Aventure SteinMARIA CRISTINA SERRA | Londra e Parigi a confronto sulla strade dell’arte. Rive Gauche e Rive Droite si specchiano nelle acque della Senna con due importanti mostre in contemporanea (fino al 18 gennaio): “Beauté morale et volupté” nell’Inghilterra di Wilde al Musée d’Orsay, e “L’aventure des Stein” al Grand Palais (da febbraio a giugno al Fine Arts Museum di San Francisco e al Met di New York). Matisse, Cezanne, Picasso, Renoir risplendono nei saloni del Palais, sullo sfondo della vita artistica e bohémienne della Parigi al debutto del XX° secolo e della saga familiare dei fratelli Leo, Gertrude e Michael Stein e di sua moglie Sarah.

Famiglia borghese cosmopolita di origine ebraica, benestante, intellettuale per vocazione, rigorosa per scelta di vita, tutta dedita all’arte, sostenuta da una sensibilità e un’intuizione speciali, per scorgere la genialità moderna nelle opere di artisti ancora sconosciuti.

Il loro salotto al numero 27 di Rue de Fleurus, vicino Saint Germain, si trasformava ogni sabato sera nel centro d’avanguardia letteraria ed artistica più stimolante della “ville lumiére”. Gli arredi modesti ospitavano le conversazioni delle maggiori intelligenze del momento, e il confronto acceso delle idee non convenzionali aveva come cornice una preziosa collezione (per lo più autori ancora poco noti) di quadri appesi senza una logica apparente, con stimolante disordine, in ogni angolo della casa. “Abbiamo cercato di rintracciare la cronologia delle acquisizioni, gli spostamenti delle opere attraverso gli anni, che vanno dal 1902, con l’arrivo di Leo a Parigi, al 1946 con la morte di Gertrude”, spiega una delle curatrici, Laurence Caillaud.

L’itinerario in otto sezioni racconta la passione per l’arte e le ambizioni culturali degli Stein, documentate dalle foto private della famiglia, che era solita registrare con meticolosa precisione ogni acquisizione e la vivace vita di relazione, con una sorta di spontaneo sguardo pieno di curiosità per i fermenti parigini. Una mostra nella mostra attraverso un laboratorio unico e irripetibile di approccio all’arte moderna, partendo dalle private stanze, in cui si sono dipanate le strade dell’arte del ’900.

I “Four Big”, come Leo chiamava Cezanne, Monet, Degas e Renoir, sono le pietre miliari della collezione e danno l’incipit al percorso. Alla morbidezza perlacea della “Bagneuse assise”, di Renoir fanno da contrappunto i colori pieni di sostanza di Cezanne. I corpi delle sue “Cinq bagneurs”, concretezze che si proiettano all’assoluto, sono “materia viva” inserita nella natura, come elementi complementari ad una costruzione in cui “il paesaggio si riflette in me”, diceva il pittore, “ed io divento la sua coscienza”. Il suo profondo realismo che trascende le apparenze, ci introduce al visibile, sempre difficile da afferrare se non si hanno occhi fatti di cuore e mente, riformulando la geometria e la distanza fra le cose.

Il ritratto di “Madame Cezanne col ventaglio”, acquistato da Leo nel 1904, sarà una rivelazione agli occhi di Gertrude: “Cezanne mi fece comprendere che in una composizione ogni cosa ha la sua fondamentale importanza ai fini dell’armonia”, scriverà nelle sue memorie, “e indirizzò tutta la mia visione di letterata”.

I girasoli sulla sedia di Gauguin brillano di calda luce propria. Il bianco-nero, vellutato di Manet nella “Scena del ballo” getta una luce inquietante e un’ombra rassicurante sulla realtà. Sui canapè rossi vellutati del “Salon” di Toulouse-Lautrec le prostitute, modelle ideali prive di artifici, attendono pazientemente composte i loro clienti. Struggente, dignitosa umanità tratteggiata con linee sinuose e sicure. I disegni di Degas catturano il faticoso lavoro delle ballerine. C’è tutta la naturalezza dell’intimità svelata nella sensuale “Siesta” di Paul Bonnard. La sua donna con il corpo carezzevole di pelle lucente, sottile, si allunga nuda, supina, sul letto sfatto, incastonato nei motivi floreali dai colori pastello della carta da parete che accentuano il calore e la profondità lirica della scena.

L’esplosione squillante di colori innaturali della “Femme au chapeau” di Matisse, ritratto “scabroso” della moglie Amelie, quasi una cancellazione di femminilità, con lei seduta obliqua, mentre un raggio verde le attraversa verticale il viso, inaugurerà la stagione “fauviste” e caratterizzerà l’avventura degli Stein, scopritori e mecenati di talenti.

Il giovanissimo, impacciato Pablo Picasso fu introdotto nel salotto buono dell’arte nella primavera del 1905. Fra la massiccia, intelligente Gertrude e il sanguigno, ambizioso Picasso fu subito colpo di fulmine, suggellato da un ritratto ieratico, severo, scolpito, anticipando così la nuova percezione “mentale” della realtà: “brutta”, rivoluzionaria, scomposta, così come appare nelle “Madamoiselle d’Avignon”, il manifesto del Cubismo, che poi spezzerà ulteriormente in schegge senza tempo e deformazioni prospettiche dello spazio. I quadri “Blu” di Picasso e i “Rosa” ci avvicinano alla sua arte “non cercata, ma trovata”. “Non mi occupo di meditazioni né di sperimentazioni”, affermava. L’essenzialità delle sue prime, malinconie monocromatiche dalle infinite sfumature, si alternano con le nubi colorate che si liberano sconfinate e colme di gioia di vivere nelle tele di Matisse. Sempre rivali i due: armonia delle forme e vitalismo senza limiti ancora oggi a confronto.

In Inghilterra, invece, la ricerca della modernità e l’antagonismo verso la tradizione e il puritanesimo vittoriano, nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, assunse le sembianze di un edonismo che aspirava a fare dell’esistenza stessa un’opera d’arte. “Di fronte alla durezza della vita operaia, ben descritta da C. Dickens, la società inglese restava essenzialmente aristocratica e rigida”, spiega Yves Badetz, curatore di “Beauté, morale et volupté en Angleterre”. Il personaggio controverso di Oscar Wilde, per la sua acutezza e per la tragica vicenda umana ed artistica “illustra bene lo spirito dell’epoca. Il Movimento Estetico sottintende una forma di apertura sociale nella struttura monarchica solidificata, nella quale gli artisti rimanevano ai margini”. Recupereranno il loro ruolo, estendendo la loro visione della realtà centrata sulla bellezza verso ogni direzione. La mostra dell’Orsay racconta questo percorso, iniziando dalle opere degli artisti “preraffaelliti”, come Burne Jones, Rossetti, McNeill Whistler, Leighton, Moore, per proseguire nella descrizione della Rivoluzione tranquilla, che cambiò modi di vita, gusti, arredi, all’insegna “dell’Arte per l’arte”.

Se l’atmosfera degli interni decorati dalle esotiche tappezzerie di W. Morris rendono il gusto liberty dell’epoca, le sedie, i tavoli, le credenze, dalle leggere essenzialità di E. W. Godwin e l’oggettistica d’avanguardia di C. Dresser dall’eleganza visionaria anticipano l’estetica del Novecento e il moderno designer. La nozione di “house beautiful” diventa la norma della vita culturale, il culto e la rilettura dell’arte giapponese un nuovo codice sintetico cui ispirarsi.

Quando Wilde, negli anni Ottanta, assume il ruolo di “Esteta fra gli esteti”, portavoce del movimento, coniando con grande modernità slogan, che si impongono nell’opinione pubblica, l’Estetismo ha già percorso gran parte del suo cammino e ormai saturo di eccessi è in dirittura d’arrivo: le accuse di “condotta immorale” e i processi distruggeranno Wilde e segneranno il definitivo declino del movimento.

Il video ufficiale della mostra al Museo d’Orsay

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Il servizio sulla mostra L’aventure des Stein al Grand Palais di Galerie Musées con intervista a Cecile Debray curatrice della mostra
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