RENZO FRANCABANDERA | Si chiamano Dual Band perché in principio erano solo due: Mario Borciani e Anna Zapparoli, compagni di vita. Lui musicista e compositore di teatro, lei attrice e cantante di teatro. Hanno cominciato nel 1997 scrivendo canzoni. Lei si è appassionata alla parola e ora, in quello che ormai è diventato un gruppo si occupa del Reparto Parole, siano esse in rima o in prosa, e quindi della drammaturgia. Anche gli altri attuali membri della compagnia appartengono ai due mondi, sono attori che cantano o cantanti che recitano.

Abbiamo rivolto alcune domande ad Anna Zapparoli.

Qual è il rapporto che unisce musica e teatro nel vostro lavoro?

Siamo sempre stati affascinati da quel crinale sottilissimo che separa – o unisce – il teatro e la musica: da Monteverdi ai Beatles. La parola cantata è soltanto una fattispecie della parola tout court. Sempre si sta parlando, anche quando si canta. Amiamo questo mondo bastardo fatto di contaminazione e impurità.

Che tipo di ricerca storica fate per i vostri spettacoli?

Ogni nostro concerto-racconto ha la sua storia, e per ognuno partiamo da una prospettiva diversa, anche se poi la struttura dello spettacolo è sostanzialmente la stessa, cioè l’alternanza di musica eseguita dal vivo e di scene teatrali, tratte in genere da lettere, diari, testimonianze di contemporanei.  

Lo spunto è sempre la personalità del compositore, la cui vita è non di rado in contrasto con le opere: sono le curiosità ad attirarci, la quotidianità: Mozart che canticchia temi del Flauto Magico mentre gioca a biliardo, Beethoven che scrive lettere urgenti a un pescivendolo perché gli mandi una carpa e intanto lavora alla Nona Sinfonia, Schubert che crea la Winterreise e nel contempo frequenta ambienti equivoci. La ricerca storica si basa dunque sui documenti, oltre che, come è ovvio, su un’approfondita conoscenza del repertorio musicale.
Per certi compositori è difficile trovare testimonianze di prima mano. Per un Beethoven che riempie quaderni e quaderni di annotazioni e la cui vita è in qualche modo pubblica, c’è uno Schubert che scrive qualche decina di lettere in tutta la sua vita e si trascina, ignorato e solitario, per le strade di Vienna. Ma, quando ci siamo trovati a voler parlare di Robert e Clara Schumann, grande compositore lui, grande pianista lei per lo spettacolo Troppo brava – La romanzesca romantica storia d’amore di Clara e Robert Schumann che andrà in scena il 12 maggio, i materiali storici ci si sono squadernati davanti con tale incredibile abbondanza da rendere fin difficile la scelta. Lettere, recensioni, saggi critici, e diari, diari, diari… addirittura, un diario “a quattro mani”, tenuto dai due coniugi per quattro anni e non privo di risvolti comici.

Durante le nostre ricerche ci ha sorpreso che  i personaggi, non solo Clara e Robert, ma anche Friederich Wieck, “terribile” padre-impresario di Clara, Johannes Brahms, l’eletto”, il giovane compositore che strinse una così complessa relazione sia con Robert sia con Clara, avrebbero evidenza anche se non fossero grandi artisti; sono archetipi teatrali che sarebbero potuti uscire dalla penna di un Ibsen, di uno Strindberg, di un Cechov. Clara, trattenuta dal marito dall’andare in tournée, grida cechovianamenteA Londra, a Londra” e si aggira infelice per casa come Nora in Casa di Bambola. Possiamo dire che, forse, questo è più un racconto-concerto che un concerto-racconto.
La ricerca dei documenti porta sempre scoperte strane e affascinanti, e talvolta spalanca prospettive nuove su intere epoche storiche. Individuare il repertorio musicale invece è stato più semplice poiché Mario Borciani è pianista, oltre che compositore, abbiamo scelto di eseguire per lo più musiche per pianoforte di Schumann e di Brahms, che sono ampiamente rappresentative della poetica di entrambi.

A chi si rivolgono i vostri spettacoli?

I nostri spettacoli si rivolgono a tutti. Questo è il nostro sogno: riuscire a raccontare cose alte (spesso lavoriamo coi classici: Dante, Omero, Shakespeare, Ariosto) in modo che chiunque possa incuriosirsi e sentirsi magari vicino a autori o personaggi. In questo senso recitare per le persone giovani e giovanissime è una grande soddisfazione, perché hanno la mente meno ingombra. Un tempo la “scolastica” era vista dagli attori come qualcosa di scocciante: oggi è una grande soddisfazione. C’è grande attenzione. Lo vedi dopo lo spettacolo dalle domande che fanno, a volte davvero profonde. Ricordo un ragazzo di 16 anni di un istituto tecnico che ci ha chiesto: “ma secondo voi il tema principale della Tempesta è la libertà, la solitudine o la magia?”

Nello specifico dei prossimi due appuntamenti ci rivolgiamo a persone che amano molto la musica, in due direzioni completamente diverse. Il primo è un concerto-racconto: un format che usiamo frequentemente. L’abbiamo fatto con Monteverdi, Mozart, Beethoven, Schubert, e i Beatles.
L’appuntamento successivo illustra un altro aspetto importante del nostro lavoro: quello della composizione originale di musical da camera. Si tratta del monologo di Molly Bloom, che andrà in scena il 30 maggio, tratto dall’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce, che abbiamo scritto nel 1999 per i Filodrammatici di Milano, e che successivamente girò parecchio, andando a Roma, e, nella versione in inglese, a Edimburgo (dove fece scandalo!!) e Londra. L’abbiamo ripreso in mano per questa nuova edizione al Cielo sotto Milano, e siamo contenti di averlo trovato non troppo invecchiato. Questo è un genere più pop. Molly è una cantante, e i suoi riferimenti musicali a canzoni e canzoncine sono moltissimi. La grande sfida qui era restituire il senso del flusso dei pensieri che scorrono uno dentro nell’altro, che Joyce rende omettendo la punteggiatura. Saremo in scena con un’attrice cantante e un ensemble di pianoforte, tastiere, clarinetto e batteria.
Questo spettacolo non è per tutti, nel senso che i temi sono a tratti molto scabrosi, anche se l’oscenità joyciana è sempre altissima poesia. Si parla di sesso, si parla a tratti con irriverenza di religione: è giusto che lo spettatore ne sia avvertito in anticipo.

Che tipo di progettualità portate alla città di Milano?

Tante, tantissime! Molte dipendono da esiti di bandi, ma certamente la stagione teatrale 2023-24 sarà piena di sorprese. Come sempre sarà un misto di teatro e musica, e come sempre ci sarà una sezione di teatro in lingua inglese.
Ma a parte il cartellone, sempre più, per una compagnia come la nostra, si configura un cambiamento importante, che potrebbe quasi considerarsi una “mutazione genetica”: da far teatro considerato come puro serviziopotremmo dire “teatro PER”si sta passando a un teatro in cui la distinzione tra pubblico e attori si fa più tenue. Un teatro partecipato, che potremmo definire “teatro CON”. E in questo senso abbiamo stretto alleanze con diverse realtà – scuole, doposcuola – che lavorano con ragazzi “difficili”, che attraverso il teatro riescono a trovare un poco se stessi. E difficile lo è anche per noi, molto, questo nuovo lavoro. Si tratta ovviamente di percorsi lunghi, laboratoriali, in cui tutto, dalla drammaturgia alla messa in scena, è fatto coi ragazzi. Dobbiamo imparare tanto anche noi, però dà grande soddisfazione.

Come è nata questa idea del teatro in lingua inglese?

Tutto è cominciato nel 2016, con i 400 anni di Shakespeare. Ci cercavano tutti, perché metà della nostra compagnia è madrelingua inglese. E così, piano piano, siamo diventati un punto di riferimento in città. Di Shakespeare abbiamo in repertorio Romeo and Juliet, The Tempest e il MidsummerNight’s Dream; poi abbiamo una Alice dai libri di Lewis Carroll (per adulti e bambini); un Dickens, A Christmas Carol; un Oscar Wilde, The Importance of Being Earnest, e infine un Pinter, Betrayal.

Lavoriamo con le scuole, ma abbiamo anche un pubblico adulto affezionato. Anche perché ci sono sempre i sopratitoli, quindi si capisce tutto.
L’anno prossimo lavoreremo probabilmente sulle Histories shakespeariane, purtroppo attualissime. La violenza del potere come la racconta lui non l’ha raccontata nessuno, e, diciamoci la verità, The Crown e House of Cards attingono a piene mani da lui. Ecco, sarebbe bello fare del teatro a puntate. Netflix, ma con sceneggiatore il vecchio Will. Intanto, l’anno prossimo, la puntata pilota.