ELENA SCOLARI | – “Guardi, con i carciofi c’è anche uno spettacolo, che faccio, lascio?”. All’Ortofrutticola di Albenga si può fare la spesa di frutta e ortaggi ma grazie a Kronoteatro si può anche vedere teatro.
Come già ben illustrato da Matteo Brighenti nella prima parte del reportage da Terreni creativi, la compagnia ligure ha da nove anni risvegliato culturalmente il ponente della riviera con un festival teatrale che coinvolge cooperative e aziende agricole e occupa i loro spazi con il teatro contemporaneo.
E così abbiamo visto, tra bancali e montagne di terriccio per piante, la terza serata del festival, il 13 agosto, ignari di ciò che sarebbe crollato a pochi chilometri da lì la mattina successiva e che ha fatto cedere qualcosa in tutto il Paese.

Anche Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani parlano di un cedimento, e a suo modo è strutturale anche questo: una giovane donna dialoga (ma è sempre e solo lei a far sentire la sua voce) con un uomo, il padre, che la figlia va a trovare dopo 7 anni che non si vedono, in seguito a un’ischemia di lui.
In questo incidente sta il cedimento simbolo di un rapporto che in realtà non ha mai funzionato, anzi peggio: non c’è mai stato. Forse quel Non è ancora nato del titolo allude anche alla relazione tra i due, un po’ obbligata per via del legame di sangue ma mai diventata autentica né più profonda dell’anagrafe. L’attrice in tubino rosso e scarpe da ginnastica si porta continuamente dietro delle taniche di plastica, bianche, piene d’acqua, pesanti. Le sposta, le agita, le posa, le riprende, spesso senza un vero costrutto, sembrerebbe. È vero che il padre vive in un’anacronistica roulotte, una scatoletta di tonno ancora nostalgicamente “contro il sistema”, e quindi la ragazza cerca di portare acqua al rapporto arido? Ci pare spiegazione un po’ meccanica. Non è obbligatorio che ogni azione in scena abbia un senso “narrativo”, può avere anche un senso estetico, o ancora più semplicemente funzionale, ma se è priva di tutti e tre ci si domanda se non sia un mezzo per “occupare” mani e spazio…

Il testo dello spettacolo, a tratti, sfiora la possibilità di approfondire, di toccare un argomento non facile come il rapporto padre-figlia (meno abusato di quello con la madre, le madri, ecc.), ma gli agganci si perdono in una insistita invettiva della donna contro la figura assente (e silente), che non ha voce, né vera né metaforica. Possiamo pure essere d’accordo, possiamo dare fiducia a tutte le dichiarazioni sulla debolezza, sulla lontananza, sulla distrazione dell’uomo-padre, ma quello che sentiamo è una sola, unica, lunga, continua campana, sempre voltata al passato: il monologo di C. Baglioni/figlia non contiene mai domande intime, non vuole mai veramente dare spazio all’ascolto, non c’è vera curiosità di “conoscere” il padre, di provare a sfruttare una situazione imprevista per entrare in contatto con la parte più profonda della persona.
C’è un risentimento – anche un po’ moralistico – che si vuole conservare ben eretto, cui ormai la donna è affezionata, altro che. E questo atteggiamento rende lo sviluppo prevedibile e poco coinvolgente, non si parteggia emotivamente. Nemmeno se l’attrice alza voce col genitore per lamentare la mancanza di un conflitto che non c’è stato e che, parrebbe, la donna sta cercando a tutti i costi ora.
Tanto è anacronistica la roulotte della libertà nel bosco tanto è logora la critica che la figlia ne fa: “Stai qui perché sei contro il Sistema ma il Sistema cos’è? Il Sistema siamo noi”. Ecco.

“Mutatis mutandis”, al passato è rivolta anche la serata Gran Glassé de Gli Omini con la band Extraliscio. E un bel paio di grandi mutande fuori scala campeggia a fondo scena di questo palco abitato da tre attori (Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini) e dai componenti di un gruppo romagnolo che suona i lisci nelle balere, proprio come una volta.
Qui si tratta di un Varietà, nel quale i tre attori legano tra loro e legano alla musica testi ispirati ai ricchi archivi di testimonianze raccolte da Gli Omini durante il lungo lavoro ferroviario (legato alla Porrettana) ma in generale lungo l’asse di un’Italia provinciale e periferica, che si snoda per migliaia di chilometri tra accenti, atteggiamenti, abitudini, riferimenti diversi. E allora un monologo (F. Sarteanesi) caustico su un’amicizia femminile franata per una lite sui pigiama dentro un Oviesse si mescola al racconto travolgente di una barzelletta (L. Zacchini) inconcludente e nonsense o alla virile verve erotica di un vitellone (F. Rotelli) particolarmente ispirato, anche dalle signore in platea.
Il vero colpo di scena popolare è la comparsa di Mauro Ferrara, il cantante che ha portato Romagna mia in giro per il globo insieme e dopo Casadei (con Moreno “Il biondo” Conficconi, pure sul palco), tintura corvina per una faccia alla Little Tony e una voce ancora roboante, tanto da far alzare molti di noi per una mazurka.
Il ballo è qualcosa cui gli attori stessi spingono ed è il simbolo di un concetto di “popolarità” niente affatto sciatta ma anzi rinnovata e che vuole recuperare un dialogo diretto con gli spettatori, mixando l’ironia aguzza che sta nei personaggi “piccoli” e anche un po’ meschini che i tre bravi attori portano sul palco, con le paillettes – altrettanto sincere – sulle giacche degli Extralisci, cantori delle balere estive che furono, e che tornano a essere.

Caroline Baglioni / Michelangelo Bellani
Non è ancora nato (Anteprima)
di Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani con Caroline Baglioni
luci Gianni Staropoli suono Valerio Di Loreto supervisione tecnica Luca Giovagnoli
collaborazione artistica Marianna Masciolini regia Michelangelo Bellani
con il sostegno del Teatro Stabile dell’Umbria

Gli Omini / Extraliscio
Gran glassé
una serata di parole sudate e punk da balera
ideato e prodotto da Gli Omini, glassatura Giulia Zacchini
luci Alessandro Ricci
con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini e Armando Savini vox,
Enrico Milli tromba fisarmonica, Daniele Bartoli chitarra basso, Mirco Mariani piano chitarra 12 corde vox, partecipazione straordinaria di Mauro Ferrara