ELENA SCOLARI | Se è digitale non vale? Sfuggiamo la banalità già consunta che il teatro sia un’altra cosa perché la compagnia aretina Kanterstrasse lo dichiara fin da subito e allora ci avviciniamo con curiosità a questo esperimento interattivo costruito intorno a una storia strampalata e sognante come Il Mago di Oz di Frank Baum. Una bambina trascinata da un ciclone in un mondo magico, incontrerà nel suo viaggio uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta senza cuore e un leone senza coraggio. Per tornare a casa, nel Kansas, dovrà trovare Oz alla Città di smeraldo. Una storia così la si può senz’altro raccontare in modi inusuali.
Kanterstrasse si è fatta notare negli anni recenti per alcune letture particolarmente originali di super classici come Amletino (il dramma di Shakespeare pensato per i bambini delle scuole elementari, raccontato per PAC da Antonella D’Arco) e Ubu re Ubu chi?, irresistibile versione guascona dell’opera di Alfred Jarry.

Gli attori infatti sono entrati nel livello di assurdo di Baum con grande familiarità, a partire dalle possibili risposte da scegliere, alle musiche (da Spirit in the sky a Banana boat song) e, visivamente, passando dal découpage a un effetto chroma key in un panorama di colli morbidi e dorati.
La compagnia sta ragionando se mettere a disposizione il lavoro on demand per il pubblico, ma intanto PAC ha fatto una chiacchierata (digitale, naturalmente) con Simone Martini, attore, regista (con Lorenzo Donnini) e sceneggiatore di OZz e gli attori Elisa Vitiello e Alessio Martinoli, che ha collaborato alla sceneggiatura.

Foto Mario Lanini

Non possiamo quindi definire OZz uno spettacolo, come ce la caviamo con il “posizionamento” del vostro lavoro?

SM: Noi abbiamo provato con l’espressione ‘teatro digitale interattivo’. OZz non è teatro nel senso stretto ma non è nemmeno cinema (non volevamo fare un film) e non è nemmeno un videogame. È un esperimento che ci ha permesso di fare vera ricerca, forse più di quanto ci fosse riuscito finora con il teatro “tradizionale”.

Avevate immaginato questo OZz già in forma digitale oppure lo avete concepito così per via della situazione emergenziale?

SM: Dovevamo debuttare in aprile 2020 al Teatro Argentina, poi è saltato tutto. Abbiamo passato una fase di depressione e poi in estate, io ero al mare, in terrazza, guardavo l’infiinito e mi è venuto in mente di fare questa proposta al gruppo. Da lì è partita la rumba! Grazie a Straligut, che ci ha supportato e a Blanket Studio siamo approdati alla versione digitale. Abbiamo voluto trovare un modo per raccontare in una maniera che non fosse il teatro. Il teatro lo abbiamo tenuto all’inizio e alla fine del lavoro. Che è anche coerente con la natura del Mago di Oz, dove si parla appunto di una messa in scena, di uno smascheramento.
Pensando al digitale volevamo proprio una storia a bivi in cui fosse il pubblico a decidere dove andare. Noi siamo artigiani, questa modalità è in realtà un modo per valorizzare le mancanze. Volevamo un metodo di racconto che potesse raggiungere la gente. Creare contenuti è una delle nostre funzioni, in quanto artisti.

Ma quanto decide veramente il pubblico, con le sue scelte?

Beh, la regia rimane nostra, lasciamo che il pubblico si diverta con noi. In base alle scelte si arriva a un finale che è nel libro ma che esce anche dl seminato di Oz.

Ci sono tre finali, che cosa cambia in ognuno ? Si sottolineano aspetti diversi?

SM: In uno c’è la strega del nord (Alessio Martinoli), nel secondo ci sono io che faccio lo scimmione romano (che si richiama a quello del vecchio spot del Crodino, n.d.r.) e nel terzo la strega buona ma per noi un po’ psicopatica (Elisa Vitiello). In base a un algoritmo che ha fatto Alessio e che solo lui conosce, costruito anche sul numero dei voti, si attiva uno dei tre finali. La strega buona racconta davvero come va a finire la storia; lo scimmione ci parla, in romanesco, dell’importanza dei personaggi secondari: «dar retro se mira mejo la situazione…»; e la strega del nord fa una riflessione trascendentatale su Bene e Male, che non sempre sono quello che sembrano.
Baum in Oz fa un passo in avanti rispetto al concetto tradizionale di fiaba perché non ci mette una vera e propria la morale, la fiaba dev’essere divertimento e il male perde di importanza, rispetto alle storie di Perrault e dei fratelli Grimm.

Lo avete realizzato solo con ragazzi o anche con gli adulti?

SM: Lo abbiamo fatto per i bambini delle elementari ma anche per gli adulti, per loro si accorcia il tempo per le scelte a 25 secondi ma abbiamo lasciato la pausa perché ci piace che si vedano i personaggi un po’ smarriti che aspettano il loro destino. Per i bambini abbiamo inserito alcune piccole finestrelle con microdocumentari nel tempo dell’attesa: cos’è uno spaventapasseri, cos’è il leone? Il So di non sapere di Socrate… diamo delle pillole di approfondimento, una specie di mini-wikipedia per ingannare il tempo. Come fosse la pubblicità.
E ci sono differenze nelle scelte o nelle reazioni, tra bambini e adulti?

Ai piccoli piace un sacco poter scegliere, c’è grande entusiasmo. Gli adulti fanno scelte più logiche, i ragazzi si divertono di più.
Noi rientriamo on line alla fine, ci sono i costumi di scena a vista, prendiamo gli applausi fantasma e uno di noi risponde a tutte le domande degli spettatori per 40 minuti, noi parliamo e loro scrivono in chat, quindi si crea comunque un rapporto di interazione.

Com’è stato recitare senza pubblico? E all’aperto dei campi!

SM: Ah, è stato alienante. Però abbiamo “usato” gli operatori video come pubblico. Ci siamo anche molto divertiti, con loro. A parte le lunghe scene a 40° e tafani ovunque!
Avevamo fatto le prove in teatro, poi prima delle riprese abbiamo ricalibrato le cose. C’è stato bisogno di dirsi poco con gli altri, ci siamo capiti quindi c’è stata anche libertà di  improvvisazione.

EV: Sicuramente avere il pubblico in sala cambia le sorti della performance, il tipo di energia che comunica e quello che ricevi tu, come attore, ogni volta è  diverso e insostituibile. Recitare davanti alla telecamera necessita di una concentrazione molto diversa, soprattutto per mantenere la genuinità e lo stupore che deve essere sempre presente quando si tratta di teatro. Sicuramente la sfida più grande è stata portare la vitalità del teatro in una nuova forma, nata in questo periodo particolare ma che è stata una sorpresa continua e un’occasione per confrontarsi con qualcosa di diverso ma proprio per questo bello e arricchente.

AM: Inutile allargare le braccia se le mani non entrano nell’inquadratura, l’anomalia è stata non essere presenti con tutto il corpo, siamo diventati una porzione di spazio inquadrato e spesso la soluzione è stata fare il meno possibile, acquisire un’altra consapevolezza e il respiro, soprattutto se troppo forte, viene spesso abbassato o assorbito dal rumore d’ambiente.
Il mezzo è molto ambiguo: un primo piano di uno sguardo con le lacrime causate dal freddo davanti a un paesaggio di montagna può essere usato per una scena d’amore strappalacrime, magari. Con questo nuovo mezzo mi sono messo a imparare e ragionare, come succede in ogni progetto e non sono mai andato a cercare il pubblico. Mi sono sentito al servizio di un esperimento, parte di un lavoro di squadra e di un’idea più grande, riferita soprattutto al pubblico più giovane, ma, se possibile, a tutti. Il teatro mi ha aiutato a combattere le lunghe attese arrivando a ogni ripresa con lo stesso livello di energia.

Avete avuto riscontri sul tipo di pubblico che ha visto OZz?

SM: Sicuramente abbiamo portato molte persone che non vengono a teatro a vedere questo lavoro e le abbiamo incuriosite. Alcuni ce lo dicevano nella chat e questo era uno degli obiettivi. Io penso che se lo usiamo bene questo mezzo potrebbe aiutare il teatro a uscire dai margini radical-chic e tornare a essere qualcosa di popolare nel senso più alto.

Dobbiamo però continuare a ribadire che l’essenza del teatro è proprio quello che adesso non si può fare, no?

SM: Ah certo, ma noi ci vogliamo tornare in teatro! Il teatro è immortale. Il problema che questa pandemia ci ha posto è: noi che lavoriamo in questo ambito possiamo provare a ragionare di come utilizzare il mezzo digitale per veicolare contenuti? Noi crediamo di sì e questo è un lavoro che comunque rimane e di cui siamo soddisfatti, vogliamo tenerci uno spazio per divertirci e per sperimentare. Ora abbiamo in mente di lavorare sul Cavaliere inesistente di Italo Calvino, spingendoci ancora oltre!

ES: Come dice il Mago alla fine «Avere un cervello non basta, è solo l’esperienza che rende intelligenti». Specialmente se si viaggia Over the rainbow.

 

OZz

una produzione KanterStrasse / Straligut
con la collaborazione di Blanket Studio
con il sostegno di Regione Toscana, Publiacqua Spa, Comune Figline e Incisa Valdarno
ispirato a The Wonderful Wizard of Oz di L. Frank Baum
con Elisa Vitiello, Simone Martini e Alessio Martinoli
regia Lorenzo Donnini, Simone Martini
sceneggiatura Simone Martini con la collaborazione di Alessio Martinoli
fotografia Roberto D’Adorante
operatore Daniele Matteagi
fonico e post produzione Timoteo Rocca
scenografia Eva Sgrò
costumi Silvia Lombardi
montaggio Lorenzo Donnini
color correction Roberto D’Adorante
design animazioni Eva Sgrò e Silvia Lombardi
consulenza informatica Federico Fineschi Emanuele Mazzon
tecnico Simone Benucci
illustrazioni Nicole Pauline Falcioni
grafica e comunicazione Elisa Brilli
foto di scena Mario Lanini