LAURA BEVIONE | Il Centro teatrale bresciano (CTB), da qualche tempo, si è fatto promotore di un interessante progetto, Teatro Aperto, dedicato alla drammaturgia contemporanea. Fra i nuovi testi presentati nella scorsa edizione vi era Apologia, secco e tuttavia intenso quadro di normale incomprensione familiare, scritto dal drammaturgo greco-britannico Alexi Kaye Campbell, autore, tra l’altro, del celebre – e celebrato – The Pride, portato in scena in Italia da Luca Zingaretti nella traduzione di Monica Capuani. Quest’ultima è l’autrice pure della versione italiana di Apologia che, visto il successo riscosso dalla lettura effettuata nel corso di Teatro Aperto, il CTB ha meritoriamente deciso di mettere in scena, affidandone la regia ad Andrea Chiodi e scegliendo come protagonista Elisabetta Pozzi.

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Foto Luca Del Pia

L’attrice è Kristin Miller, nota storica dell’arte, apprezzata in particolare per i suoi studi dedicati a Giotto e ora celebrata per la sua “autobiografia artistica”, intitolata appunto Apologia. Una scelta che potrebbe denotare un certo egocentrismo nella donna ma che, in realtà, mira alla sua volontà di celebrare un tipo di arte che, come quella di Giotto, ebbe anche uno spiccato contenuto rivoluzionario, riuscendo a smuovere le secolari fondamenta di sistemi di vita e di pensiero ritenuti immodificabili.

E, certo, la rivoluzione è un tema caro a Kristin che, fin dalla giovinezza, ha partecipato ai vari movimenti della protesta sviluppatasi a partire dal ’68, mossa dall’incrollabile convinzione di poter cambiare il mondo.

Una preoccupazione per il destino del mondo che, secondo i due figli – il banchiere Peter e lo scrittore fallito Simon, ben incarnati, rispettivamente, da Christian La Rosa e da Emiliano Masala – non ha mai comportato un’analoga inquietudine – o semplicemente interesse – nei loro confronti, cresciuti dal padre che, dopo il divorzio, li sottrasse alla madre senza che lei opponesse troppa resistenza, almeno apparentemente.

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Foto Luca Del Pia

Un’accusa dura che non scopriremo mai se del tutto fondata: Hugh, il fedelissimo amico/fratello di Kristin, (Giovanni Franzoni), si ostina a ripetere a Peter, con affetto misto a vaga minaccia, che lui e il fratello «non sanno nulla». E, in fondo, nei rapporti interpersonali ciò che conta non è certo la verità dei fatti – quale poi? – quanto il sentimento che essi hanno sedimentato nella memoria; in ricordi che l’incapacità di instaurare una relazione schietta con la madre rende più vivi e “reali”…

Campbell condensa contraddizioni e incomprensioni del rapporto fra madre e figli – ma pure fra madre e rispettive fidanzate dei figli, l'”americana” Trudi (Francesca Porrini) che ha conosciuto Peter durante un incontro di preghiera, e la diva di una soap opera, Claire (Martina Sammarco), prossima a lasciare Simon – in meno di ventiquattro ore: una cena, una notte, una colazione.

La “famiglia” si è riunita per festeggiare il compleanno di Kristin ma fin dall’arrivo di Peter e Trudi è chiaro come il dialogo con la donna non possa mai essere sincero bensì quasi inconsapevolmente sorvegliato, prudente, salvo poi sfociare inevitabilmente in scoppi d’ira.
Kristin critica, quasi non rendendosene conto, l’impiego da banchiere del figlio ed è allibita dal venire a sapere del suo avvicinamento alla religione; spiega con una certa condiscendenza a Trudi la straordinaria novità dell’arte di Giotto; contesta le scelte artistiche e di vita di Claire e, nel momento in cui giunge Simon, è incapace di ascoltarne davvero i pensieri.

Una donna intelligente e sensibile, abile nell’analizzare e interpretare un’opera d’arte e spinta da autentico altruismo a partecipare a manifestazioni e iniziative aventi quale scopo quello di sconfiggere violenza e ineguaglianze. E una donna, pure, inguaribilmente snob e sorda a motivazioni, desideri, paure anche, di chi le è accanto. Kristin potrebbe essere un prototipo dei tanti sessantottini trasformatisi in piccoli borghesi intolleranti e, appunto, snob. Ma Campbell è abile a scansare lo stereotipo e a complicare la situazione, scegliendo di non prendere posizione e rifiutando, così, una confortevole visione manichea della realtà. Poiché, in fondo, il torto e la giustizia non stanno mai completamente da una parte oppure dall’altra e incoerenze e contraddizioni punteggiano pure le esistenze di Simon e di Peter, di Claire e di Trudi.

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Foto Luca Del Pia

Il drammaturgo scrive un play serrato e schietto, senza indulgere nel pathos e nel compiacimento retorico e senza prendere posizione né per la madre né per i figli e le “nuore”. Scelta che non è da addebitare a viltà quanto frutto di una matura consapevolezza dell’inestricabile complessità del cuore e dell’animo degli uomini, di fronte alla quale non resta che mettere sulla pagina bianca fatti e parole così come si presentano e sospendendo un – impossibile forse – giudizio.

Una maturità compresa e rispettata dalla regia che, con intelligente discrezione, dà efficacemente spazio al dialogo, ricco e incalzante, e alla caratterizzazione dei personaggi da parte del compatto ed efficace cast, guidato dalla mirabile Elisabetta Pozzi, dolente e, allo stesso tempo, testardamente sicura di sé.
Uno spettacolo che declina, in chiave contemporanea e sprezzante dell’obbligo di indicare una “morale”, la frequentatissima tematica dell’incomprensione familiare.

APOLOGIA

di Alexi Kaye Campbell
traduzione Monica Capuani
regia Andrea Chiodi
scene Matteo Patrucco
costumi Ilaria Ariemme
musiche Daniele d’Angelo
luci Cesare Agoni
interpreti Elisabetta Pozzi, Giovanni Franzoni, Christian La Rosa, Emiliano Masala, Francesca Porrini, Martina Sammarco
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile di Catania

Teatro Sociale, Brescia
5 maggio 2019