GIULIA MURONI | Tre donne, tre corpi asciutti, nervosi aprono la scena sussurrando come un mantra la sillaba “Re”.

Si tratta di Chiara Guidi, Anna Lisa Molina e Agnese Scotti, nello spettacolo “Macbeth su Macbeth su Macbeth”, della Societas Raffaello Sanzio. La ventesima edizione del festival delle Colline ospita al Teatro Astra l’ultima opera di Chiara Guidi.

La scena si presenta tetra: fondale, quinte a vista e tappeto corvini. L’atmosfera è rarefatta, il palco avvolto nel fumo s’illumina lievemente sulle donne che tra singulti, sospiri, parole mozzate e scandite, si incontrano e sovrappongono voci e corpi. La ricerca sul suono che caratterizza un aspetto fondamentale della poetica di Chiara Guidi viene anche qui attraversata; le voci si spezzano e intagliano una partitura sonora che non coincide con il testo shakespeariano, ma ne rivive le atmosfere, percorre dei sottopassaggi emotivi, illumina degli anfratti velati. Suoni che si intersecano, unendosi in una litania sussurrata per poi separarsi e comporre un vociare burrascoso, che crepita e ribolle.

È potente l’immagine del libro scompaginato, le cui pagine si staccano e scivolano via, sfuggendo di mano a una Chiara Guidi che le raccoglie e le perde ancora, senza posa. Si evoca il corpo a corpo con il testo, volatile e incessante, sfuggente e inesausto. “Le parole gettano un fiato troppo freddo sul calore delle azioni”: l’alchimia sonora è fusa a scorci di frasi, funzionali alla narrazione densa e profondissima di un Macbeth triplice le cui vicende, lungi dall’essere ammutolite, emergono in filigrana. Le mani insanguinate, la bramosia di potere, il sentimento di terrore, il senso di colpa sono elementi che compaiono stilizzati e rovesciati in una scena minimale e ricchissima nello stesso tempo, in cui ogni parte rappresenta una lucida scelta di senso. Dall’alto cala una porta, vi si incunea un braccio. Come recita il sottotitolo- “Uno studio per la mano sinistra”- è proprio la mano del diavolo a mostrarsi, raccapricciante e colpevole, delittuosa e cruenta. Lady Macbeth è un simbolo e un deflagrarsi di senso, è l’umana cupidigia verso il potere che si scontra con l’altrettanto umano senso di colpa, il peso psichico dei misfatti bramati e commessi.

In scena Francesco Guerri suona un violoncello, il suo viso è nascosto da una tavola calata dall’alto, il ruolo è di controcanto e interlocutore che, attraverso un altro sistema di segni, racconta la medesima storia. A lui affidato un finale memorabile.  Suona con un archetto infuocato, la luce del fuoco e il suono dello strumento si propagano solitari in un scena deserta. Chiara-Guidi-Macbeth-su-Macbeth-su-Macbeth-Festival-Orizzonti-Chiusi-2

Come una trina veneziana “Macbeth su Macbeth su Macbeth”  è la costruzione di un intreccio sul vuoto. Affronta l’impossibilità del rappresentare con un affondo nella vacuità del non intelligibile, laddove altrove grazie a questi vuoti intesse punti di luminosa pienezza. Vuoti di senso che ne generano di ulteriori, smantellando gli edifici linguistici e disinnescando i significanti, in un emergere distillato delle voci come puri suoni.

Rispetto a “Tifone”, in cui il testo di Conrad è in dialogo con il pianoforte, prosegue il medesimo approccio sperimentale alle combinazioni di vocalità e (dis)armonia. È un teatro dotato di sguardo musicale e se in “Poco lontano da qui” Guidi insieme a Ermanna Montanari aziona una dialettica tra il vuoto e il pieno, dissestando e riempendo con il solo ausilio della voce, in “Flatlandia” è un articolato tappeto sonoro a fare da orizzonte allo scorrere della voce. Guidi parla di tecnica di “vocalità molecolare”, in cui il suono viene scandagliato attraverso un’indagine micrologica effettuata con il semplice ausilio dell’orecchio. Un fil rouge inesausto sulla sperimentazione vocale che trova sempre differenti e originali declinazioni a partire dall’idea della voce come supporto tattile della verità in grado di dare materialità allo sguardo.

Sono innumerevoli le questioni schiuse da questo spettacolo che sembra volontariamente non volerne risolvere alcuna. Aperto ad una polisemia sapiente, dà vita ad una molteplicità indefinita di suggestioni e esoterismi, confermando una teatralità ad altissimo valore conoscitivo ed estetico. L’esplorazione degli abissi dissotterra un intricato sottosuolo di pulsioni e emozioni che restituisce filtrato da una densità immaginifica inquietante e magnifica.

 

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