ANTONIO CRETELLA | L’anno di pandemia appena trascorso, oltre a uno strascico di incalcolabili danni fisici e morali, ha reso più evidenti, se mai ve ne fosse stato bisogno, i meccanismi perversi della comunicazione politica, certamente già noti prima del flagello, ma, per così dire, magnificati dalla sequela di decisioni sbagliate prese dalla politica nazionale quanto da quella locale, per altro più impegnate a rinfocolare un perenne conflitto che ad agire concretamente sul contenimento della pandemia.
Dopo lo smarrimento dell’esordio del flagello che ha congelato per qualche settimana la velenosa dialettica partitica suggerendo addirittura ai cuori più puri la speranza di un rinnovamento palingenetico del linguaggio e delle pratiche, l’assestamento allo stato d’eccezione ha consentito alle maschere delle commedia dell’arte di riprendere i consueti canovacci. Tra questi, il più odioso è stato ed è il “doppio messaggio” attraverso il quale mascherare le inadempienze e gli errori di governo attaccando ora questa o quest’altra categoria di persone, ree di aver vanificato le misure di contenimento approntate con indicibile sforzo. In principio furono i runner che, pensate che mascalzoni, correvano come era consentito di fare nei primi DCPM dell’era Conte. Vennero poi le persone che si assembravano nei centri commerciali dopo che questi furono riaperti, via via ingrossando una catena di biasimo perenne che ha il duplice scopo di allontanare da sé la responsabilità di scelte scellerate e di costruire un’edificante, paternalistica immagine moralizzatrice. L’effetto parossistico di questo modus operandi, lungi dall’essere mitigato dal tanto auspicato cambio di passo del deus ex machina Draghi, si è accentuato in un vero e proprio corto circuito: biasimare gli insegnanti che si sono vaccinati a scapito degli ottantenni dopo averli per mesi pressati perché si vaccinassero in ossequio al loro dovere civico (fino a sospendere, ad oggi, le vaccinazioni dei docenti proprio mentre le scuole riaprono, che tempismo!); arrivare a chiedersi con che coraggio uno psicologo trentacinquenne osasse vaccinarsi in luogo di un fragile anziano dopo che il premier stesso aveva costretto queste figure professionali a vaccinarsi nel suo ultimo DPCM. Insomma, l’offerta del vaccino da parte del governo è una sorta di tentazione di Cristo nel deserto: io te lo offro, anzi in certi casi ti obbligo a vaccinarti, ma tu devi rifiutare in nome di un bene superiore. Di questa “moralsuasion” a orologeria dai risvolti ridicoli – se non fossero tragici – si evince che il cambio di passo forse c’è stato, ma è il piede a essere rimasto quello zoppo di prima.