ELENA SCOLARI | Il turbinare dei critici e degli appassionati di teatro per i festival che (vivaddìo) tornano ad animare l’Italia estiva è ripreso, tale e quale a prima, parrebbe. La voglia di tornare trottole non sembra essere stata scalfita; probabilmente più del timore potè il desiderio.
A Pergine Valsugana l’atmosfera è viva e limpida ma non turbinosa, il festival Pergine Spettacolo Aperto nasce addirittura nel 1976 per creare un programma di spettacoli che facesse da cornice alla tradizionale partita di Dama vivente in costume, allestita nella piazza municipale della cittadina. Un inizio apparentemente occasionale che ha però dato vita a un festival solido, longevo e radicato nel territorio. Giunge al 2020 – superando e affrontando le difficoltà che tutti conosciamo – con la direzione artistica di Carla Esperanza Tommasini, con una edizione che vede un blocco di attività estivo e uno invernale. La Summer edition è composta da tre tronconi di proposte: Walkabouts – a passo lento nella natura; Scena contemporanea e This is also a music festival.


La prima sezione è dedicata a passeggiate teatrali e spettacoli/performance itineranti nel bosco. Ho seguito Forastica di Martina Badiluzzi (Premio Bando Biennale Teatro 2019, registi Under 30) con Federica Rosellini in una mattina tersa e soleggiata; partenza da uno dei palazzi storici del centro per inerpicarci lungo un morbido sentiero che osserva il paese dall’alto. Gli spettatori camminanti sono muniti di cuffie (ormai è cosa più che usuale) ma la fonte della voce che sentiamo nelle orecchie cammina con noi: F. Rosellini un po’ ci guida, un po’ ci affianca; con pantaloncini e trench corto ci racconta, per frammenti, la storia (ispirata al romanzo Orso di Marian Engel) di una bibliotecaria spedita nel nord del Canada per catalogare una biblioteca di famiglia. Qui la donna instaurerà un nuovo rapporto con la natura, lei da sempre sepolta tra i libri, e in particolare intratterrà una relazione con un orso, simbolo chiaro di un’animalità tenuta a tacere e che investe il lato oscuro del desiderio femminile, che vuole finalmente prorompere. Sembrerebbe un racconto potenzialmente perturbante. Già, ma lo stile asciutto e secco sia del testo sia dell’interpretazione lasciano poco spazio a pensieri lubrichi, pur nominando le circostanze in cui la donna si masturba e la posizione del clitoride nelle orse. Non c’è calore in questa nordica allusione all’erotismo, e il formato frammentato della narrazione non aiuta a coinvolgere.

Foto Giulia Lenzi

Camminare sul sentiero è piacevole, e anche ascoltare una storia nel mentre, ma le due cose non sono così legate. Mi spiego: sentire anche i suoni, le voci e il respiro del bosco avrebbe avvicinato di più alla sensazione cui solo si accenna; inoltre l’utilizzo delle cuffie non diventa mezzo indagatorio per esplorare possibilità di interazione tra attore e spettatore. Rosellini è disinvolta, sorride spesso e guarda negli occhi molti di noi, alludendo a un dialogo personale; buono lo spunto di riflettere sulla natura dentro la natura ma non abbastanza decisa la connessione tra l’elemento raccontato e il contesto poco sfruttato.

Lo spazio che accoglie il secondo lavoro di cui vi parlo è l’ex deposito carrozze di Pergine, dove assisto a Sul rovescio di e con Claudia Caldarano. Il fulcro di questo spettacolo è l’uso di una maschera in lattice raffigurante un volto che la danzatrice indossa sulla nuca. La performance è centrata sull’effetto di disorientamento che la collocazione della maschera provoca, ribaltando la prospettiva di un corpo in movimento che risulta disarticolato, distorto, anche sgraziato e che non si riconosce. Quel corpo pare tastare il terreno, perlustrare una zona per trovarne le coordinate, prendere possesso dello spazio e di come il proprio volume fisico si può spostare in un’area data. Una ricerca di riferimenti che passa continuamente dall’ambiente alla percezione della propria esistenza in esso.
Il senso è quindi forse nell’esplorare un punto di vista anomalo su di sé, suggerendo la presenza di un elemento sconosciuto anche a noi stessi (forse l’inconscio?). Passato però il frastornamento iniziale che induce questo pensiero, la performance si avvita sul tema. Alcune variazioni intervengono man mano che C. Caldarano si spoglia, tira, allunga e osserva la sua maglietta nera con gli occhi “retrovisori” del suo alter ego, facendo balenare l’idea che non esista un solo modo di presentarsi, e forse anche che l’altro ci guardi vedendo ciò che noi teniamo di solito dietro le spalle.

Foto Elisa Vettori

Moltissimi pensieri vi sono in A book is a book is a book di Trickster-p. Il titolo rimanda al verso di Gertrude Stein Una rosa è una rosa è una rosa, la constatazione che qualcosa non può essere altro che quel qualcosa. Nella versione della compagnia svizzera si allude invece alle molteplici funzioni che un libro può rivestire.
L’ambiente è una sala con una ventina di bellissimi tavoli di legno chiaro, debitamente distanziati, ognuno con la sua sedia, la sua lampada, il suo libro, tutto stilosissimo. Ogni spettatore prende posto, indossa la cuffia d’ordinanza e comincia a sentire una voce di donna che sussurra pensieri e ricordi seguiti da istruzioni sulle pagine da compulsare all’interno del bel librone con copertina grigia sulla scrivania. Lo schema è che i pensieri in voce abbiano una una loro espressione all’interno del libro: una citazione, una frase, una foto, un disegno. Cristina Galbiati, ideatrice del lavoro con Ilija Luginbühlb, mi dice che l’esperimento ha l’obiettivo di capire se un libro può diventare un oggetto performativo. Lo “spettacolo” comprende quindi anche l’osservazione dei partecipanti da parte dei due autori dalla posizione di regia: cosa fanno, quali pagine guardano, si scrutano l’un l’altro? Si annoiano?

Il racconto in cuffia non è una narrazione lineare, così come lineare non è la struttura del libro, nel quale alcuni elementi si ripetono in più lingue e buona parte dei contenuti concorre a costruire un’architettura che si può, per una successione di metafore, ritrovare nella situazione in cui viviamo questa esperienza, non strettamente teatrale: una stanza/scatola in cui siamo inseriti (il libro); le pagine (ognuno di noi può esserne una); morceaux di analisi scientifiche sul funzionamento del nervo ottico (lo spettatore analizza il libro indagandone il meccanismo); alcuni scarti “anarchici” dal sentiero segnato sulla carta (sfogliare il libro anche prima che la voce lo chieda, disubbidire distraendosi per costruirsi un percorso proprio).

Foto Giulia Lenzi

C’è dell’intellettualismo in tutto questo, mi rendo conto, ma è l’unica chiave che ho trovato per entrare dentro a questo Book, perché la mia prima idea di libro è quella letterario/narrativa: leggo per varcare la soglia di un mondo, per conoscere personaggi, per leggere me attraverso di loro; anche i saggi sono un modo per conoscere e capire e quindi diventare più “saggi”.
Qui non si racconta una storia agli “alunni” (inevitabile è il paragone tra tavoli e banchi, la regia è la cattedra, che sta però alle nostre spalle), si chiede loro di costruirsene una tra le pieghe della carta e tra i frammenti biografici sussurrati in cuffia: i luoghi dell’infanzia descritti e fotografati, la vista dalle finestre di casa, la cucina, i ritrovamenti lungo la strada del quartiere.
Mi piace che gli artisti facciano pensare, che sollecitino a interrogarsi, anche quando l’esito del lavoro può lasciare, artisticamente, un poco insoddisfatti. Trickster-p pretende che lo spettatore (chiamiamolo ancora così per intenderci, ma qui tale non è) metta del proprio in quest’ora abbondante alla scrivania, altrimenti la sola acquiescenza aderente al “compito” rischia di lasciare una linea piatta.
Per come ci viene posto, l’aspetto “performativo” dell’oggetto libro è, a mio avviso, di natura tutta intellettuale – per quello che la testa può produrre nel tempo passato a quel tavolo – dal punto di vista pratico più che sfogliarlo non si può fare, non destrutturarlo per ricomporlo, non portarselo via, non piegarlo alle proprie fantasie.
C’è uno scarto, in A book is a book is a book, qualcosa che non ci aspettiamo: qua e là nel libro compare il disegno di un piccolo elefante rosa. «Esaudirò il tuo desiderio se – ora che lo hai visto – riuscirai a non pensarci per almeno un quarto d’ora», ci dice la voce. Un esercizio, sì, ma in groppa a quell’elefante possiamo farci portare dentro al nostro libro ed esaudire ciò che vogliamo.

Ai festival si possono incontrare le compagnie ospiti e parlare lungamente con loro, si scambiano volentieri opinioni tra spettatori, nelle ore rilassate del dopo spettacolo; e la piazza del Municipio di Pergine pare fatta apposta, per quanto è raccolta, per le chiacchiere ermeneutiche su ciò che si è visto e sentito, siano orsi, teste al contrario o elefanti rosa.

 

FORASTICA

ispirato a Orso di Marian Engel
di Martina Badiluzzi
con Federica Rosellini
aiuto regia Giorgia Buttarazzi
con la consulenza della guida di media montagna Luca Stefenelli  

SUL ROVESCIO

ideazione, interpretazione, maschera Claudia Caldarano
produzione Claudia Caldarano, mowan teatro
live electronics Filippo Conti
musica Evelyn Glennie e Michael Brauer da album Shadow Behind the Iron Sun
disegno luci Alessandro Piccot
sostegno Nuovo Teatro delle commedie di Livorno 

A BOOK IS A BOOK IS A BOOK

concetto e realizzazione Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl 
produzione Trickster-p, LAC Lugano Arte e Cultura 
co-produzione far° Nyon, Theater Chur, ROXY Birsfelden, TAK Theater Liechtenstein, BLICKWECHSEL – Festival am Puppentheater Magdeburg, FOG Triennale Milano Performing Arts 
voce italiana e inglese Gabriella Sacco 
voce tedesca Dorit Ehlers 
dramaturg Simona Gonella 
collaborazione artistica Yves Regenass 
spazio sonoro Zeno Gabaglio 
editing e mixaggio Lara Persia – Lemura Recording 
studio Progetto grafico Studio CCRZ 
assistenza e illustrazioni Arianna Bianconi