ROBERTA ORLANDO | Quali sono le caratteristiche del teatro contemporaneo? Una drammaturgia originale, che si ispiri alla tradizione ma che esplori linguaggi nuovi, più attuali? La centralità dell’attore e della sua gestualità? La rottura della quarta parete e il coinvolgimento attivo del pubblico? La ricerca di nuovi punti di forza nell’utilizzo di musiche, suoni e luci? La critica ma allo stesso tempo l’idealizzazione della quotidianità? Svariate sono le risposte valide, che fortunatamente molte iniziative teatrali stanno dispiegando, ma ciò che più conta è porsi la domanda.

Contemporanea 2017 è il nome della rassegna che ha colorato il mese di marzo al Teatro Menotti di Milano e a cui hanno preso parte le giovani compagnie Teatro Presente, ServoMuto (entrambe vincitrici del Premio Scintille 2016), Oyes, Odemà/Tiktalik e Teatro dei Gordi.
Quest’ultima ha portato in scena dal 14 al 19 marzo Sulla morte senza esagerare, uno spettacolo che dopo il sulla mortedebutto sullo stesso palcoscenico nel gennaio 2015, ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Scintille e il Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2015.

Protagonista della pièce, ideata e diretta da Riccardo Pippa, è proprio la Morte, personificata (da Andrea Panigatti) nonché vestita con abiti un po’ dismessi ma eleganti: un cardigan di lana sostituisce infatti la più tradizionale tunica nera, di cui resta solo il cappuccio, a scanso di equivoci, nel caso in cui la maschera-teschio sul volto non bastasse a riconoscere il personaggio.

Una panchina al centro, un lampione e un cactus sono gli unici elementi che occupano lo spazio scenico; tutto il resto è fatto di suoni, luci e immaginazione, come la campana che Morte suona al suo ingresso, per scandire le ore che lente si susseguono nella monotonia del suo lavoro, che consiste nell’accompagnare le anime in procinto di lasciare la vita terrena e passare all’aldilà. Così, con fare abitudinario e annoiato, la Morte accoglie uno ad uno questi personaggi (di cui gli altri tre attori in scena, Giovanni Longhin, Sandro Pivotti e Matteo Vitanza, si spartiscono i ruoli) che si trovano “a un passo da lei”. Qualcuno teme di avvicinarsi troppo, perché ancora aggrappato alla vita; è il caso del suicida che torna più volte, per via dei suoi periodici tentativi e ripensamenti, o del ragazzo vittima di un incidente stradale, che in qualche ospedale, sulla Terra, stanno cercando di rianimare. Qualcun altro sembra pronto, ma ha paura o non vuole separarsi dalla persona amata.

Ogni personaggio è una maschera, un volto di cartapesta, frutto del notevole lavoro della scenografa torinese Ilaria Ariemme, che in qualche caso ricorda i ritratti di Modigliani e soprattutto di Otto Dix.
Quando la morte ha il sopravvento, i volti delle anime vengono liberati dalla maschera, come da ogni peso o costrizione o mistificazione terrena. Questo passaggio è sereno, la Morte ci appare gentile, pur nella sua “naturale” freddezza e il risultato scenico è di forte impatto emotivo, anche grazie a un lavoro preciso e ben riuscito degli attori sul movimento e al supporto sonoro di cui si occupa Luca De Marinis, utile peraltro a sdrammatizzare l’ingresso di alcuni personaggi, che la Morte accoglie scegliendo appositamente dei divertenti (ma non sempre appropriati) jingle musicali. Si arriva persino a ballare, in compagnia del soggetto forse più comico dello spettacolo, un angelo che fa da controllore e manutentore di zona, tenendo d’occhio la Morte, ma lasciandosi andare a movimentati siparietti con gli ospiti “in fin di vita”.

L’interazione in scena è così efficace da rendere quasi impercettibile la totale assenza di parole e da far sembrare vive anche le maschere. Non da meno, l’attenzione dello spettatore al dettaglio è agevolato dal silenzio, che “smaschera” (per restare in tema) l’esigenza tipica del nostro tempo di parlare a tutti i costi, dimostrando quanto la comunicazione non verbale possa veicolare meno equivoci delle parole.

Un solo elemento testuale fa da cornice, ossia l’omonima poesia di Wislawa Szymborska a cui lo spettacolo fa riferimento, che comparendo sullo sfondo, strofa dopo strofa, chiarisce questo messaggio non convenzionale (da cui possiamo trarre una sorta di morale) che destituisce la morte della sua onnipotenza. Ci si prende un po’ gioco di lei in scena, mettendo in mostra i suoi fallimenti e i suoi punti deboli, tra cui soprattutto il fatto di non poter sottrarre agli uomini quanto hanno raggiunto in vita, perché come recita la poesia “non c’è vita che almeno per un attimo non sia immortale”.

I Gordi hanno dato un’ottima dimostrazione di teatro contemporaneo e di drammaturgia collettiva. A partire dagli insegnamenti della commedia dell’arte hanno creato uno spettacolo ironico, leggero e poetico, che respira e fa respirare, insomma più vivo che mai nel suo trattare la morte. Il silenzio, infine, è una vera rivoluzione contro la ridondanza verbale di tutti i giorni e l’assopimento dei sensi e delle sensazioni.

SULLA MORTE SENZA ESAGERARE
ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
scene, maschere e costumi Ilaria Ariemme
luci Giuliano Bottacin
suono Luca De Marinis
co-produzione Teatro dei Gordi e TIEFFE Teatro Menotti