Un programma ambizioso, che spaziando fra generi musicali è riuscito ad estendersi per due fine settimana fra fine luglio e inizio agosto a Radicondoli. Quella che per anni è stata “la casa” di Nico Garrone, dopo alcuni anni in cui tenacemente la fedelissima Anna Giannelli ha tenuto accesa la fiamma della presenza di senso, è ora affidata alla direzione artistica di Massimo Luconi, regista e direttore dell’organizzazione e della progettazione al Metastasio di Prato. Lo abbiamo intervistato in un confronto sincero e senza peli sulla lingua, come è d’uso in Toscana.
Massimo, partiamo dall’ultima domanda che in questo tipo di interviste tipicamente si fa: ma chi te lo ha fatto fare? Qualche agiografo dice che in fondo tu sei sempre stato vicino a questo festival… Ma da questo a caricartelo sulle spalle ce ne passava!
A volte ci sono dei progetti che ti chiamano in maniera non razionale. Non succede spesso, ma qualche volta le cose si svolgono, in modo naturale, investendo gli aspetti e i legami profondi delle amicizie e dei ricordi. Gli africani credono nel potere dei geni del luogo e penso che non abbiano torto, del resto il mio rapporto con l’Africa è molto frequente… Oggettivamente il ruolo di direzione era vacante e il festival  aveva  soprattutto urgenza di un riassetto della distribuzione delle risorse e della struttura tecnico/organizzativa. Mi sembrava poco corretto  non impegnare la mia esperienza, anche se ci ho pensato molto perchè mi ha scombinato non poco i programmi estivi. Sapevo che sarebbe stato faticoso.
Cosa ha ispirato la direzione artistica di quest’anno, per un festival che è stato comunque ambizioso, pur nella poca disponibilità finanziaria, immaginiamo?
Credo  che il teatro debba ritrovare la focalità nella poesia e nell’emozione del lavoro dell’attore,  in rapporto intimo e coinvolgente con il pubblico.  Senza schematismi o particolari ideologie, volevo portare  altri sguardi, nel modo di fare teatro utilizzando, come spesso è successo anche per le mie regie,  il fascino dei  luoghi naturali come set scenografici, con progetti speciali pensati o  ripensati per il festival. Il budget era veramente esiguo, ma ho trovato la disponibilità e la collaborazione di tutti a stabilire un rapporto diverso e meno incentrato sulla circuitazione e sul  peso del cachet. La buona immagine del festival, oltre alla mia storia personale,  hanno  sicuramente aiutato.

Adesso una domanda un po’ scivolosetta, come sempre si deve in un’intervista seria: quest’anno alcune grandi direzioni di stabili in Toscana si sono avvicinate a festival storicamente indipendenti, entrando direttamente nella direzione artistica. E’ il caso di Pontedera con Lari, il tuo con Radicondoli. Non pensi sia una cosa che per certi versi può impoverire gli spazi per così dire più liberi e fuori dai circuiti guidati dai centri di raccordo maggiori, riportandoli troppo all’interno di percorsi “addomesticati”? C’è pericolo di qualche “combine” di troppo fra produzione – circuitazione – promozione?
In generale penso che i rapporti di collaborazione e di partenariato non debbano essere sempre intesi in senso negativo come soffocamento delle  autonomie. Il Metastasio non ha nessuna mira espansionistica su possibili luoghi satelliti ma, come teatro Stabile  regionale, ( uno dei pochi che non ha teatri collegati) dovrebbe avere una visione allargata stabilendo rapporti dentro un  concetto di rete, in un equilibrio armonico con il territorio.  Attualmente non ha comunque rapporti con il festival di Radicondoli.
La domanda non è scivolosa ma è un pò da giornalista mestierante che cerca ombre e complotti dietro l’angolo e dietro ogni cambiamento (te lo dico con simpatia e un pò con l’ironia di 35 anni di lavoro alle spalle). Se analizzi il programma puoi  ben vedere che non c’è nessun rapporto con Il Metastasio, se non il prestito  di quattro pedane.

Oltre ad un megaparcheggio da 600 posti, di cosa pensi abbia bisogno il festival di Radicondoli per le prossime edizioni? Che sfide pensi di voler e dover affrontare e chi vuoi a fianco?
Il parcheggio lo stanno facendo, non da 600 posti, ma fortunatamente con attenzione al senso estetico. E’ un po’ presto per pensare al futuro devo ancora riprendermi dalla fatica. Sicuramente Radicondoli deve conservare una forte attenzione ai fermenti del contemporaneo, sottolineando un ruolo di officina creativa aperta anche all’incontro dei generi e alla commistione dei linguaggi.  L’impegno  è di superare il concetto e la struttura della rassegna effimera, per affermare un uso diverso dell’avvenimento culturale e ripensare alla cultura come un culto,  una pratica che non si riduce al puro uso, lavorando all’idea  di incontro/festival,  come a un mezzo, unico  ed eccezionale, che permette, di far crescere una comunità.

Il momento di questa edizione in cui hai detto: “Cavolo, che maledetta magia il teatro!” è stato quando…

Ci sono stati molti momenti di forte coinvolgimento, dove mi è arrivato il piacere e l’emozione del pubblico. L’ultima sera per il racconto di Elisabetta Salvatori su Campana con un vento fortissimo e con inizio alle 23, pensavo che non sarebbe venuto nessuno, invece i posti erano esauriti. Ecco, ho pensato,  il festival è nel cuore di Radicondoli.