LAURA BEVIONE | Continuare a lavorare anche in un teatro vuoto, prendendosi il tempo e la concentrazione per osservarsi più da vicino: le piccole pieghe e le macchie del proprio corpo così come gli slittamenti di senso e le modalità di utilizzo delle parole quotidianamente pronunciate. Un progetto realizzato nella solitudine e nell’”assenza” per cinque mesi e i cui frutti sono resi disponibili gratuitamente, online, uno a settimana, fino alla fine di maggio.

Una meditazione sul presente della pandemia e un’ipotesi sul possibile avvenire che ci attende sono sintetizzate nel titolo Lingua madre – capsule per il futuro, scelto da Carmelo Rifici e da Paola Tripoli – rispettivamente direttore artistico del LAC e direttrice artistica del FIT Festival – per denominare il proprio originale e composito progetto, alla cui concreta realizzazione ha contribuito un “comitato editoriale” formato da Lorenzo Conti, Angela Dematté, Riccardo Favaro e Francesca Sangalli.

Un piano artistico che vuole essere paradigmatico di un rinnovato pensiero creativo, quest’ultimo sintetizzato in un decalogo/manifesto, concepito dagli stessi ideatori e dai loro collaboratori, descritto quale «un elenco di suggestioni che apre spiragli a campi di ricerca più vasti; una dichiarazione di intenti» e redatto a partire dalla constatazione che «solo accettando il fallimento in cui siamo sprofondati potremo muovere ipotesi di prossime realtà».

Suggestioni, “frammenti di visioni”, che sono stati immediatamente sperimentati nell’architettare appunto l’articolato palinsesto di Lingua Madre, sviluppato in «in tre macro aree tematiche: Corpo, Rito, Linguaggio», dalle quali si diramano altri motivi pregnanti, quali l’”assenza”, la connessione perenne, l’analisi logica, la gestualità… Temi già presenti nella prima realizzazione del progetto – che consta di diciotto lavori inediti, quattro conferenze e altrettanti lungometraggi – ossia il video artistico Poesie anatomiche, diretto e coreografato da Alessio Maria Romano a partire da nove brevi liriche composte da Francesca Sangalli e incarnato dalla danzatrice/performer Camilla Parini.

Un video girato negli spazi ampi e modernissimi, neutri e quasi asettici del Lac di Lugano – l’imponente centro culturale sulle rive del lago svizzero inaugurato nel 2015 – in particolare la sua eclettica sala teatrale, gli ascensori e i bagni, le scale e il retropalco, locali espositivi e magazzini: spazi còlti nella loro nuda essenza, svuotati di persone – spettatori e lavoratori – e dunque ricondotti a una primigenia neutralità, a una condizione di potenzialità non ancora tradotta in univoca funzione/finalità.

Nove liriche a cui vengono fatti corrispondere altrettanti “quadri” visivo-performativi, costruiti attorno allo sguardo – ingenuo eppure maturo – e al corpo – atletico eppure umanissimo – di Camilla Parini, tentando di riattivare e di ridisegnare quegli spazi: la relazione non usuale che la danzatrice intreccia con essi, infatti, ne problematizza la “destinazione d’uso” originaria, implicitamente evidenziando quanto l’approccio del nostro corpo a luoghi e cose – e, di conseguenza, all’”altro” – sia sclerotizzato da consuetudini e da stereotipi.

Riscoprire l’”anatomia” di corpi e di spazi significa concentrarsi sui dettagli – lineamenti di viso e schiena così come vetri e pareti, rubinetti e porte – decontestualizzandoli e attribuendo loro un’autonomia di significato che li sottrae alla loro pragmatica ordinarietà.

Alessio Maria Romano punta dunque a instaurare un dialogo inusuale fra la propria danzatrice e gli spazi del Lac, costruendo una coreografia minimale e precisissima, allo stesso tempo originale ed esplicitamente ispirata a una riconoscibile iconografia pittorica, qualità coerenti con la regia video che, anzi, le esalta, testimoniando della capacità del coreografo/regista di coniare un linguaggio felicemente ibrido.

Ecco allora, nell’esordio il moltiplicarsi dei corpi nudi che, ripiegati sulle poltrone della galleria della sala teatrale, paiono raffigurare una secentesca apocalisse; e, ancora, nel quasi ieratico finale, la visione reiterata di Camilla – e dello stesso Romano – raggomitolati, in posizione fetale, bozzoli in attesa di una nuova rinascita. Immagini curatissime ma non artificiosamente patinate, anzi dense e coinvolgenti, così come quelle che vedono la danzatrice – t-shirt e scarpe da tennis ma un’ampia e lunga sottana nera – correre per le scale del Lac oppure giocare a una sorta di nascondino nei bagni o, ancora, esplorare l’ascensore-gabbia.

Mani, gamba, braccia ridisegnano i contorni, l’”anatomia” – concreta e simbolica – di spazi che l’assenza obbligata dovuta alla pandemia ha privato della consueta familiarità, germinando così la necessità di una riscoperta, di un’esplorazione approfondita da compiere con sguardo nuovo, ché parametri e punti di riferimento precedenti hanno perso oramai qualunque consistenza.

Una riappropriazione della realtà che ci circonda e, in primo luogo, del nostro stesso corpo, indispensabile e forse, sembra suggerirci Romano, foriera di relazioni più schiette e consapevoli: una seconda nascita, inevitabilmente conscia della natura transeunte di ogni cosa e, nondimeno, decisa a coglierne e viverne soltanto l’essenza autentica.

POESIE ANATOMICHE
scrittura Francesca Sangalli
coreografia e regia Alessio Maria Romano
interprete Camilla Parini
produzione Lac/Lugano
visto online, 13 marzo 2021