianna Consonni. Stavolta, com’è accaduto in passato, l’allestimento si basa su una pièce d’autore, firmata da Don DeLillo nei primi anni duemila, quando la questione del fine vita era già su molte agende politiche.

Love-lies-bleeding è una drammaturgia ambientata in New Mexico, ipoteticamente in un luogo semi-desolato e circondato da paesaggi montuosi. Precisamente, l’azione è immaginata all’interno di una camera in cui gli astanti sono catalizzati dalla presenza di un malato terminale che, a seguito di due ictus, vive in stato vegetativo. Si tratta di Alex Macklin, scultore che negli ultimi anni sembra non aver più trovato alcuna gloria artistica, ora sottoposto alle cure instancabili di Lia (Liliana Benini), sua giovane e terza moglie, e contestualmente circondato dalla non tanto amorevole presenza di Sean (Daniele Fedeli), suo unico figlio, ormai adulto, e da Toinette (Francesca Frigoli), amante e poi seconda moglie, accorsa al suo capezzale. Tre figure molto complesse – dato anche il controverso rapporto che li lega ad Alex – il cui flusso di pensieri confluisce come un innesto nei dialoghi concepiti già nel testo originale, ma che Giuseppe Isgrò – cui si devono ideazione e regia dello spettacolo – rimodella con l’aiuto di Matteo Colombo che cura l’adattamento drammaturgico, sulla base della cifra artistica che la compagnia porta avanti da anni.

Difatti, il testo di Delillo costituisce una base, un pretesto narrativo solido e sicuro tramite il quale approfondire una visione più onirica e concettuale, specifica di Phoebe Zeitgeist, soprattutto grazie al lavoro profuso nel corredo sonoro e visivo e a quello nel registro interpretativo che respinge la cifra naturalistica, per rendere leggibile il livello più introspettivo dei personaggi.

Luca del Pia

Innanzitutto, Isgrò immagina Alex come una sorta di automa, una figura posta al centro della scena con alle spalle una pannello semi-trasparente attraverso il quale riprodurre, in certi momenti, le ombre dei protagonisti. Il totem, che è in realtà un calco, quasi come a voler assimilare Alex Macklin alla sua stessa arte, polarizza l’attenzione di tutti, in quanto i suoi occhi sono illuminati, pronti a diventare, quindi, il punto di fuga di tutta quanta la scena ideata da Giovanni De Francesco cui sono affidati anche i costumi, efficaci nel puntualizzare i profili degli interpreti. Ne consegue che i personaggi sono come costantemente osservati dal fantoccio, generando un primo corto circuito psicologico ed emotivo. Naturalmente, l’ambiente scenico perde i caratteri realistici, trasformandosi in un luogo polisemico entro il quale l’asse cronologico non è quello lineare e ordinario, ma un concentrato di passato e presente. Privilegiato è l’astrattismo, la distillazione dei nuclei narrativi più caldi.

Inoltre, la trasfigurazione totemica e dunque concettuale del pur compromessa biologicamente presenza di Alex (che, da bravo scultore, non smette di plasmare le coscienze dei presenti) viene potenziata e resa ancora più inquietante da un articolato progetto di luci, in equilibrio fra tonalità fredde e artificiose e dal ricco corredo del suono, ideato da Stefano K. Testa in collaborazione con Sharif Delorian; questi introduce nello spettacolo pezzi americani d’autore, per lo più ballate folk malinconiche, funzionali per restituire al pubblico la dimensione emotiva, talvolta taciuta dalla natura insidiosa dei dialoghi, spesso disorientanti anche a causa della loro lunghezza.

Luca del Pia

Ma probabilmente è proprio questa la caratteristica che consente a una compagnia di ricerca come Phoebe Zeitgeist di riproporre il testo secondo la propria cifra artistica, andando a riempire con segni scenici le parti più cruciali della drammaturgia. Ne è un esempio Toinette – che anche grazie all’interpretazione di Frigoli, diviene l’anima dello spettacolo – la quale, sollecitata dalle domande di Sean sulla sua antica relazione con Alex, crea dei veri e propri varchi temporali, riposizionati dalla drammaturgia in precisi momenti dello spettacolo; si tratta infatti di frammenti di memoria, flashback che vedono la donna dialogare con Alex, interpretato dallo stesso Daniele Fedeli con indosso una maschera integrale che riprende i tratti facciali del totem in scena. Anche nel ricordo della donna, allo scultore non è concessa una presenza realistica, ma resta impelagato in un surrogato concettuale, (prodotto dalla coscienza di Toinette?) asservito a un sentimento controverso fra i due.

Ma dov’è il loro presente? Qual è l’esatta e reale dimensione in cui vivono i tre personaggi? La risposta la troviamo nel fulcro della vicenda: porre fine allo stato terminale dell’uomo. Sean, seppur combattuto e agitato, trova ben presto la complicità dell’antico amore del padre, e un’iniziale, ma trattabile, repulsione da parte di Lia, donna dolce, dedita ma non per questo asservita – parafrasando una delle prime battute di Daniele Fedeli. Il passaggio dal dire al fare è ovviamente faticoso e turbolento, la somministrazione graduale a piccolissime dosi di morfina obbliga a una lenta tortura psicologica ed emotiva, e ciò si traduce benissimo nella compagine drammaturgica, riorganizzata in due parti: la prima in cui la maturazione della scelta passa per laboriosi confronti fatti di dialoghi che ridisegnano una certa geometria della relazione fra i tre, arricchiti da inserzioni d’immagini digitali (parte visuale curata da Luca Intermite), che rallenta coerentemente il ritmo dell’allestimento; la seconda in cui si concentra il vero e proprio piano d’azione con una sequenza di quadri più serrata certamente, ma che verso l’epilogo va scompaginandosi nell’ordine temporale, frenando ancora una volta bruscamente, al fine di riprodurre teatralmente il concetto dell’agonia, estendendone dolorosamente la durata. L’angoscia che ne deriva è scandita da respiro del totem Alex, il cui suono è abbastanza amplificato e che, imprevedibilmente, sembra non affievolirsi.

Ph. Luca del Pia

A compimento di questo lungo e laborioso percorso narrativo troviamo una struttura ad anello in cui l’epilogo rimanda al prologo e viceversa, forma in cui l’intenso lavoro multidisciplinare e attoriale implode. Se ne resta intrappolati ma senza accorgersene immediatamente! Love.-lies Bleeding infatti, richiede quel giusto tempo per essere decodificato nei linguaggi e nei segni scenici, così come per riconoscere nella raffinatezza con la quale si è lavorato sui singoli personaggi e nella scrupolosità dei dettagli a più livelli, una potenza espressiva che ha dato vita a un vivido e palpabile limbo di coscienze che, alla fine, non avranno alcuna soluzione consolatoria.

LOVE-LIES-BLEEDING

di Don DeLillo
traduzione Alessandra Serra
regia Giuseppe Isgrò
con Francesca Frigoli, Daniele Fedeli, Liliana Benini

scena e costumi Giovanni De Francesco, Edoardo Colandrea
disegno e architettura del suono Stefano K Testa
con la consulenza di Shari DeLorian
visuals Luca Intermite
dramaturg Matteo Colombo
cura del progetto Francesca Marianna Consonni
assistente alla regia Giulia Dalle Rive
spettacolo di Phoebe Zeitgeist, prodotto da Teatro E (Trento) con il
sostegno di Silent Art Explorer

Teatro  Elfo Puccini, Milano | 11 marzo 2025