RITA CIRRINCIONE | Inserito nell’anteprima della rassegna Scena Nostra, all’indomani della sua programmazione Volver – progetto-spettacolo esito di un lungo percorso laboratoriale con ragazzi migranti – ha ricevuto il premio MigrArti 2018 del MiBAC. Giunto alla sua terza edizione, il concorso è stato istituito con l’obiettivo di promuovere lo scambio interculturale e l’inclusione sociale attraverso l’arte. Il Premio MigrArti Spettacolo 2018 si è svolto a Palermo – scelta come Capitale Italiana della Cultura – presso i Cantieri della Zisa, dal 23 al 25 novembre. La replica fuori programma di Volver allo Spazio Franco (all’interno degli stessi Cantieri) la sera stessa della manifestazione, è diventata una grande festa, affollata e colorata, per celebrare l’importante riconoscimento.

 Ecco la motivazione della giuria:

Il Premio MigrArti 2018 va allo spettacolo Volver per la sapienza drammaturgica che fonde in modo originale i processi laboratoriali in un lavoro compiuto; per il coinvolgimento pieno dei ragazzi di seconda generazione, guidati con profitto all’interno dell’esperienza teatrale; per l’efficacia dell’azione formativa attoriale e la compiutezza del prodotto artistico.

Ideato dal regista e drammaturgo Giuseppe Provinzano, già vincitore della XI edizione del Premio alle arti sceniche Dante Cappelletti, Volver è il risultato di un laboratorio permanente realizzato dall’associazione Babel Crew e prodotto dalla Compagnia dei Migranti Amunì, composta da ragazzi migranti di seconda generazione che hanno seguito un percorso di formazione per i mestieri dello spettacolo.

Il titolo dello spettacolo, Volver (“ritornare” in lingua spagnola), e il nome della Compagnia, Amunì (“andiamo” in dialetto siciliano), sembrano anticipare e condensare temi e linguaggi del progetto: termine denso e stratificato, il primo, che richiama le atmosfere delle milonghe e il tango reso famoso dal leggendario Carlos Gardel e l’altrettanto celebre film di Pedro Almodovar; espressione scattante, quasi onomatopeica, la seconda, con un significato estensivo di “dai, forza, sbrighiamoci!”.

Storia di migrazioni passate e recenti, di “spartenze” e di ritorni, Volver racconta la vicenda di un’intera comunità di siciliani che si trasferisce in Argentina nei primi anni del secolo scorso. Sono giovani uomini e donne che fuggono da una catastrofe – quella del terremoto di Messina del 1908 –, che si lasciano alle spalle devastazione e miseria e affrontano la separazione dagli affetti, i rischi di un lungo viaggio, le umiliazioni della clandestinità e le incognite di un mondo sconosciuto per inseguire il sogno di un futuro migliore.

La peculiarità dello spettacolo è che i giovani siciliani protagonisti sono interpretati da ragazzi quasi tutti migranti (solo uno è italiano) provenienti da paesi come il Bangladesh, il Mali, le Mauritius, lo Sri Lanka, il Marocco, la Nigeria: migranti di ieri interpretati da migranti di oggi.

L’espediente drammaturgico, senza tanti intellettualismi o concettualizzazioni retoriche, relativizza una condizione migrante che, nella ciclica e imprevedibile alternanza della storia, muta e tocca uomini e popoli senza distinzione di latitudine o di colore di pelle. Più estesamente, allarga lo sguardo sui fenomeni migratori riconducendoli a quell’insopprimibile spinta vitale che dalla notte dei tempi ha portato l’uomo a esplorare nuove terre, a cercare altri orizzonti, ad andare sempre oltre per migliorare la propria condizione.

Volver è anche una storia di ritorni: i giovani protagonisti – un po’ per le lusinghe populiste del regime fascista e per la nostalgia della propria terra, un po’ per le difficoltà incontrate in Argentina e il sostanziale fallimento del loro sogno – dopo quasi vent’anni decidono di tornare in Sicilia; ma faranno in tempo a vivere nuovi amori, a mescolare nenie siciliane e sonorità latine, a condividere e assorbire usanze, idiomi, cibi, danze, a dare vita, insomma, a quella cultura meticciata che nel corso della storia dell’umanità ha rivitalizzato popoli e civiltà.

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La messa in scena si muove all’insegna di queste contaminazioni: l’installazione luminosa – un po’ luminaria da festa di paese siciliano e un po’ fondale con motivi sudamericani –, elemento scenico fisso e polifunzionale – recinto identitario e contenitivo dove ritornare nei fuoriscena; cornice del gruppo in posa come in una foto d’epoca; icona tutelare dei progenitori lontani –, rappresenta quasi l’emblema totemico di questa ibridazione.

Lo spettacolo inizia con una livida scena nella quale i sette protagonisti, in una sorta di anticipazione onirica, presagiscono la lunga traversata in mare che li porterà dall’altra parte del mondo. Sarà lo spaventoso terremoto che, radendo al suolo ogni cosa e sterminando vite, case e futuro, darà quella spinta ad andare verso l’ignoto che solo i cambiamenti catastrofici – reali o metaforici – riescono a dare.

I canti, il tango delle milonghe, i movimenti scenici danzati, le ninnenanne, i dialoghi in un dialetto siciliano cadenzato, le litanie – suggestivo il “rosario” eseguito in forma responsoriale con la lunga sequela dei morti e delle distruzioni – conferiscono alla narrazione ritmo e musicalità.

I momenti “freeze” che costellano la dinamica drammaturgica sembrano proiettare in un domani lontano scene di vita calde e palpitanti, come ricordi fissati, depotenziati del loro carico emotivo: dislocazione spazio-temporale che sgancia la pièce dalla ristretta visuale dell’attualità dandole una connotazione universale.

Volver riesce a ribaltare prospettive, a scardinare stereotipi e luoghi comuni che semplificano e banalizzano la complessità dei fenomeni migratori e lo fa con la modalità implicita della mediazione artistica e con la levità del linguaggio poetico.

Il Premio MigrArti, nella sua motivazione, oltre ai meriti intrinseci dello spettacolo, fa riferimento al percorso laboratoriale che in questi casi assume primaria importanza: il coinvolgimento dei giovani migranti nell’esperienza teatrale, l’accompagnamento nella loro formazione attoriale aggiungono al progetto valore educativo, sociale ed etico e rendono il processo altrettanto importante del prodotto.

Dunque possiamo affermare di trovarci di fronte a una prassi virtuosa che, grazie al sostegno dello Stato e al lavoro di associazioni e compagnie come Babel Crew, è in grado di innescare percorsi integrativi per contrastare la marginalità sociale attraverso l’arte e la cultura? Possiamo immaginare che buone pratiche come questa, in cui realtà locali e istituzioni nazionali agiscono in sinergia per sostenere persone in condizioni di vulnerabilità umanitaria, siano consolidate?  È lecito pensare che, data la riuscita e visti gli obiettivi pienamente raggiunti, il MiBAC dia seguito a simili iniziative?

Niente affatto. Contestualmente alla cerimonia di premiazione è stato comunicato che non ci saranno altre edizioni della manifestazione. Con una solerzia e uno zelo che il nuovo governo ha ossessivamente e quasi esclusivamente riservato alla “questione migranti”, in barba ai principi sanciti dalla Costituzione, alla legislazione internazionale sui diritti umani, al Global Compact for Migration – il documento delle Nazioni Unite sulla gestione del fenomeno migratorio che a giorni sarà firmato nella Conferenza Internazionale di Marrakech dal resto del mondo tranne che dall’Italia –, insieme allo smantellamento degli SPRAR e di tutto il sistema sorto in questi anni a protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, il Premio MigrArte è cancellato.
«La pacchia è finita». Amen.

 

VOLVER

scritto e diretto da Giuseppe Provinzano
con Bandiougou Diawara, Alexsia Edman, Hajar Lahman, Gian Matteo Marie, Junaky Md Abdur, Bright Onyesue, Andrea Sapienza
laboratorio permanente Amunì: Marta Bevilacqua, Rossella Guarneri, Yousif Jaralla, Giuseppe Provinzano, Luigi Rausa
scenografia Juan Pablo Crichton Subercaseaux
luci Gabriele Gugliara
diario di bordo Emilia Esini per Maghweb
laboratorio musicale Maurizio Maiorana
laboratorio tanguero Maura Laudicina, Sadate Djiram
organizzazione Agnese Gugliara
comunicazione Silvia Maiuri
coordinamento Diana Turdo
video Giuseppe Galante
foto e grafica Nayeli Salas