SARA PERNIOLA | Le trasformazioni sociali e il concetto di famiglia in continua evoluzione, la distanza e i nuovi modi di lavorare, hanno determinato, nel corso del tempo, un significativo cambiamento relazionale. I legami, così, hanno assunto forme diverse rispetto al passato, mutando il modo di comunicare e di esprimere affetto, di supportare e di condividere.
4000 miglia della compagnia teatrale MaMiMò si concentra proprio sul tema della relazione intergenerazionale, percorrendo il rapporto tra una nonna e il suo giovane nipote, ormai adulto. Ha debuttato a Bologna ed è stato rappresentato dal 21 febbraio al 5 marzo al Teatro delle Moline: con questo spettacolo la regista Angela Ruozzi ha voluto confrontarsi con la scrittura della pluripremiata autrice statunitense Amy Herzog, il cui testo 4000 miles è risultato vincitore dell’Obie Award nel 2011, nonché finalista al Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 2013.

La traduzione di Monica Capuani ripropone sia la delicatezza e la vivacità dell’opera originale sia lo stile della drammaturga, particolarmente nota per la sua capacità di scavare nei personaggi, raccontando un presente che parla tramite le voci di individui dalle brulicanti complessità interiori ed emotive. Leo e Vera, infatti, sono i protagonisti di un intimo intreccio familiare che viene mostrato in tutta la sua purezza e nell’intenso garbuglio dei sentimenti, creando un attaccamento e una connessione nei suoi confronti che permeano anima e testa di noi spettatori anche fuori dal teatro, a fine spettacolo.
La storia – ambientata ai giorni nostri nel cuore di West Willage, a Manhattan – è quella di un ventenne un po’ hippie che irrompe nella casa della sua esuberante nonna di novantadue anni, dopo un lunghissimo viaggio in bicicletta lungo le coste americane; un’esperienza dal potere ipnotico in piena crisi identitaria post-adolescenziale.
La narrazione si articola in diverse parti teatrali – microsequenze giustapposte come fossero i singoli episodi di una serie tv antologica – dall’accurato montaggio registico, in cui vengono raccontate alcune vicende dei due protagonisti: di Vera l’amore per gli ideali comunisti e la solitudine, i ricordi su due passati matrimoni e le difficoltà quotidiane per la vecchiaia; di Leo le storie adrenaliniche e l’incapacità di dare un nome al proprio sentire, i giovani amori e l’ansia errante nel cercare di trovare risposte.
Due universi apparentemente inconciliabili, i quali, in realtà, si attirano a vicenda, esplorandosi: la confessione della morte improvvisa del suo migliore amico durante le pedalate in Kansas e gli ambigui sentimenti nei confronti della sorella adottiva ci mostrano, infatti, in Leo un adulto; mentre una riscoperta vitalità e l’assecondare nuovi stimoli rivelano un’anziana desiderosa ancora di giovinezza.

ph. Alice Vacondio

ll tema del viaggio – fisico e interiore – permea, dunque, tutto lo spettacolo: è materialmente di fronte ai nostri occhi quando Leo, sfinito e bisognoso di cure, entra nel salotto di Vera con bicicletta, zaino e sacco a pelo, o quando la nonna svuota la cesta dei suoi panni sporchi per lavarli.
Concettualmente, invece, è come se si strutturasse in questo modo: è un percorso riuscito quando permette che si realizzino dei cambiamenti, come, in questo caso, la variazione di senso della distanza e dell’estraneità dovute all’appartenenza a generazioni diverse. Il coinvolgimento emotivo è profondo, essenziale: celebra l’insostituibilità e la sacralità di quei legami che fanno nascere un sentimento di essere insieme immediato e fuori dal tempo, la “famiglia dell’anima” di cui parla Jung.
Il viaggio ricorda, però, anche spazi sconfinati e giorni e giorni di stanchezza ininterrotta, la freschezza degli amori e le folli avventure sotto il cielo, una sorta di omaggio a John Kerouac e al suo On the road, popolato da personaggi che, in marcia, si nascondono dal mondo riflettendo sulla complessità della vita, in una mescolanza di anime.

Questa coerenza drammaturgica si presenta, poi, anche sul piano scenografico. Il palco è, infatti, illuminato con luci soffuse e lo spazio è riempito, al centro, da un divano arricchito da cuscini; quattro lampade a piantane e un tappeto intarsiato e spesso; pile di libri antichi, sparsi qua e là. Il salotto di Vera è, così, un accogliente luogo di incontro, racconto, rielaborazione del tempo presente.
Iniziamo ad ambientarci all’interno del teatro sfogliando un taccuino che le maschere ci danno all’ingresso, un diario di viaggio che fa parte della pièce traboccante di foto, ricordi e pensieri di tutti i personaggi, e che consultiamo ogni volta che la luce lo consente. Una scelta registica interessante e intelligente, poiché incuriosisce gli spettatori e permette loro di creare una “forma gruppo” già dall’inizio, con uno scambio di opinioni reciproche.
Si rafforza, in questo modo, il rapporto tra i performer e il pubblico, riducendo al minimo la sospensione dell’incredulità e spingendo chi è presente a ragionare su che cosa sta guardando. 

ph. Alice Vacondio                                                                                                                

Le attrici e gli attori – Lucia Zotti nel ruolo di Vera, Alessio Zirulia in quello di Leo, Lorena Nacchia e Annabella Lu interpretano, rispettivamente, Beck, l’ex fidanzata di Leo, e Amanda, la nuova fiamma – hanno un abbigliamento casual, conforme, ognuno, alle singole personalità. Hanno anche un linguaggio verbale e fisico dirompente, che attrae da subito; un approccio all’improvvisazione che risulta essere comunque ben calibrato e partiture fisiche mai debordanti. Un lavoro sapientemente strutturato e dall’intrattenimento ben riuscito, che considera la scena un luogo dove dare forma ai contenuti con un preciso ritmo. Una linea teatrale promossa, poi, sul piano performativo con interpretazioni coinvolgenti, che mostrano un ammirevole equilibrio tra tecnica e (in)credibile spontaneità.

4000 miglia è, insomma, uno spettacolo che riconduce a un sentimento autentico come la complicità mentre veniamo cullati, fin dall’inizio, dalle note di Tenderly di Ella Fitzgerald; fa riflettere sulla potenza di un’eredità fatta di valori inestimabili, permettendoci di affrontare l’oggi seguendo la logica di una caparbia tenerezza. 

4000 miglia
di Amy Herzog                                                                                                                 regia Angela Ruozzi                                                                                                               con Lucia Zotti                                                                                                                       e con Alessio Zirulia, Lorena Nacchia, Annabella Lu                                              traduzione Monica Capuani                                                                                                     scene e costumi Stefano Zullo                                                                                                luci Giulia Pastore                                                                                                         grafica Eva Miškovičová                                                                                            produzione Mamimò – Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro nazionale

4000 Miles è stato prodotto per la prima volta nel 2011 dal Lincoln Center Theater di New York

4 marzo 2023
Teatro delle Moline, Bologna