ILENA AMBROSIO | Kids Festival è stato una vero circo – recuperando il senso etimologico del termine che rimanda alla circolarità e quindi all’aggregazione – di linguaggi dell’arte: teatro, danza, teatro di figura, circo contemporaneo, arti visive. Linguaggi legati da un filo rosso che è il racconto: di un percorso, di un’immagine, anche solo di un’idea.
Il racconto è stato il grande protagonista, anche recuperato nella sua dimensione originaria di momento comunitario: persone raccolte in ascolto di una storia – penso ai griot africani – e che danno vita a un rituale il quale, a dispetto di qualsiasi computer, videogioco, o super tecnologico maxi schermo, non perde mai la propria magia.

Lo ha dimostrato Claudio Milani – protagonista del focus di questa V edizione del Festival – nel lavoro del quale teatro e racconto procedono tenendosi garbatamente per mano. Oltre a BÙ! Una divertente storia di paura e a Voci, Milani ha proposto per Kids anche il suo ultimo lavoro Racconto alla rovescia. Una storia che parla di attesa ma anche di ricordi, in quell’andirivieni tra inizio e fine che è proprio il conto alla rovescia.

In sei quadri il protagonista, il curiosissimo Arturo, scarta i doni che La Morte gli ha fatto per il suo compleanno. Ma nulla di triste o macabro: questa Morte è solo una signora «alta alta, magra magra, secca secca, gamba gamba, braccio braccio, piede piede, due occhi, un naso, una bocca e una falce».
Una dopo l’altra vengono aperte le sei scatole grigie, di differenti forme e dimensioni, poste su delle aste alla destra della scena: i conti alla rovescia più importanti della vita di Arturo. E quella scena vuota si anima, ogni volta, con qualcosa di diverso.

Il tempo della nascita: grandi fili di lana che scendono dall’alto e con i quali formare un gomitolo contenente un luminoso uovo blu. Il tempo per capire la diversità: una danza/lotta tra palloncini bianchi e un palloncino rosso sempre respinto fino a che anche tutti gli altri si illuminano, nel buio, di una propria luce colorata. Ancora, il tempo della meraviglia: un piccolo prato di tulipani che si solleva dalla scena, animato da tante luccioline verde acceso. Un meravigliato “Oooohh” riempie la sala (e viene sia dai bambini che dagli adulti, credetemi).
Tutti questi espedienti – scene di scenografie Elisabetta Viganò e Armando Milani – sono frutto di un accurato impianto elettronico e meccanico: persino i palloncini a elio sono manovrati da fili e, come fossero burattini, si muovono con una precisione e una leggiadria che ne fanno – e lo sono davvero – quasi dei personaggi che dividono la scena con il protagonista.

Eppure non siamo colpiti dal meccanismo in sé: la tecnologia è, nel teatro di Milani, puro strumento – come dovrebbe essere, in generale, nella nostra vita – per ricreare la magia di quegli scenari colorati e fantastici che noi ex bambini ammiravamo sui vecchi libri di fiabe e che, qui, prendono forme a tutto tondo. Il tutto incorniciato dalle suggestive atmosfere luminose – di Fulvio Melli – e musicali – di Debora Chiantella, Emanuele Lo Porto Andrea Bernasconi
Lo stupore abbraccia gli spettatori, tutti, che non si chiedono come quella semplice bellezza possa palesarsi; la ammirano e basta.

Semplicità che confina con la purezza e che, d’altro canto, si fa forte di un’estrema precisione: questa la cifra del lavoro di Milani. Semplicità delle immagini, dei gesti ma anche del racconto, delle scelte lessicali e sintattiche.

ciao

Milani si rivolge ai bambini per farsi comprendere, li avvicina da subito – a inizio e fine dei suoi spettacoli un amichevole rituale di saluto – ma non li tratta da “piccoli”, ricorrendo a un linguaggio infantile. La semplicità della parola è chiarezza, punto di contatto con il loro mondo, mezzo per spiegargli cose che semplici e piccole non sono per nulla: l’importanza delle scelte, la capacità di aspettare la fine di un momento buio, l’accettazione del diverso. Persino la morte: questa «regina dei conti alla rovescia» che ogni mattina ha una farfalla colorata i capelli;  la farfalla di sera vola via e al mattino ce n’è un’altra di colore diverso. Poesia e naturalezza.

L’ultimo dono di questa docile Morte è una filastrocca – di Paolo Ceccato –, che è anche un conto alla rovescia fino a zero «perché Zero è come un uovo e un uovo è la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa di nuovo». Quell’uovo blu del gomitolo sprigiona una farfalla, la farfalla di Arturo, ma La Morte, sorridendo, gli volta le spalle dandogli appuntamento a tra «molti molti anni».

L’incanto finisce – sul finire delle belle musiche curate da Debora Chiantella, Emanuele Lo Porto, Andrea Bernasconi che ci hanno accompagnato per tutto lo spettacolo – e lascia tanto divertiti i bambini e decisamente commossi noi adulti: il risultato di un teatro che ha davvero trovato un linguaggio tout public.

Ma a al Kids Festival quell’incantesimo ha preso vita anche fuori dalla scena. Con la sezione In viaggio con le storie alcuni dei più interessanti attori e/o narratori del panorama pugliese e nazionale hanno accolto il pubblico nel Museo Ferroviario di Lecce e, a bordo delle vecchie locomotive, hanno ricreato il rituale del racconto e dell’ascolto.

Abbiamo ascoltato Angela De Gaetano (di famiglia alla Factory) con Il fantasma di Canterville e Daria Paoletta (Compagnia Burambò) con Rosafiore, figlia dell’imperatore
La prima rielabora il racconto di Oscar Wilde, conservandone gli aspetti umoristici e scherzosamente tenebrosi. Nei panni della giovane Virgina Otis, racconta la vicenda adattando toni e movenze agli altri personaggi. Spiritosa quando “entrano in scena” i gemellini pestiferi o il fratello maggiore sempre pronto a sponsorizzare i prodotti Pinkerton; lapidaria nei panni della governante; tenebrosa quando vede il fantasma – divertente vedere i bambini che si girano seguendo il suo sguardo alla ricerca della funesta apparizione. Un bel modo di avvicinare le nuove generazioni alla grande letteratura.
La seconda è, invece, una storia popolare piemontese: un amore travagliato tra un principe e una fanciulla, vittima di un sortilegio, con il consueto lieto fine.
Ipnotica la Paoletta: il suo racconto letteralmente ci culla, facendoci oscillare tra il riso nei momenti ilari in dialetto leccese, i sospiri di quando si ascolta d’amore, la commozione per la storia di una donna che, pur di essere madre, si fa costruire una figlia di gesso.

Come con Milani, alla fine dei racconti, ci sembra di essere trascinati via da una bolla magica; un po’ Shahriyār, un po’ Shahrazād – perché quei racconti, in fondo, salvano anche noi –, ritorniamo nella realtà, grati di un momento di sollievo dai trambusti quotidiani e dell’esserci di nuovo stupiti, come bambini, tra altri bambini.

 

RACCONTO ALLA ROVESCIA

di e con Claudio Milani
scenografie Elisabetta Viganò, Armando Milani
musiche Debora Chiantella, Emanuele Lo Porto, Andrea Bernasconi
progettazione elettronica Marco Trapanese
luci di Fulvio Melli
fotografie di Paolo Luppino
poesia Paolo Ceccato
realizzazione teli Monica Molteni