LAURA BEVIONE | La compagnia EgriBiancoDanza sta affrontando in maniera costruttiva e dinamica la chiusura delle sale e la forzata interruzione degli spettacoli dal vivo: ci sono ovviamente lo sconforto e la preoccupazione per le economie incerte ma pure la forza di non abbandonarsi alla passività o alla diffusa querulità a favore di una progettualità nuova e “sostenibile”. Il coreografo Raphael Bianco – direttore artistico della compagnia insieme a Susanna Egri – ha bene chiare le urgenze della complessa contingenza che stiamo vivendo: c’è la necessità statuale di produrre, sia per questioni finanziarie, sia per mantenere coesa e motivata la compagnia, formata da danzatori regolarmente assunti; c’è il dovere di accompagnare gli spettatori, inevitabilmente danneggiati dalla chiusura dei teatri, in un processo inclusivo che attenui la sensazione di abbandono; c’è il bisogno di rispondere in modo creativamente positivo alle critiche generaliste agli innumerevoli eventi online.
Partendo dall’analisi di queste emergenze Bianco ha ideato Racconta-mi-racconto, un progetto «incubatore di un lavoro che avrà poi una vita in presenza» e che, dunque, si propone quale possibile ponte fra esperienza digitale e spettacolo dal vivo.
Realizzato in collaborazione con l’Officina della Scrittura di Torino e con i comuni coinvolti nel consueto cartellone I Punti Danza della Fondazione EgriBiancoDanza, il progetto – iniziato il 9 febbraio scorso e con la conclusione della sua prima fase fissata per il 29 aprile – prevede un’interazione creativa fra danzatori e pubblico ma pure fra scrittura e creazione coreografica, e coinvolge, a turni di tre, nove ballerini della compagnia.
I danzatori si presentano ciclicamente, ovviamente online, con un breve assolo che viene successivamente sviluppato e aggiornato in base ai suggerimenti e alle osservazioni che gli spettatori sono invitati a lasciare: non si tratta tanto di «commenti, quanto di una testimonianza di sé». Al pubblico, insomma, viene chiesto di condividere con i danzatori il proprio «racconto» e di contribuire così attivamente a un «progetto aperto e rimodulabile» che, germinato e cresciuto su Internet, mira a divenire, auspicabilmente in autunno, una performance dal vivo.
In attesa della riapertura dei teatri e della possibilità di tornare in scena “in presenza”, abbiamo incontrato tre dei danzatori coinvolti nel progetto – Maela Boltri, Simona Bogino e Davide Stacchini – e il coreografo Raphael Bianco, per farci raccontare la loro esperienza: cosa significa danzare per una macchina da presa e, soprattutto, quali stimoli e quali scoperte ha suscitato il dialogo, benché a distanza e mediato dal web, con il pubblico?
Maela ci racconta come il progetto cambi l’approccio consueto al lavoro coreografico: «di solito creiamo tutti insieme in sala e poi il pubblico vede la creazione già finita. In questo caso, invece, proponiamo solo un assaggio di un’esperienza, di un’emozione che ciascuno di noi ha provato in questo anno di incertezza lavorativa». La danzatrice spiega come «Raphael Bianco abbia pensato a degli assoli realizzati stando seduti su una sedia» e come lei abbia cercato di esprimere nel proprio pezzo «questa chiusura forzata che abbiamo vissuto e che ha impedito la nostra libertà di muoverci e di ballare come invece possiamo fare stando in sala prove o in tanti altri luoghi».
Maela sottolinea come ci fosse l’esigenza di «far capire agli altri cosa significasse, per me in particolare, essere costretta e, quindi, non poter sapere se sarebbe stato possibile esprimere le mie emozioni, che spesso contrastavano con quello che gli altri percepivano da fuori». Una condizione di forzata inattività che, nondimeno, «ti mette in condizione di riflettere su tante cose: riusciremo ad andare avanti? Ci stanno, in maniera più o meno velata, costringendo a chiudere? Potremo avere di nuovo quel contatto con il pubblico che, da un anno ormai, ci manca?». Una relazione con il pubblico in parte riallacciata proprio grazie a Racconta-mi-racconto: «è stato molto bello perché ci sono stati commenti anche opposti fra di loro: c’è chi è sentito nella stessa condizione di oppressione e ha attribuito la stessa interpretazione all’assolo che ho dato io, scrivendomi di essersi immedesimato; e altri che, invece, hanno immaginato luoghi completamente diversi. Per esempio c’è chi ha immaginato un prato con una ragazzina che correva e cercava di essere spensierata». Maela, poi, evidenzia come alcuni spettatori abbiano scritto «io preferisco non dire niente, se non “brava”, perché ho paura di sbagliare e, allora, io ho spiegato loro che non esiste nulla di “sbagliato”, poiché si tratta di esprimere le proprie sensazioni». Una timidezza che è frutto anche della novità del progetto, che obbliga il pubblico ad abdicare a una certa passività nella fruizione dello spettacolo e, al contrario, a diventarne protagonista, a partire proprio dal processo di creazione, come ci dice ancora Maela: «quando un danzatore pensa di esprimere una determinata sensazione e poi, leggendo, scopre che ha dato anche altre sensazioni, allora può rendersi conto che è possibile andare anche in altre direzioni, percorrere altre strade».
Maela, una delle “veterane” della compagnia, ha finora realizzato soltanto la prima tappa del progetto – ciascun danzatore propone e sviluppa il proprio assolo in tre momenti diversi, di cui il secondo e il terzo creati a partire dalle osservazioni del pubblico – mentre i “giovani” Simona e Davide hanno già registrato la seconda parte, frutto dell’elaborazione, insieme a Raphael Bianco, delle prime riflessioni ricevute.
Davide ci rivela di avere scoperto che «i commenti coincidevano abbastanza con quello che avevo pensato all’inizio, ossia vedere il lato positivo delle cose nonostante tutto. I commenti, infatti, erano tutti proiettati verso un senso di libertà, verso una condizione di ricerca di qualcosa di nuovo, anche se nell’assolo iniziale tendevo più al cadere e poi rialzarmi». Molti spettatori, dunque, hanno incitato il danzatore a risollevarsi e lui, dunque, ha scelto, insieme al coreografo, di sfruttare quegli incitamenti nella costruzione del secondo assolo. Un lavoro composto a partire dalla linea tracciata dalle osservazioni del pubblico e non da aspettative precostituite.
Un’assenza di aspettative chiare che è uno dei punti di forza di un progetto che Simona definisce «un esperimento sociale», in cui il pubblico, «prende parte attiva alla creazione e non è soltanto spettatore dell’opera». E, sfruttando la possibilità dell’anonimato, aggiunge Davide, «alcuni hanno lasciato scritti molto personali».
Il pubblico, quindi, benché online e fisicamente distante, sta cogliendo – magari con timidezza e iniziale senso di inadeguatezza – positivamente l’opportunità offerta da Racconta-mi-racconto, rivelando le sensazioni suscitate dagli assoli e magari anche “incoraggiando” i danzatori. Così nell’esperienza di Simona, il cui primo pezzo è stato all’insegna della «rabbia», i commenti hanno esplicitato come il sentimento della danzatrice fosse arrivato con chiarezza e, rivela lei, «è stato molto interessante vedere come molti mi chiedessero di essere positiva: mi dicevano, va bene arrabbiarsi, ma poi bisogna trovare una soluzione e questa si vedrà proprio nella seconda parte dell’assolo che abbiamo creato che si conclude con un finale che dà serenità». Simona racconta di avere lavorato con Raphael Bianco soprattutto su uno dei commenti ricevuti e in cui si faceva riferimento a «questo mostro, che poteva essere interiore o esteriore, identificarsi con la pandemia o con qualcosa di molto personale». Il pubblico, conclude Simona, «mi ha insegnato a essere più positiva e a sorridere qualche volta in più».Ecco, allora, che il conforto e la possibilità di scoprire qualcosa di sé non sono doni elargiti solamente dall’artista ai propri spettatori bensì oggetto di una relazione fondata sulla reciprocità: lo ribadisce Davide, spiegando come molti dei commenti ricevuti al suo assolo gli abbiano rivelato dettagli cui egli stesso non aveva badato.
I commenti che maggiormente hanno colpito i danzatori, sono quelli su cui Bianco ha scelto di impostare con loro le parti successive dei rispettivi assoli: «un filo conduttore di base a partire del quale Raphael – continua Davide – ci propone delle situazioni coreografiche a cui noi rispondiamo proponendo un movimento o delle soluzioni alternative. Lui ci lascia dunque molto spazio per proporre e poi si preoccupava di ripulire, levigare ogni tratto, fino a trovare una situazione coerente, anche a livello drammaturgico».
Simona aggiunge, poi, come le sia piaciuto molto «lavorare con le parole: per noi partire dalle parole e metterle poi nel corpo è stato un esperimento che non si fa spesso. Una cosa molto “carina” che abbiamo fatto è stata identificare una parola che ci caratterizzava così come veniva fuori dai commenti – per me, ovviamente, “rabbia” – e poi scriverla con il corpo: tradurla in gesto ma partendo proprio dalle singole lettere».
Un altro aspetto significativo del progetto è stato, oltre alla volontà di unire gesto e scrittura, quello di elaborare una particolare drammaturgia fisica che garantisse la massima efficacia espressiva delle riprese dei singoli assoli, realizzate negli spazi dell’Officina della scrittura, un museo d’impresa legato alla manifattura delle penne Aurora. Racconta al proposito Davide: «il particolare delle riprese è che devi ripetere più volte un gesto poiché c’è la necessità di riprendere singoli dettagli: se per lo spettacolo dal vivo vale necessariamente il “buona la prima”, in questo caso invece tutto deve essere perfetto o quasi». Con le riprese, però, nota Simona, «puoi essere tu a scegliere dove far focalizzare lo sguardo dello spettatore, a differenza di quanto avviene in teatro».
Queste testimonianze di Simona e Davide, così come quella di Maela, rivelano come siano stati numerosi i risvolti del progetto Racconta-mi-racconto, molti dei quali inaspettati al momento della sua ideazione, come conferma lo stesso Raphael Bianco: «l’idea iniziale si sta evolvendo in maniera stupenda, in primo luogo perché sta emergendo uno spaccato di umanità davvero eccezionale: siamo pervasi dalle emozioni e dalle sensazioni che la gente ci porta con le proprie osservazioni e tutto ciò arricchisce anche il nostro pensiero coreografico».
Il lavoro che la compagnia sta compiendo in queste settimane, inoltre, è finalizzato anche a un progetto live che debutterà in estate al teatro Franco Parenti e poi sarà a Verbania e, con una versione site specific, al festival Mirabilia, che sarà fondato proprio sull’idea dello scrivere con il proprio corpo. Il punto di partenza dello spettacolo sarà costituito dalle testimonianze raccolte online, che saranno d’ispirazione anche all’attrice che scriverà e reciterà un monologo che affiancherà la coreografia.
Raphael Bianco sottolinea, a questo proposito, come, nella creazione tanto del progetto online quanto di quello dal vivo, sia fondamentale la collaborazione con la succitata Officina della scrittura, spazio dove, fra l’altro, sono stati girati gli assolo che, dalla particolarità di quel luogo, hanno conquistato un inedito valore aggiunto.
Nel complesso, un progetto articolato e fecondamente sperimentale dunque, che, conclude Raphael, «offre un’opportunità di sviluppo di una nuova forma di comunicazione e di integrazione fra i linguaggi, in cui il virtuale alimenterà la presenza e la presenza a sua volta nutrirà il virtuale, in un intreccio vivificante».