RENZO FRANCABANDERA | A volte le cose prendono forma e comprensione casuale nella giustapposizione degli eventi con le geografie. Certi segni, che magari sarebbero comunque ricchi di senso, si  amplificano nel loro riferirsi alla geografia che li ospita. Capita così di distogliere lo sguardo dal segno lasciato sulla superficie di sabbia bianca, forse sale, dalla performer Soa Ratsifandrihana, che alternandosi nelle repliche a Yuika Hashimoto, ripropone in questa 27esima edizione di Fabbrica Europa, un superclassico della danza, Violin Phase, di Rosas, terzo dei quattro movimenti che compongono Fase, Four Movements to the Music di Steve Reich, la prima performance creata da Anne Teresa De Keersmaeker che ha debuttato nel 1982 a Bruxelles. Praticamente negli anni in cui nasceva anche Fabbrica Europa.

La composizione sonora Violin Phase è stata scritta dal compositore minimalista Steve Reich nell’ottobre 1967. È un chiaro esempio della tecnica di phasing precedentemente utilizzata in It’s Gonna Rain, Come Out, Reed Phase e Piano Phase, in cui il la musica non è creata propriamente dagli strumenti, ma dall’interazione di variazioni temporali nella melodia originale.
Violin Phase è il terzo pezzo di una serie di composizioni strumentali (insieme a Reed Phase e Piano Phase) in cui Reich ha studiato la possibilità di “phasing” o micro-cambiamenti nella musica spesso eseguita dal vivo.

Come è possibile apprezzare nel seguente video che ripropone alcuni spezzoni dei quattro movimenti che compongono Fase, la logica alla base della dinamica cinetica e coreografica è sostanzialmente analoga, un filo che lega le parti e cerca non solo una rappresentazione nel corpo ma finanche una rappresentazione grafica del movimento. Se ne avvede lo spettatore quando a fine spettacolo si approssima al palcoscenico in cui la leggera sabbia bianca permette una visione precisa dei passi compiuti dalla danzatrice e si avvede che in quella apparente casualità, costruita attorno ad un movimento circolare in andirivieni delle braccia sull’asse del corpo, per terra si è composta una traccia molto precisa, nitida. Un segno non indelebile, ma che racconta.
Un cerchio diviso in parti uguali. Una torta fatta a spicchi. Come capita nella natura, apparentemente caotica e casuale ma in realtà capace di architetture e geometrie profonde che ora l’uomo poco conosce e valorizza.
In quest’ottica, davvero piace l’accostamento, di cui si apprezza la non casualità, fra questo segno lasciato dai passi della artista e la topografia del luogo scelta dalla direzione artistica di Maurizia Settembri per ospitare la performance.

Siamo infatti nel centro del Parco delle Cascine a Firenze, vicini alla sede che da qualche anno ospita Fabbrica Europa. Le otto viottole che suddividevano la zona di caccia del parco, poi ristrutturato nel 2004 da un intervento di qualificazione sono una esatta corrispondenza fra il grande segno della natura antropizzata e questo ulteriore sema, emblema, esattamente come questa edizione del festival, di un nuovo territorio del contemporaneo da ripensare attraverso un respiro collettivo, comunitario, politico, vivo, attraverso l’indagine e le misure dello spazio.

Chissà quanti spettatori hanno raccolto questa coincidenza di segni, questa sovrapposizione fra il segno dell’arte e la connotazione geografica che lo ospita. Siamo molto distratti rispetto al mondo. Osserviamo poco e male quello che ci circonda. L’orientamento è ormai solo possibile attraverso dispositivi elettronici. Non cerchiamo più riferimenti con lo sguardo, analogie. Abbiamo perso il legame profondo. Nulla ci radica, nulla abitiamo profondamente. Siamo una comunità senza terra, più legati ad ambienti virtuali che alla realtà fisica che viviamo e che ci sta attorno.
Fabbrica Europa 2020, dal 3 settembre all’8 ottobre, trova vita all’interno e all’esterno del PARC Performing Arts Research Centre, in scorci verdi del Parco delle Cascine, ma anche sul palco del Teatro Studio di Scandicci (grazie alla collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana), del Teatro Cantiere Florida e del Teatro Puccini.
Ieri il tutto ha preso avvio nel Parco.

In questo tentativo di ridefinizione di senso nei luoghi, Fabbrica Europa, con questa opera che avvia la 27esima edizione, ci invita a ritrovare una ritualità antica e contemporanea, che risponda all’esigenza di un riconoscersi ma forse anche a cercare la ritualità dei segni e delle geografie che ci rircondano.
È il rimando che in fondo fa anche la coreografa De Keersmaeker quando utilizza la struttura minimalista di Steve Reich per sviluppare un linguaggio del corpo che non è didascalia del segno musicale, ma a sua volta tenta di spiegarlo, conoscendone l’intima struttura, per poi slittare dalla sincronia verso una sorta di frattale in continuo cambiamento, la cui compiutezza ci appare chiara solo quando l’operazione si compie.

Come tutto ciò che si muove in modo circolare restiamo ipnotizzati a scomporre quella dinamica, ad associarla e sincroni e asincroni. Leviamo poi l’occhio al cartello e ci troviamo iscritti in un cerchio più grande, che a sua volta sta dentro altre forme. Altri sensi e significati, il “βίος” che la performance esige per esistere, nella continuità del segno con lo spazio, le architetture e l’ecosistema con connessioni di continuità.

Sono le stesse continuità che il formale e l’informale della natura crea e che il collettivo Zu (Jacopo Battaglia, Luca T Mai, Massimo Pupillo) e il video artista Lillievan mettono assieme nella performance video/sonora Terminale Amazzonia.

Parliamo di un gruppo di musicisti che da una ventina di anni seguono liberamente la propria ispirazione lungo percorsi sempre nuovi, con ben diciotto pubblicazioni all’attivo e oltre duemila concerti in tutto il mondo.
Il progetto Terminalia Amazonia  è un lavoro nato sul campo, dai viaggi che i membri del gruppo hanno fatto in un remoto villaggio amazzonico immergendosi nella cultura degli Shipibo-Conibo.
Partendo dalle melodie raccolte nei cerimoniali di guarigione, hanno imbastito un’elettronica magmatica che, insieme alle immagini realizzate dal visual artist berlinese Lillevan, ci porta in un mondo astratto e che di tanto in tanto riporta alla realtà della natura, della geografia.
Un tutto pieno sia sonoro che visuale, dove forse manca la pausa, l’intervallo che permetta all’occhio di raccogliere con precisione alcune combinazioni che probabilmente risulterebbero ancora più potenti nell’associarsi all’ancestrale che ognuno di noi ospita.

Il programma di Fabbrica Europa è disponibile a questo link.

VIOLIN PHASE

coreografia: Anne Teresa De Keersmaeker
danza: Yuika Hashimoto / Soa Ratsifandrihana
concept: Thierry De Mey
musica: Steve Reich – Violin Phase (1967)
violino (registrazione): Shem Guibbory
coordinamento artistico e planning: Anne Van Aerschot
direzione tecnica: Marlies Jacques
tecnico: Quentin Maes
Violin Phase è stato creato al Dance Department della New York University’s Tisch School of the Arts ed eseguito per la prima volta nell’aprile 1981 al Festival of Early Modern Dance, Purchase, New York.
Rosas beneficia del sostegno della Comunità Fiamminga e della Fondation BNP Paribas.

TERMINALE AMAZZONIA

di ZU Lillevan

ZU (Jacopo Battaglia, Luca T Mai, Massimo Pupillo): live electronics
Lillevan: visual