MARIA FRANCESCA GERMANO | Nel Teatro Piccinni – antico gioiello barese che dopo anni di restauri è da pochissimo tornato alla città – per la stagione di prosa del Teatro Pubblico Pugliese, Ferzan Ozpetek porta in scena, come sua prima regia teatrale, Mine Vaganti,  spettacolo trasposizione del celebre pluripremiato lungometraggio del 2010.

Il film narra le vicende del giovane Tommaso che torna nella sua terra natale, un soleggiato Salento, per confessare alla sua policroma famiglia – proprietaria del pastificio Cantone – la sua omosessualità. In un colpo di scena pregno di tensione drammatica, il fratello Antonio, davanti ad una tavola imbandita – cifra stilistica propria di Ozpetek: girotondi su convitati con telecamera in travelling – gli scippa l’idea, anticipandolo e rivelando a tutti la propria omosessualità. Il padre, gretto e conservatore, allontana Antonio malamente costringendo Tommaso a rivedere i suoi piani e a restare a Lecce per gestire il pastificio insieme alla figlia del socio, la misteriosa Alba.

Figure malinconiche e intense, ma anche esilaranti, puntellano la trama: la nonna diabetica, saggia e nostalgica, la zia, una triste-buffa alcolizzata e ninfomane, la sorella Elena compressa nel ruolo di madre, il compagno di Tommaso e i suoi esuberanti amici omosessuali. Nel film, il regista, con un riuscito taglio di inquadrature e suggestivi primi piani, raccorda in una quasi omogeneità tonale momenti drammatici ed esilaranti con una efficace quadratura narrativa finale.

Nell’adattamento teatrale Ozpetek, invece, si abbandona del tutto alla caricatura all’italiana dei personaggi, strizzando l’occhio alla macchietta e cedendo definitivamente il passo alla comicità dello stereotipo di cui la divertente pièce è satura. Lo spettacolo fa ridere molto.

Foto Romolo Eucalitto

In una rinforzata profusione di codici gay – vestaglie rosa con piume svolazzanti, magliette attillate senza maniche, gridolini effervescenti, virate di polsi a mezz’aria, canzoncine sotto la doccia di maschiacci muscolosi e voci effeminate – nello spettacolo, l’omosessualità si manifesta con la tipica formula identitaria: gay uguale persona gaia, allegra, divertente. Solo labili tracce dell’aura intimista e a tratti drammatica che nel film aveva caratterizzato il travaglio interiore e relazionale dei fratelli Cantone. Il coming out e i dialoghi tra i due non riverberano una forte emotività e non per le doti attorali dei bravi Arturo Muselli (Tommaso) e Giorgio Marchesi (Antonio), ma perché inserite in un contesto artistico in cui i cambi di registro divertente/drammatico svaniscono in un serrato pot-pourri il cui ingrediente principale comico copre il profumo di tutto il resto, amplificato da un uso importante dei microfoni che omogeneizza le temperature vocali in suoni di provenienza non identificata, con uno straniante effetto playback.

E così della zia svampita perdiamo la fragilità, nel padre non riconosciamo la sofferenza; la madre smarrisce le occhiaie e lo sguardo vuoto. Resta poco del silenzioso plot emotivo tra Alba e Tommaso. Del resto, nelle note di regia Ozpetek scrive: «Il teatro può permettersi il lusso dei silenzi, ma devono essere esilaranti, altrimenti vanno riempiti con molte frasi e una modulazione forte, travolgente».

Numerose le irruzioni degli attori in sala che, come sempre più spesso avviene, abbattuta la quarta parete, si rivolgono direttamente al pubblico, rendendolo partecipe del gioco teatrale. Nell’effetto “divertentismo” gli spettatori cantano Una notte a Napoli di Pink Martini e nel finale diventano avventori insieme agli attori di un singolare night club queer,  simpatica virata drammaturgica dal copione originale.

Molto bravi gli attori, ciascuno con il proprio singolare talento –  tra cui una formidabile Paola Minaccioni nel ruolo della madre e un divertentissimo Francesco Pannofino in quello del padre meridionale antiquato – a sostenere il ritmo di una trama cadenzata e veloce che la comicità richiede, aiutati anche dal colorito idioma napoletano da qualcuno utilizzato. Abbandonate le lande pugliesi, siamo infatti nel distretto campano della pasta di Gragnano. A detta di Ozpetek, il Salento in dieci anni si sarebbe troppo evoluto per rendere credibile una storia simile.

L’unico personaggio che conserva e addirittura sviluppa le tonalità drammatiche delle vicende che attraversa è quello della nonna, ruolo interpretato da una dominante e bravissima Caterina Vertova. La riscrittura teatrale conferisce profondità e pathos drammaturgico ai suoi monologhi; tuttavia la voce, coagulata in un timbro rauco, lento e affaticato da anziana signora, risulta eccessivamente ispessita dal microfono rendendola sovrastante e completamente avulsa dal resto. Il suo suicidio glicemico è un momento di grande bellezza ma, in questa pièce, ha la stessa resa di una storia che gira sul lato B del vinile.

Di grande impatto la scenografia di Luigi Ferrigno e le luci di Pasquale Mari; le tende giallo chiaro di quinte e fondale rimandano alle sfoglie di pasta che nel film si vedono scendere dai macchinari del pastificio. Se ne può quasi sentire l’odore e la sensazione tattile sotto le dita. Il pavimento giallo e ruvido sembra semola. Le scene, zoomate da coni di luci in un continuo gioco frusciante di stoffa chiara, restituiscono benissimo gli interni borghesi e le terrazze soleggiate dei mobili bianchi in ferro battuto. Bella l’architettura geometrica dello spazio scenico dagli elementi sempre in perfetto equilibrio di forme distanze e colori a cui si accordano le tonalità degli abiti di scena (Alessandro Lai) e la presenza degli attori sul palco.

Non si dimentica il catartico ballo finale sulle note di Kutlama di Sezen Aksu, che inizia con il fruscio muto e semibuio dell’aria mossa da passi di danza accennati, fino a riempire di note e palpiti tutta la sala.


MINE VAGANTI

liberamente tratto dal film Mine Vaganti scritto da Ivan Cotroneo e Ferzan Ozpetek
regia di Ferzan Ozpetek
produzione Nuovo Teatro in collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana
con Francesco Pannofino, Paola Minaccioni, Arturo Muselli, Giorgio Marchesi, Caterina Vertova, Roberta Asturi, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori
scene di Luigi Ferrigno
costumi di Alessandro Lai
luci di Pasquale Mari 

Teatro Piccinni, Bari
1 febbraio 2020