ELVIRA SESSA / PAC LAB*| La nuova creazione di Elena Arvigo, il monologo Appunti per il futuro, rilegge la seconda guerra mondiale e il disastro nucleare di Chernobyl attraverso lo sguardo di “piccoli grandi donne” scaraventate nella grande Storia. Lo fa con delicatezza e originalità, mettendo al centro non gli avvenimenti ma la condizione interiore di alcune testimoni. Un inno ai dettagli del quotidiano e, soprattutto, alla potenza dei sentimenti che, profeticamente, rivelano la demenza di ogni guerra e sopruso.
L’opera, che ha debuttato al Teatro Argot di Roma dal 4 al 6 aprile con prossimi appuntamenti al Teatro Out Off di Milano dal 24 al 27 aprile, inaugura una ulteriore tappa del progetto Le imperdonabili – donne testimoni scomode del loro tempo iniziato nel 2013 con lo spettacolo Elena o della guerra, tornato sui palchi pochi mesi fa, in veste rinnovata.
Arvigo, tra le più raffinate artiste della scena contemporanea, dà voce alle protagoniste degli scritti di Svetlana Aleksievich, giornalista e premio Nobel per la Letteratura.
Si tratta di donne impegnate nell’esercito sovietico a vario titolo, tiratrici scelte, istruttrici sanitarie, aviatrici, carriste e sopravvissute a Chernobyl (i riferimenti sono Una battaglia persa, La guerra non ha un volto di donna, Preghiera per Chernobyl).
Nei loro racconti, a lungo censurati e autocensurati, non ci sono eroi o mitiche imprese ma persone reali che soffrono nel vedere un altro uomo ferito o affamato e si vergognano di aver compiuto azioni incompatibili con la ‘didattica’ dell’odio voluta dalla guerra.

Ogni particolare è curato sin dalla prima scena: l’odore di erba tagliata accoglie il pubblico mentre prende posto in sala. L’attrice è intenta a tagliare gambi di fiori sparsi su un tavolo di legno. Poi è un susseguirsi di azioni silenziose nello spazio di un interno domestico accuratamente allestito da Arvigo e Maria Alessandra Giuri: una cassapanca, un tavolo lungo rettangolare, un tavolino rotondo pieno di libri, un paio di lumi, ricostruiscono gli ambienti di una stanza da pranzo e di uno studiolo.
Le atrocità della guerra, raccontate in questo ambiente domestico intimo, accogliente, con le luci calde e fisse di Pablo Canella, arrivano al pubblico come confidenze che rendono ancora più palpabile il contrasto tra i freddi e astratti programmi bellici e le vicende raccontate dalle protagoniste, nelle quali ognuno può ritrovarsi.

L’attrice è per lo più seduta e rivolta verso la platea, con la quale sembra intessersi un muto e intenso dialogo. La narrazione è affidata quasi esclusivamente all’espressività del viso e della voce. Lo sguardo si perde nei ricordi, si illumina, si incupisce, diventa tagliente. Sembra di assistere a una sequenza di primi piani che risucchiano lo spettatore nelle emozioni di chi racconta.
E la voce rende efficacemente le sfumature dell’anima: si fa morbida nel racconto di una infermiera russa che confessa di aver soccorso un tedesco ferito, tra gli spasimi di una corsia di ospedale ridotto a mattatoio, si fa energica nei ricordi della donna innamorata del suo comandante che si infiamma quando esclama: « La guerra è stato il periodo più bello della mia vita! » .
Arricchiscono la messinscena le foto d’archivio proiettate sul fondale raffiguranti giovani militari sovietiche e le musiche registrate, come quelle visionarie ed evocative di Olafur Eliasson, alcune canzoni popolari russe e il brano Il Disertore di Boris Vian interpretato da Ornella Vanoni.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Elena Arvigo e siamo partiti da una curiosità:
Gli oggetti di scena, numerosi e non casuali, al tocco della protagonista sembrano animarsi. Quanto contano questi elementi?
Moltissimo. In questo lavoro parlo attraverso gli oggetti e le azioni a essi collegate. Sono azioni quotidiane come versare il the, mangiare biscotti, ma sono anche azioni simboliche, come spegnere un piccolo mappamondo illuminato e riporlo nella cassapanca, sfogliare un album di vecchie foto, rovistare in una cassapanca ed estrarne un registratore e un abitino a pois. Gesti che ci ricordano che siamo esseri umani non fantasmi.
H o immaginato che i fiori freschi, che compro per ogni rappresentazione, fossero, nella scena iniziale, il mio omaggio alle donne di Aleksievich. Poi possono diventare i fiori deposti sulla tomba dell’amato. La collana a doppio filo di perle che indosso può ricordare sia le lacrime che il prezioso dono delle testimonianze. Un filo di perle, inoltre, che ha anche un valore affettivo perché è di mia madre.
Quanto c’è di Elena Arvigo in quest’opera?
Anche se ho scelto Aleksievich per il suo genere letterario così affine al mio passo e al mio sguardo, desidero scomparire come Elena. Il costume che indosso, una maglia e un pantalone neri, risponde a questa scelta. Ho cercato di vestire nel modo più neutro possibile per farmi attraversare da tante voci diverse.
Quali sono state le principali difficoltà nella messa in scena?
In uno spettacolo come questo la cosa più difficile è la misura, perché si tratta di dare corpo a testimonianze. Perciò l’interpretazione da un lato deve restituire l’intensità emotiva delle storie narrate in prima persona, quindi non può essere fredda, dall’altro non può essere troppo “recitata”.
Quali reazioni ha percepito nel pubblico?
La cosa più bella di queste prime serate è stato trovare, all’uscita, gli spettatori con il sorriso. Vuol dire che sono stata fedele al proposito di Aleksievich che non voleva rattristare ma dare la possibilità di scorgere, nelle situazioni più tragiche, forze irrazionali come la compassione, l’amore e l’amicizia.
L’infermiera russa che, con un gesto che non si spiega, soccorre il tedesco ferito e dice: «Io odio i tedeschi ma questo tedesco no», dà speranza.
Non a caso lo spettacolo si chiude proiettando sullo schermo le parole di Simone Weil: “Ci troviamo di fronte a un vicolo cieco dal quale l’umanità sembra che non possa uscire se non grazie a un miracolo. Ma la vita umana è fatta di miracoli (…). Per il fatto stesso che non c’è sempre la guerra, non è impossibile che ci sia per sempre la pace “.
APPUNTI PER IL FUTURO
da Una battaglia persa, La guerra non ha un volto di donna, Preghiera per Chernobyl di Svetlana Aleksievich, Il Libro del potere e La prima radice di Simon Weil
un progetto di e con Elena Arvigo
elementi scenici di Elena Arvigo in dialogo con Maria Alessandra Giuri
luci Pablo Canella
produzione di Compagnia Elena Arvigo in collaborazione con Teatro Out Off
Teatro Argot, Roma, 4 aprile 2025
*PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.