MARIA FRANCESCA GERMANO | È il terzo giorno di fila a teatro per me. Ladro di Saponette – Breve storia di un sesso-dipendente. In macchina i pensieri prendono corpo in stream of consciousness sotto l’effetto turbante della musica dei Radiohead; in due spettacoli, tra venerdì e sabato, ho visto avvicendarsi sul palco: otto tette, sei culi e due membri di diversa misura. Stasera non ho voglia di vedere gente nuda simulare coiti o dimenarsi sulla scena. La nudità a teatro, ormai, mi distrae; le curve femminili mi deconcentrano, sviano la mia attenzione, mi riportano al mio corpo e ai suoi difetti da comparazione; le appendici mi fanno sorridere, metronomi oscillanti in movimenti ritmici. Il sottotitolo dello spettacolo non promette niente di diverso al riguardo.
Persa in questi intelligenti pensieri, arrivo al MAT di Terlizzi, periferia barese. Il MAT è un bel posto, un ex mattatoio divenuto contenitore culturale, laboratorio urbano gestito dai giovani del Collettivo Zebù; qui, in una visione inclusiva, tra muri in pietra bianca, laboratori con vetrate sul cortile, sala teatro e musica, alita un’aria di cultura semplice, democratica.
Un po’ di ressa all’ingresso in sala. I posti questa volta non sono numerati. Ci si spinge per avere la migliore visuale. Pietro Naglieri e Ida Vinella della compagnia Schegge di Cotone, stasera portano in scena il testo di Nicola Grimaldi sotto la regia di Pietro Naglieri che ne ha anche curato la scrittura teatrale.
Per la Prima in Puglia, dopo il debutto al Fringe Festival di Roma, c’è sold-out; ci sono gli amici, che, lasciatisi ispirare dalle parole di Pietro Naglieri, attraverso il crowdfounding, hanno contribuito a rendere possibile questa creazione: “Produrre uno spettacolo teatrale in Italia è un po’ come trovare la formula per trasformare il rame in oro. E il più delle volte capita che quando l’hai trovata e funziona, il giorno dopo scompare e non ne rimane più alcuna traccia. E dunque la volta successiva, bisogna ricominciare tutto daccapo. Io questa formula difficilissima l’ho trovata 8 volte, se non ricordo male, percorrendo le vie più disparate, considerando anche che il rapporto con le “istituzioni” l’ho praticato poco e male per i miei evidenti limiti, certamente, ma anche per puro istinto di auto-conservazione. Se a tutto ciò aggiungete che questa volta mi sono messo in testa di rappresentare un soggetto tratto da un autore sconosciuto, riscritto da me e con forma del thriller-noir a sfondo erotico, ecco spiegato il motivo per cui mi sono rivolto al crowdfounding” spiega Naglieri.
La piccola sala è satura di voci e animazioni di ogni tipo. Sto ben attenta a scegliermi il vicino: ieri allo spettacolo di Malosti, i Sonetti di Shakespeare” la tipa accanto a me, come in un karaoke, ha canticchiato tutte le canzoni di Domenico Modugno interpretate in scena da Michela Lucenti. (Vi sembra assurdo? Anche a me)
Cominciano. Si abbassano le luci. La scena è vuota. Una voce fuori campo registrata ci porta in una caserma nel corso di un interrogatorio: «Signor Morozzi, perché aveva le chiavi dell’appartamento del suo vicino?»; la musica, la penombra, i toni, conferiscono fin da subito il carattere noir alla pièce.
Marco Morozzi (Pietro Naglieri), all’estremo lato del palco, in una atmosfera cinematografica di contrasti netti, tra luci e ombre come in una pellicola fotografica, rivela, in un flusso di coscienza e di ricordi, frame di un giallo disseminato di indizi.
Sorpreso a notte fonda nell’appartamento vuoto dei vicini, nel cui bagno c’è il cadavere di un uomo senza documenti, Marco viene arrestato e interrogato.
Racconta di essersi appartato con la moglie Clara nella casa dei vicini in vacanza, di cui aveva le chiavi per innaffiare le piante; una delle tante fantasie erotiche della donna che aveva voglia di fare sesso sul divano di pelle nera dei dirimpettai.
Clara non conferma questa versione agli inquirenti e da lì parte una indagine da cui emerge un rapporto di coppia tossico, una passione irrefrenabile, torbida e sessualmente perversa; una psicosi patologica di un uomo e/o una donna la cui sesso-dipendenza è il trait d’union delle varie tracce interpretative.
I dialoghi interiori di Marco sulla scena si sovrappongono a una serie di interrogatori in cui, tra alibi e ammissioni di colpe, in una cifra stilistica quasi kubrickiana per la quale è difficile distinguere tra realtà e finzione, nella ossessione del doppio e del rimosso, i due si contraddicono in continuazione. Non si capirà fino alla fine chi stia dicendo la verità.
Pietro Naglieri, con interessanti idee registiche, acume scenico e mestiere, crea ellissi temporali e narrative di grande qualità; utilizzando un registro cinematografico, con continui cambi di inquadratura, riesce a ben districarsi nell’arte dell’ambiguità, a volte forse con eccesso di motivazioni ad effetto “telefonato”, per rendere verosimili delle cose che potrebbero, a nostro avviso, essere omesse.
Un po’ lunghi i monologhi interiori, a tratti anche sovrastati dalla bella e incisiva colonna sonora (di Antonio Tuzza) che ne impedisce una chiara fruizione: pur permettendo allo spettatore di digerire la continua tensione di dover capire la trama, tolgono un po’ di suspense, spezzando il ritmo del plot.
Buona la prova attoriale di entrambi, una recitazione che ben rende le intensità profonde da thriller cinematografico anche attraverso le efficaci amplificazioni vocali; in qualche passaggio la gestualità della Vinella precede la vocalità, restituendo un po’ l’effetto recita innaturale di qualcosa che “a furia di farlo non si sente più”.
All’uscita Pietro Naglieri saluta i presenti; siamo in cerchio, è contento, gentile, disponibile al confronto con tutti. Gli dico che nel finale mi sono sentita “presa in giro”, che ho dovuto girare e rigirare nella trama per trovare un indizio o un aggancio. Ma niente. Nessuna preparazione. Una virata improvvisa a rovesciare tutta la costruzione dell’intreccio. Un deus ex machina che nei thriller, si sa, non si usa. Non vale.
Mi dice, sorridente e affabile, che ci lavorerà, è un aspetto su cui sta riflettendo. Il Dio dei gialli ispiri un degno finale per questo buon lavoro.
Ah, in tutto questo ovviamente, vi starete chiedendo se qualcuno si è spogliato in scena o se posso tornare a casa senza metronomi oscillanti per la testa. Non ve lo dico.
Ma magari attivo i tergicristalli.
LADRO DI SAPONETTE
Breve storia di un sesso-dipendente
regia Pietro Naglieri
con Pietro Naglieri e Ida Vinella
soggetto Nicola Grimaldi
scrittura teatrale Pietro Naglieri
scenotecnica Giuseppe Pesce
costumi Rosa Lorusso
grafica Claudio Carlucci
fonica Fabrizio Pastore
musiche Antonio Tuzza
voci Roberto Negri, Arianna Gaudio, Fabio Salerno
MAT – Laboratorio Urbano, Terlizzi
24 febbraio 2019
[…] via Otto tette, due membri e un deus ex machina: pensieri da sessodipendenza a teatro — PAC magazine d… […]
…c è da andare a averlo allora !!!gvassie