Cesar Brie_Foto Renzo Francabandera.pngRENZO FRANCABANDERA | Per il teatro indipendente la figura di César Brie è una di quelle centrali intorno alle quali fra anni Ottanta e Duemila si è costruita un’epopea del teatro impegnato, nei decenni in cui l’artista era attivo fra Latinoamerica e Italia in progetti di grande militanza artistica, politica e culturale. Al fianco dei contadini senza terra nella Bolivia in cui viveva, dentro un progetto teatrale sostenuto anche in Italia con repliche tournée, progetti. Brie poi ha dovuto lasciare la Bolivia per sicurezza sua e della famiglia, dopo aver girato il documentario Umiliati e Offesi ma il sogno del Teatro indígena de los Andes è rimasto nell’immaginario collettivo come il desiderio utopico di un guerrigliero del teatro, di un artista nato, vissuto e cresciuto nel circuito indipendente, in una lotta che tutti intuiscono di idealità e quindi come tale probabilmente perdente rispetto al mondo dei grandi interessi.

Ciò non di meno, l’uomo, l’artista, le sue contraddizioni, il conflitto fra vita privata ed artistica e le sue generosità ideologiche, in quello scontro tipico di chi fa arte, tutto questo rimane incancellabile di una figura che anche quest’anno con la committenza di Sardegna Teatro per L’Avvoltoio, e il sostegno di realtà piccole ma tenaci come Campo Teatrale, è riuscito a proporre i suoi lavori al pubblico italiano.

Fra Argentina e Italia, progetti personali e giovani compagnie da seguire, dal centro sociale Isola negli Anni Settanta, alle prime esperienze di teatro nei manicomi, la Bolivia, l’Argentina, la dittatura, l’esilio, sconfitte e sogni: proprio a Campo Teatrale lo abbiamo videointervistato nel contributo che vi proponiamo oggi.
Uno scambio profondo con un uomo dalle molte vite.