RENZO FRANCABANDERA ed ELENA SCOLARI | RF: Di cosa parla al nostro tempo Testori? Da diversi anni sono assai numerosi gli allestimenti sia con produzioni importanti sia nella teatralità diffusa, quella che con gergo anni 70 definiremmo off, che ritornano su questo maiuscolo scrittore, prima ancora che drammaturgo. La figura di Testori, infatti, spogliata dell’infarcitura di carattere politico-concettuale, focalizzata in questo ritorno di interesse sulla poetica delle sue opere, si staglia con una rotondità che si fa sempre più nazionale, e che, tutt’al più, soffre di quella sindrome per la quale il teatro dialettale o in lingua del territorio, è quasi ad esclusivo appannaggio dell’idioma meridionale. È una forma di razzismo al contrario quasi, in base al quale pare che il dialetto del Nord Italia non appartenga in alcun modo al patrimonio identitario condiviso al di sotto del Po. Ed è una grandissima lacuna, perché la scrittura di Testori è intimamente, profondamente, concettualmente meridionale, per la sua capacità di descrivere minuziosamente, ossessivamente, in modo pirandelliano o eduardiano le persone, inteso questo termine sia in senso psicologico sia in senso etimologico come maschera. Ecco perché la regia di Muscato dell’Edipus di Testori è cosa sulla quale vale la pena spendere qualche parola, proprio perché abbatte le barriere macro regionali per focalizzarsi su questi aspetti della scrittura del poeta.
ES: Non suoni retorico ma per chi vive il teatro e di teatro con amore questo spettacolo è un’affettuosa e malinconica carezza, piena di bravura e di sincero sacrificio. L’Edipus di Testori è un dipinto carnale e insieme lirico di un’arte viva e fragile (come è scritto sul trono del protagonista) quanto vivi e fragili sono gli uomini e le donne che lo abitano.
Edipus è un pezzo della Trilogia degli Scarrozzanti insieme a Ambleto e Macbetto, opere della seconda metà degli anni ’70, ma nonostante la quarantina abbondante risuona ancora di un adamantino tintinnìo, attualissimo per la forza, lucido per la durezza e poetico per la trasparenza.
RF: Andato in scena al Filodrammatici di Milano con la sontuosa interpretazione di Eugenio Allegri, questo ripensamento dell’opera testoriana è finzione teatrale e dramma, eterno camerino, spogliatoio a vista e proscenio della vicenda umana.
ES: Eugenio Allegri è l’attore che si ritrova solo, abbandonato dai colleghi di compagnia, chi per finire a fare l’esecrato ma più redditizio cabaret, chi per sposare un benestante mobiliere di Meda. Il capocomico reciterà quindi tutti i ruoli della tragedia, in scena un guardaroba con i costumi di tutti i personaggi, vestiti e svestiti da Allegri con zelo e un po’ di trascinata stanchezza. La sua è interpretazione consapevole, è il lavoro di un attore che può permettersi di assumere anche un’aria un dimessa, all’occorrenza, perfetta per la figura di un fac-totum del palco, che sta lavorando umilmente nella sua carrellata tra Laio, Giocasta, Edipo… Di rado è tanto evidente quanto la scena sia casa, per l’attore, Allegri ci si muove proprio come tra cose sue.
RF: La recitazione che ibrida naturalismo e antinaturalismo, che si fa tragedia ed irrisione di se stessa, che costringe l’interprete e gli spettatori ad entrare ed uscire dai personaggi, sviluppa una ricchezza che richiama il testo e ricama attorno al testo con un approccio umile e proprio per questo sincero, profondo. La luce è bluastra, il palcoscenico diviso in due, con la parte posteriore che ospita un camerino e i vestiti, la parte anteriore il trono di Edipo e il letto. Pochi elementi varcano la soglia della tenda per diventare protagonisti del recitato, insieme all’attore che li muove. Tutto il resto è parola, affidata alla recitazione.
ES: La lingua di Testori è sempre eccezionale per coraggio e capacità di spiattellare anche le brutture, le volgarità, le numerose scene scabrose (e nella storia di Edipo le zozzerie – incestuose e non – non mancano) con un tormento ironico. Non trascura lo sporco della vita, anzi ci sguazza, con un atteggiamento mai ritroso e che colpisce, ancora oggi. Proprio per il misto di latinismi e di dialetto brianzolo italianizzato (i magiostri per magiuster, le fragole, per es.) si crea un effetto di contrasto, anche lacerante.
RF: sono piccoli gioielli che purtroppo vengono regalati a chi può raccoglierli; ma anche chi non nasce in questa terra può godere di una ricchezza semantica che si sviluppa su talmente tanti piani che è incredibile che Testori non venga programmato con maggior frequenza nel centro sud Italia. Perché è un peccato che un pubblico che ama così profondamente il teatro come quello di Napoli, Bari, Firenze, non possa godere di messe in scena e testi di questo grandissimo autore. Anche perché, Testori è una narratore autentico del post post decadentismo, di una società diventata disumana prima ancora che ultra umana. E il duo Muscato-Allegri rende con grande lucidità questa condizione miserabile.
ES: Allegri si traveste con costumi un po’ smandrappati, parrucche vistose, pellicciacce, è un Laio pontifex che ha la decapitazione facile e giustizia uno dopo l’altro tre imputati sorpresi in pubblico durante vari atti di fellatio omo o di pisciate in Chiesa; è una Giocasta che scopre le gioie erotiche attraverso gli amplessi incestuosi compiuti col figlio; è un Edipo furioso coi suoi genitori. E ne ha ben donde.
RF: Si tratta di una figura che incarna perfettamente la visione dell’autore sull’umanità, ma questo spettacolo raccoglie anche un altro punto, un’altra questione: interpreta cioè l’idea capocomicale che Testori, pur nel volerlo rivoluzionare nei modi e nella lingua, ha dell’ interprete e del teatro.
ES: Il Capocomico è un uomo che vive sulla scena, tra le quinte, sulle assi del palco e tra gli arredi del teatro, l’attore moltiplica le sue vite un po’ per disciplina un po’ per necessità. Ontologica. E resisterà. Come il teatro. Infino alla fine delle finis.