GILDA TENTORIO | Ancora per pochi giorni al Teatro Elfo Puccini (Milano) si può vedere GUL. Uno sparo nel buio, scritto da Giancarlo De Cataldo e dall’attrice italo-svedese Gemma Carbone (con la collaborazione di Giulia Maria Falzea e Riccardo Festa), spettacolo che ha debuttato due anni fa. Non è un testo documentaristico o da teatro civile di narrazione, ma un mosaico di punti di vista frammentati, nell’esercizio faticoso della memoria. In un periodo come quello attuale in cui l’Italia soffre di preoccupanti attacchi di amnesia storica, è una bella lezione che fa riflettere.

Tutto ruota intorno a un evento spartiacque, quando la Svezia visse il suo undici settembre, la perdita dell’innocenza: 28 febbraio 1986. Due mesi dopo l’Europa tremerà per il disastro di Chernobyl. Quel venerdì a Stoccolma, poco prima di mezzanotte, avviene un delitto: a terra, in un lago di sangue, il primo ministro Olof Palme, assassinato in pieno centro mentre tornava dal cinema con la moglie. All’epoca fu uno shock, perché la Svezia e l’Europa restavano orfane di un uomo politico sensibile e di rara umanità, che credeva nella forza della democrazia e nell’apertura all’altro: aveva lottato per i diritti e contro l’apartheid e le armi nucleari, criticando sia Usa che Urss. Il suo omicidio è un cold case insoluto, che ossessionò anche Stieg Larsson, autore di Millennium: il libro di Jan Stocklassa L’uomo che scherzava con il fuoco (in uscita fra pochi giorni per Rizzoli) ricostruisce appunto il lavoro di indagine svolto da Larsson.

Olof-Palme

In Italia la notorietà di un personaggio politico straniero si misura anche sulla sua presenza negli stradari urbani: google rivela che le vie dedicate a Olof Palme nel nostro Paese si contano purtroppo sulle dita di una mano. L’omicidio del leader svedese tuttavia  è solo il pretesto per impostare in questo spettacolo un altro livello di riflessione, a partire dal saggio Il delitto perfetto (1995) del filosofo e sociologo Jean Baudrillard, un’acuta analisi su come è mutata la nostra percezione del mondo con la pervasività della televisione e in generale del mondo virtuale. Questi media creano una iperrealtà, cioè un segno virtuale che si sovrappone alla realtà al punto da renderla opaca. Baudrillard non usa mezzi termini: è una vera «uccisione della realtà».

È di questo subdolo delitto che ci vogliono parlare Carbone e De Cataldo. Infatti il guazzabuglio di ipotesi, supposizioni, prove, controprove, insabbiamenti e depistaggi che si affastellano attorno al caso Palme (CIA, i curdi del Pkk, neonazisti svedesi, servizi segreti sudafricani, P2…) sono sovrastrutture che allontanano dalla verità, la fagocitano proprio mentre cercano di fare nuova luce.

In tale direzione va l’intrecciarsi dei punti di vista di cinque personaggi (la poliziotta, la moglie di Palme unica testimone, il presunto assassino, un politico e Palme stesso), tutti interpretati dalla voce cangiante della Carbone, in trapassi magistrali che vanno dall’urlo lacerante al sussurro. Emergono così la razionalità nervosa, la dolente evocazione in soggettiva, la maschera grottesca del megalomane che si autoaccusa («Jag!! – ‘io’ in svedese), la voce untuosa del “grande burattinaio” che dà lezioni di inquietante Real Politik. Ognuno è alle prese con lo sforzo di ricostruire l’evento attraverso i brandelli della memoria. Dov’è la verità e quanti sono i suoi volti? Quanti gradi di deformazione subisce nell’accumulo di congetture e ricordi, e qual è il margine di maggiore affidabilità? «La verità, quel piccolo tassello di realtà che ci mancava, era sparito. Può sparire la realtà? Mi chiedevo. E dove è andata a finire? Se la realtà è scomparsa, cosa ci resta?».

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Un esempio lampante. Tutti sappiamo che lo sparo lascia una traccia, minuscole particelle che possono essere individuate. Eppure basta lavarsi le mani per cancellarle. «Ti lavi le mani e dimentichi. Non esiste più bario, piombo, assassino, antimonio, vittima. Non esisti più». Un’immagine alla Ponzio Pilato che rende pienamente l’idea di quanto sia labile la ricostruzione della verità, come pure la sua rievocazione memoriale.

Ed ecco il giallo (‘gul’ del titolo), che qui non è soltanto il colore per indicare un misterioso caso irrisolto. Michel Pastoureau, il maggiore esperto dell’affascinante storia della percezione dei colori, insegna che dall’epoca medievale il giallo viene associato alla negatività, perché evoca l’autunno, il declino, la malattia, e anche il tradimento, l’inganno e la menzogna. Questi sono i tratti che ho letto nel colore giallo dello spettacolo, presente nel fondale e nelle luci, che funzionano in senso antifrastico. GUL_mostafaalylighter2-2La verità, che deve essere cristallina e illuminante, si sfrangia in ombre e si ritira, mentre la luce, invece di essere alleata nella ricerca, diventa traccia ambigua, rivela e nasconde mentre abbaglia.

Un focus di attenzione va alle mani dell’attrice: tamburellanti di nervosismo, eleganti nella posa desolante del compiuto. Calzano guanti enormi alla Topolino e si agitano in un parossismo grottesco, impugnano con forza una scure e abbattono una betulla (per evocare l’inquietante telegramma di Licio Gelli: la palma svedese sarà abbattuta). Le dita si fanno pistola, l’indice rivela, mostra, indirizza gli sguardi ma anche, puntato al petto, si fa urlo che accomuna vittima, carnefice e testimone che, novello Tommaso, vorrebbe toccare la carne viva della verità.

La bellezza del teatro è uscire da uno spettacolo con più interrogativi di prima. Intanto fioccano lunghi applausi. E questo è un fatto.

 

GUL. Uno sparo nel buio
da un’idea di e con Gemma Carbone

scritto da Gemma Carbone, Giancarlo De Cataldo, Giulia Maria Falzea, Riccardo Festa
assistenti alla regia Giulia Maria Falzea e Riccardo Festa
musiche di Harriet Ohlsson
costumi Marika Hansson
luci e scene Gemma e Carlo Carbone
consulenza artistica di Salvatore Trimacere
cura tecnica Alessandro Cardinale
con il supporto di Konstnärsnämnden, ABF, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Armunia – Centro residenza Artistica Castiglioncello, Festival Inequilibrio e Residenza IDRA
produzione Koreja – coproduzione Naprawski (SE)

Teatro Elfo Puccini, Milano
20 maggio 2019
in scena fino al 24 maggio