ILENA AMBROSIO | Senza paura. È stato un monito e insieme un invito il claim della IX edizione del Kids Festival svoltasi, come di consueto (salvo l’eccezionale edizione primaverile dello scorso anno) durante le festività natalizie a Lecce.
Affrontare questo nostro tempo e le fratture che lo hanno a più riprese interrotto non è impresa semplice, soprattutto non è semplice raccontarlo ai bambini e ai ragazzi, preservandoli dalla paura. L’arte può essere alleata? Può aiutare a elaborare e accettare il presente? La squadra del Kids Festival – formata dalle Compagnie Factory e Principio Attivo Teatro – ne è convinta e con la tenacia e l’entusiasmo che le sono congeniti ha realizzato un programma di spettacoli, laboratori e performance che è riuscito a ricucire le ferite degli ultimi anni ricostruendo una comunità numerosa e più che mai entusiasta di ritrovarsi.

Tra i lavori visti durante la due giorni del 2-3 gennaio, è sembrato che a fare da manifesto di questa mission sia stato Hamelin, ultima produzione di Factory.
Hamelin è il nome della cittadina situata nel nord della Germania nella quale è ambientata Il pifferaio magico dei fratelli Grimm, la cui trama è ben lontana da quella di una rassicurante fiaba della buonanotte: uno strambo pifferaio, in abiti multicolore, salva Hamelin da un’invasione di ratti, una vera epidemia, ma al rifiuto dei cittadini di riconoscergli la ricompensa promessa, l’artista di strada attira a sé con il proprio strumento fatato i bambini della città, conducendoli in una grotta dalla quale non faranno più ritorno.
La vicenda intreccia la fantasia a elementi di realtà: numerose sono infatti le testimonianze di questa sparizione e ancora oggi, nella via Senzatamburi di Hamelin vige il divieto assoluto di fare musica.

Tonio De Nitto rimaneggia il misterioso plot realizzando, nella drammaturgia scritta a quattro mani con Riccardo Spagnulo, un dispositivo scenico che viaggia su diversi binari. Muniti – all’inizio, nel mezzo e poi di nuovo alla fine – di cuffie differenziate tra adulti e bambini, gli spettatori accedono con l’ascolto alla cornice del lavoro: la voce (Sara Bevilacqua) della presentatrice di un programma di investigazione, genere Chi l’ha visto?, che indaga sul giallo di Hamelin. Dentro la cornice, piacevolmente ironica, la rappresentazione scenica affidata a un bravissimo Fabio Tinella il quale, nelle vesti di cantastorie esterno e poi dello stesso pifferaio, si avvale di molteplici codici espressivi – recitazione, teatro di figura, mimo, canto – e dello splendido carretto multifunzione realizzato da Iole Cilento e Luigi Di Giorno, per raccontare la sua storia.
E la sua storia è, nella rilettura di De Nitto e Spagnulo, quella di un artista rifiutato, beffeggiato e persino maltrattato, sottostimato da una società di adulti che non ne comprende il valore e la funzione e accolto, invece, dai bambini, che spontaneamente lo aiutano e lo seguono. I bambini riscoprono la propria libertà grazie alla musica, all’arte, a dispetto delle costrizioni imposte dai grandi.
Perché li avete rinchiusi nelle vostre gabbie sicure? Perché non li avete lasciati salire sugli alberi, sporcarsi nella terra, con le ginocchia sbucciate?… Permettete la corsa, lo stupore, lo sbaglio, permettete lo spreco, il gioco, il rumore e la musica, la musica, la musica. Per amarli meglio lasciateli andare.

Sulla scia di riflessioni maturate durante la pandemia, la controversa fiaba dei Grimm diventa allora rivendicazione del valore ma anche del potere magico dell’arte e insieme rito catartico che libera genitori e figli dalle limitazioni della paura.
Hamelin è un bel lavoro, che sa incontrare con intelligenza lo spirito adulto e quello infantile e che riesce ad assemblare senza forzature più linguaggi per dirsi e raccontarsi.

La rielaborazione di un passato doloroso, senza paura, è la medesima impresa della protagonista della coproduzione di Equilibrio Dinamico e La Luna nel letto: Anastasia. L’ultima figlia dello zar.
Coniugando il linguaggio della danza e la videoproiezione, la performance segue una drammaturgia diramata su due linee: il presente di una giovane donna ricoverata in un ospedale e il passato dei suoi ricordi che, un frammento dopo l’altro, ne ricostruiscono passato e identità. Un doppio piano, temporale e al contempo mentale, che la danza restituisce per mezzo del dialogo immaginario ma fisicamente concreto tra la protagonista e i personaggi dei suoi ricordi e tra questi e le videoproiezioni.

Michelangelo Campanale – che ha curato drammaturgia, regia, scene e luci – non è nuovo a questo genere di ibridazione: riuscitissimo il suo Cappuccetto Rosso che sapeva sfruttare tanto l’espressività della danza (firmata dalla Compagnia Eleina D) quanto l’icasticità delle fiabesche proiezioni.
Questo Anastasia sembra invece poco efficace nel restituire un immaginario già meno caratteristico – nella definizione degli attori della storia, degli spazi, dei gesti – di quello di una fiaba e non sufficientemente rielaborato dalla drammaturgia per risultare impattante tramite il codice coreutico.
Ne risulta comunque un lavoro con elementi e momenti di estrema bellezza: tra tutti i tentativi di Anastasia di replicare nella mente e nel corpo la danza giocosa che lei bambina e la nonna agiscono a centro scena, il bel lampadario che campeggia dall’alto, la ricorrenza dell’oggetto, un carillon, che fa da stimolo al processo mnemonico. Componenti che però non riescono a costruirsi in quella compattezza narrativa necessaria a tracciare i contorni della vicenda.

Non abbastanza nitido ci è parso anche il percorso drammaturgico di Totò degli alberi di Kuziba Teatro. Lo spunto è dal plot di Il barone rampante di Italo Calvino che una famiglia di teatranti del ‘700 cerca di mettere in scena tra scontri e acerrimi litigi. La componente metateatrale e metanarrativa, benché interessante e potenzialmente efficace, risulta macchinosa e poco lineare, forse bisognevole di un ulteriore labor limae drammaturgico che gioverebbe alla chiarezza del plot.

La debolezza del testo è però controbilanciata da una costruzione scenica davvero di effetto “wow”: un minuscolo teatro all’italiana interamente in legno e accessibile a un numero limitato di spettatori attraversando una porticina degna di un episodio di Alice nel Paese delle Meraviglie. In questo spazio ridotto gli interpreti si muovono con grande abilità e con studiato equilibrio  (a cura di Rossana Farinati il movimento impostato sul metodo Feldenkrais) costruendo e decostruendo gli spazi scenici, saltando, correndo e arrampicandosi ai palchetti della struttura. Una grande prova di teatro fisico che, più e meglio delle parole, riesce a veicolare l’idea di un’arte liberatoria, che offre – come fa con il protagonista del racconto – l’opportunità di superare i limiti imposti e autoimposti. Di superare la paura.

Semplice e limpidissima, invece, la scrittura di Otto Marco Mercante e del suo Farfalle. Storie di trasformazioni, una produzione Principio Attivo Teatro.
Avvalendosi dell’immediatezza del teatro di narrazione, il lavoro segue il filo di tre fiabe che ruotano intorno all’immagine della farfalla come organismo mutevole, in perenne trasformazione e dunque metafora dei cambiamenti che ciascuno affronta nel corso dell’esistenza. Un bruco in cerca dei propri simili racconta un bambino alla scoperta del mondo; una farfalla che si trasforma in bambina e poi in donna racconta di un’adolescente che scopre il proprio essere adulta e di un padre che accetta di lasciarla andare; la storia di una farfalla narcisista è quella della vecchiaia e della scoperta di quanto effimera sia la bellezza.

Mercante offre in voce la propria scrittura con estrema pulizia, ricorrendo a pochissimi oggetti di scena e a minimi cambi di costume – un tavolo, uno specchio, un paio di scarpe, una felpa – e affidandosi alla regia di Tonio De Nitto che sceglie di essere discreta – qualche cambio luce, un breve riff di passaggio tra le favole – per consegnare alla parola il senso di questo lavoro: un racconto (questo sì) della buonanotte ma che con delicatezza insegna che il mutamento fa parte della vita e che bisogna accoglierlo. Senza paura.

La IX edizione di Kids è stata interamente intessuta con questo filo rosso che ha attraversato il senso dei lavori in scena ma, soprattutto, il desiderio di esserci, luminoso nello sguardo degli artisti, degli organizzatori e del pubblico, specialmente in quello del pubblico. Il desiderio di esserci di nuovo e senza alcuna paura.

KIDS
Festival del teatro e delle arti per le nuove generazioni
28 dicembre 2022 – 6 gennaio 2023 | Lecce
ph. Giovanni William Palmisano