RENZO FRANCABANDERA e ELENA SCOLARI

RF: Appena è finito mi sono girato verso la persona che avevo di fianco e le ho detto: “Ammazza che botta!”. Esilio, ovvero di come scrivere un bel testo, di come portarlo in scena con idee potenti, e di come guidare un attore.

ES: Ma anche di come le idee cìrcolino, fluttuino, si parlino e si ripresentino nel tempo. Vedere Esilio della Piccola Compagnia Dammacco mi ha fatto pensare ad almeno altri quattro artisti: uno scrittore, un drammaturgo, un regista cinematografico e un regista teatrale. La capacità di creare rimandi non sta solo nella testa dello spettatore, sei d’accordo? È già un bel risultato, per uno spettacolo, non credi?

RF: È un ottimo risultato su cui concordo anche perché anche io ho moltissimi rimandi fuori, e sono quasi certo che non siano gli stessi tuoi, proprio a dimostrazione della potenza immaginogenetica che ha questo lavoro.

ES: Ma tu vuoi sapere a chi ho pensato, certo, hai ragione: a Jonathan Swift per i continui ribaltamenti di prospettiva de I viaggi di Gulliver, a Nicolaj Gogol’ per i suoi personaggi infreddoliti e controvento, a Ken Loach per il suo amore combattivo verso i lavoratori, e a Peter Brook per la sua idea alta di un teatro che nasca non solo dalle ‘urgenze’ degli artisti ma anche da quelle del pubblico. Tiè.

RF: I miei invece sono: Franz Kafka, per questa figura sotto processo senza motivo, Charlie Chaplin per la formula di recitativo che va dalla marionetta al clown, suscitando al contempo risata e ripulsione, perfino; Slawomir Mrozek, il grande drammaturgo polacco e il suo In alto mare, per la zattera surreale in mezzo al nulla (richiamata dal suono di scena che accoglie gli spettatori e dal mare nero di stoffa che circonda la pedana su cui l’attrice recita; anche lì come qui si resta in attesa di un postino che risponda all’invio da parte dell’eterno candidato non del curriculum ma del pedigree; e poi ho pensato a tutti i grandi autori delle colonne sonore di film che con volume minimo accompagnano il nostro personaggio nel film dell’esistenza, e il cui rimando ai titoli delle pellicole quasi completa il senso della piccola scena che sta interpretando, come nel caso di Morricone per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

ES: Ora provo ad unire i puntini e tu mi dici quale figura ne esce fuori.

esilio-piccola-compagnia-dammacco-174x250La storia di Esilio è la storia di un uomo, qualunque, molto qualunque, interpretato da Serena Balivo, nuova brillantissima Zelig della scena, che scompare dentro al suo personaggio. Indossa un abito dimesso, opaco, che potrebbe essere stato in una vetrina Standa negli anni ’70, ha un unico lungo sopracciglio nero, la fronte bassa, i baffi e un neo molto grosso.
Si muove in un continuo tentennamento, a piccoli passi, insicuro, come misurasse fin dove può arrivare. Ma è spiritoso e niente affatto sciocco. È buffo però.
Quest’uomo perde il lavoro, come tanti, e attraversa mille stati d’animo che bussano alla sua porta: Incredulità, Sgomento, Rabbia, Spirito di reazione, Ossessione… Nel momento della solitudine mette un cappottone, un po’ abbondante, alza il bavero e si nasconde la testa. Senza trovarsi più. Come quelle figure russe che affrontano il vento gelido e la vita, coprendosi coi pastrani fino a diventare invisibili. E chissà se c’è ancora dentro qualcuno. E così ci mettiamo pure Il cavaliere inesistente di Calvino!

RF: O il grandissimo graphic novelist Gipi, che in diversi suoi racconti nella loro tipica parte surreal-angosciante arriva a questa visione. Percorsi verso il nulla, un po’ come il nostro fastidioso ma anche umanissimo protagonista.

ES: Già. Lungo la via infernale che il disoccupato percorre, le tenta tutte: dal buddismo/bullismo al pilates senza troppe distinzioni, fino alla quantistica, con una parodia del gatto di Schrödinger  (che è morto e non morto nello stesso istante) veramente esilarante. Sì, perché uno dei pregi del lavoro di Dammacco/Balivo è l’equilibrio tra malinconia e ironia, tra risate e commozione,  tra ingenuità e sottigliezza.
Il testo è intelligente, acuto, profondo (come fu per L’inferno e la fanciulla) e mostra un autore che si guarda intorno e cerca di capire. Esercizio che può occupare la vita intera.

RF: Nel nostro caso almeno una trilogia, visto che il rimando drammaturgico e concettuale anche alle sue creazioni precedenti non è banale, sia con L’ultima notte di Antonio sia con L’inferno e la fanciulla, dove sempre c’è un legame fra un’identità in disfacimento e un’anima che prova a salvare prima del naufragio. Qui il naufragio arriva. 

ES: Ne L’inferno Serena Balivo era sola ad impersonare una bambina, molto sveglia e avveduta, un personaggio più astratto dell’omino di Esilio, che è invece una sintesi umana più universale. I due potrebbero però essere parenti…

RF: Esatto. C’è un legame, come c’è fra il personaggio che ne l’Ultima notte cerca di salvare Antonio e qui l’anima, la coscienza sporca e non di classe che esce dal personaggio e abbandona l’uomo al suo destino, ma anche lo spettatore ad una riflessione sulla mancanza di una coscienza di classe. Che non è una parolaccia ma un concetto ben chiaro e concreto che purtroppo abbiamo fatto finta di non voler più considerare, appena tutti ci siamo arricchiti quel poco per permetterci le vacanze al mare.
Dammacco sviluppa l’idea drammaturgica del personaggio Anima, che tra l’altro interpreta lui stesso: un bel controcanto rispetto alla figura della Balivo chiusa nel suo impacciato vestito,  mentre la longilinea figura dell’anima veste l’abito lungo nero e brillantinato. Un’idea che anche se a volte nel testo si appoggia nel didascalico, nel complesso funziona e scenicamente ha una potenza, nei movimenti, assoluta. Anche perché racconta poi il progressivo andare alla deriva di questo Mr. Bean, fastidioso ma non sciocco, a cui alla fine assomigliamo tutti.

ES: L’uomo qualunque sta lentamente subendo un esilio, i colleghi lo dimenticano, gli amici lo evitano e anche la sua anima se ne sta andando, Madame Anima Dammacco potrebbe forse rendere le sue entrate più simili a parabole, dal punto di vista formale. Bello il suggerimento sull’anima che va curata e non lasciata andare per distrazione. Si rischia l’artrite filosofica, altrimenti.

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RF: Di malattie psicosomatiche ed ansie da fine del genere umano siamo tutti sottilmente vittime. Ritengo Esilio il primo testo veramente completo e analitico di teatro post-umano, che ci colpisce perché ha la visionarietà di un libro di fantascienza ma senza tirar fuori extraterrestri e astronavi. E questo ci angoscia, il fatto che sia qualcosa che l’uomo è riuscito a fare da solo, autodistruttivo com’è. Condivido proprio filosoficamente il punto di Dammacco in tutte le sue implicazioni anche politiche. Personalmente mi sono disperato molto.

ES: Personalmente io ho anche riso molto, a volte amaramente, e ho tanto condiviso la sensibilità di due artisti che insieme pensano e cercano, trovano la ridicolaggine del mondo e la inscenano, affettuosamente.

RF: Beh, affettuosamente mentre sei lì che accenni la risatina ti tirano una legnata che sembra quei cartoni di Gatto Silvestro dove alla fine gli cadono i denti e vede le stelle. Ribadisco: una botta! Anche perché quale soluzione c’è a tutto questo, quale via di scampo ci viene prospettata?

ES: Se in una vita fatti di numeri non puoi prendertela con un 27, se non puoi litigare con un algoritmo, puoi sempre sparare al gatto. 

RF: A quello di Schrödinger, dici? Ma mentre è già dentro o prima che si infili nella scatola, così almeno evitiamo i dubbi quantistici? Io per prudenza e per diminuire il relativismo esistenziale che la fisica quantistica ha introdotto nella vita sto eliminando le scatole di cartone e cercando casa vicino a qualche vicentino milanese, così magari anche di gatti in giro ne vedrò pochi. Voglio un Esilio dorato!

 

ESILIO

ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco 
con la collaborazione di Serena Balivo
luci Marco Oliani
immagine di locandina Stella Monesi
ufficio stampa Raffaella Ilari
produzione Piccola Compagnia Dammacco

con il sostegno di Campsirago Residenza
con la collaborazione di L’arboreto Teatro Dimora di Mondaino
e di Associazione CREA/Teatro Temple, Associazione L’Attoscuro

Dedicato a Paolo Ambrosino
Spettacolo candidato al premio Rete Critica 2016