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Roberto Zibetti
LAURA NOVELLI | E’ inconsueto per una rassegna consolidata come il Rome Chamber Music Festival diretto da Robert McDuffie osare incursioni in ambiti espressivi diversi dalla musica. E invece quest’anno la manifestazione, svoltasi  ancora una volta nella splendida cornice di Palazzo Barberini, insieme ad un raffinato bouquet di proposte concertistiche e sottolineando in modo sempre più decisivo il sostegno alle giovani promesse della musica classica internazionale, ha avuto in serbo una sorpresa teatrale davvero degna di nota. Un allestimento, cioè, dell’Histoire du soldat di Igor Stravinsky che ha mescolato insieme musica, teatro, narrazione, danza, visione scenografica e magia favolistica in un unicum capace di rievocare il wor ton drama wagneriano, l’epicità brechtiana, il teatro simbolista d’inizio Novecento, un certo gusto naïf per la mitologia popolare: echi di quella tradizione spettacolare che scorre nelle vene più autentiche del nostro dna artistico e che si è spesso configurata, nei secoli, come tensione rivoluzionaria, innovativa, moderna.

Scena nuda. Un divano rosso. L’orchestra dietro al piccolo palcoscenico allestito  in un luogo incantato, dinnanzi ad archi, statue e colonne che creano già di per sé un’architettura di linee, luci e scorci di forte impatto. Il tempo è sospeso. Lo spazio è uno spazio universale. Niente di meglio per un’opera da camera che, come è noto, il compositore russo scrisse nel 1918 sulle ceneri del primo conflitto mondiale nell’intento di realizzare una storia “da leggere, recitare e cantare” che avesse giocoforza un legame con quella carneficina insensata e barbarica. Con lui collaborò lo scrittore e romanziere Charles-Ferdinad Ramuz che ne scrisse il libretto ispirandosi alla favola Il soldato in fuga e il Diavolo di Alexander Nokolayevich Afanasyev.

Nel lavoro prodotto dal RCMF e diretto dal regista e musicologo Enrico Stinchelli (conduttore del fortunato show radiofonico “La Barcaccia”, curatore di numerose regie liriche e monografie specialistiche), la voce narrante è affidata ad un energico, ironico, istrionico Roberto Zibetti, attore di indubbio temperamento di cui ricordiamo la recente interpretazione di Herbert Lehman nella Lehman Trilogy di Massini allestita da Ronconi al Piccolo. Impeccabile in frac e con portamento elegante, egli ci introduce alla vicenda, spiegandoci con il necessario distacco che Stravinsky l’aveva immaginata per delle marionette. E in effetti, quando compare in scena la brava Alessia Patregnani nei panni del soldato e la musica, meravigliosa, è già alta, si ha davvero l’impressione di vedere apparire un pupazzo marciante. Un pupazzo che emblematicamente personifica l’Uomo. Un pupazzo che va incontro al suo destino caparbio e crudele con l’ingenuità di un giovane scampato alla morte. Divisa verde e basco in testa, passo deciso ma volto trasognato, la Patregnani ben intercetta e restituisce le intenzioni stesse dei due autori: recuperare il mito di Faust per ricordare all’uomo che ogni tentativo di sottrarsi alla propria sorte  è vano. Ma qui c’è di più. L’ottima regia di Stinchelli, arricchita da contributi video proiettati sul fondo, immagina infatti un soldato androgino, un po’ maschio e un po’ femmina. Un simbolo. Una marionetta, appunto, che sfiora l’utopia della supermarionetta di Gordon Craig – l’attore “solido”, stabile, privo di fluttuazioni e imprevisti –  restituendo al pubblico un’idea di dolore e di perdita dai richiami ancestrali.

La storia inizia non appena il/la protagonista si ferma ed estrae dal suo zaino un piccolo violino; in quel suono c’è tutto il bene possibile, tutta la fiducia spassionata nella vita, nella rinascita. L’arrivo del Diavolo (interpretato da un disinvolto, prorompente Paolo De Vita) distrugge questo afflato di leggerezza e dà avvio ai fatti: egli chiede al militare di dargli lo strumento in cambio di un libro che lo renderà “ricchissimo”. Il povero soldato accetta il baratto e solo più tardi capirà il folle inganno in cui è caduto: ostaggio di Lucifero per tre anni, perderà gli affetti, la famiglia, il suo sogno futuro. Certamente si arricchirà ma sarà triste e sconsolato e cercherà la vendetta. Convinto di aver avuto la meglio, riuscirà persino a sposare una principessa danzante – la ballerina Chiara Giancaterina – ma alla fine sarà di nuovo prigioniero del Diavolo che lo porterà via con sé per sempre.

Su tutto si eleva poi la perfetta esecuzione dell’orchestra diretta da Carlo Rizzari (Yoon Known bravissima al violino),  in un impasto di marcia, tango, valzer e ragtime che favorisce esso stesso un perfetto incastro di note e parole, un ritmo sempre sostenuto, sempre incisivo. L’Histoire du Soldat ci stordisce insomma di Umanità attraverso una storia semplice che richiama altre storie, altre visioni simili. Mentre assistevo allo spettacolo mi è tornato in mente qualche passaggio di quello straordinario lavoro di William Kentridge che è Woyzeck on the Highveld : marionette nere per raccontare la tragedia di un altro soldato, di un’altra sofferenza, di un altro strazio che tanto somiglia a questo di Stravinsky/Ramuz.

 

Igor Stravinsky (1882–1971)

Histoire du Soldat

La marcia del soldato; Il violino del soldato; Marcia Reale; Piccolo concerto; Tre balli: Tango—Valzer—Ragtime; Danza del diavolo; Corale; Marcia trionfale del diavolo

Roberto Zibetti, il narratore; Alessia Patregnani, il soldato; Paolo De Vita, il diavolo; Chiara Giancaterina, la principessa

Enrico Stinchelli, regia

Carlo Rizzari, direttore

Yoon Kwon, violino; Alessandro Carbonare, clarinetto; Francesco Bossone, fagotto; Alfonso Gonzalez Barquin, tromba; Enzo Turriziani, trombone; Reed Sarusa Tucker, contrabbasso; Aurelio Scudetti, percussioni

Produzione, Rome Chamber Music Festival 2016 – Palazzo Barberini di Roma, 29 giugno 2016

 

 

 

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