LAURA NOVELLI | Era il 2011 quando Fabio Geda, giornalista a scrittore molto amato dal pubblico giovanile (e non solo), pubblicava per Salani Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari. Un libro che ha avuto un’incredibile fortuna e che, negli ultimi dieci anni, ha svolto un ruolo chiave nella formazione civica di tanti studenti e studentesse italiani. Un libro semplice e insieme complesso: dentro e dietro il racconto biografico del protagonista, un adolescente afghano in fuga dal suo Paese, si respira infatti molto, molto di più. Direi, una sorta di lirismo antico, di sentimento pietoso e vitale che sembra spingere la scrittura verso declinazioni paradigmatiche, universali, umanissime, senza mai farla cedere, però, all’enfasi o al didascalico. La cronaca diventa poesia. La realtà supera l’immaginazione. Mi permetto di parlarne in questi termini e in prima persona perché io stessa ne ho più volte proposto la lettura ai miei alunni di seconda e terza media e ancora ricordo l’incredulità di certi commenti: “Ma è tutto inventato, prof?”. “No, lo dice il sottotitolo e lo abbiamo già spiegato tante volte: è tutto assolutamente vero”.

In queste settimane la martoriata situazione politica dell’Afghanistan di nuovo in mano ai Talebani si impone di ora in ora come una terribile ferita che obbligherà migliaia di profughi a lasciare la propria terra e migliaia di genitori a distaccarsi dai propri figli sperando per loro un futuro migliore. Così la vicenda di Enaiat, la sua dolorosa odissea attraverso Pakistan, Iran, Turchia, Grecia fino all’approdo nel nostro Paese, la sua ostinata resistenza ad andare avanti gridano a tutti noi parole di cocente attualità. Il libro di Geda sembra scritto in questi giorni. La fuga del piccolo bambino di etnia hazara sembra una fuga di questi giorni: le strazianti immagini che ci giungono attraverso i media raccontano un dramma umanitario scandaloso ed è difficile anche solo immaginare come possano sentirsi gli Afghani ammassati l’uno sull’altro mentre cercano di scappare o di affidare i loro piccoli agli Americani al di là del “filo spinato”.   

Motivo in più, dunque, per plaudire l’operazione artistica, sospesa tra cinema e teatro, che la Compagnia Nuovo Teatro di Roma ha messo a segno sceneggiando Nel mare ci sono i coccodrilli (drammaturgia e regia sono firmate da Patrizia Schiavo, anche interprete nel ruolo della madre del protagonista) e realizzando un film nel quale le riprese, le inquadrature, i giochi di luce, i passaggi tra una sequenza e l’altra riconducono chiaramente all’imprinting teatrale del progetto ma si armonizzano in modo estremamente fluido con il linguaggio cinematografico. Enaiat, l’incredibile storia è il titolo di questo lavoro che, prodotto da Persico Film e già proposto in anteprima al cinema Eden della Capitale il 7 luglio, sarà presto visibile sulla piattaforma on-demand Teatrocittà e distribuito al grande pubblico, con un canale preferenziale per quello scolastico.

L’idea di tradurre in film l’originaria partitura drammaturgica pensata inizialmente per il palcoscenico è frutto delle restrizioni che la pandemia ha imposto agli operatori dello spettacolo dal vivo. Eppure, a prescindere da queste specifiche contingenze, la contaminazione tra i due linguaggi risulta qui quanto mai efficace. Motivo per cui ben venga un’iniziativa così nelle nostre scuole. A poche settimane dalla riapertura dell’anno scolastico, è naturale pensare che di Enaiat, l’incredibile storia e di lavori simili abbiamo un estremo bisogno. Tanto più oggi. Mentre guardavo il film riflettevo, infatti, sul doppio binario “educativo” che esso ci indica: da un lato, facilitando nei giovani una conoscenza diretta della tragica situazione afghana e del fenomeno migratorio tout-court e, dall’altro, avvicinandoli al teatro utilizzando il cinema e la sua massiccia possibilità di fruizione.

Sicuramente ci sarà chi troverà questo format fortemente teatrale e chi, viceversa, ne apprezzerà soprattutto la fattura filmica. Poco importa. Perché siamo nel perimetro di un dialogo a due in cui il teatro vibra nell’ambientazione al chiuso, nella resa recitativa degli attori (a partire dal bravo Antonio De Stefano, nei panni di Enaiat), nella semplicità degli oggetti di scena impiegati. Mentre ai tempi, al ritmo del cinema risponde la struttura stessa del testo, concepito come un lungo flashback del protagonista ormai adulto che, monologando davanti alla videocamera, rievoca i passaggi salienti della sua storia. Questi assoli narrativi si trasformano dunque in scene, in sequenze di montaggio, in primi piani, campi medi, piani americani, in azioni dialogate o momenti più figurativi. Resta tuttavia sempre ben percettibile la presenza materica di un palcoscenico che, sebbene non si veda mai, circoscrive le azioni e quasi le accoglie dentro un perimetro ristretto ma fluido. Un po’ come succede nella migliore produzione di teatro per la televisione; in quelle trasposizioni a uso e consumo di “tutti” che hanno segnato un’era felice della nostra civiltà dello spettacolo.

C’è anche da dire che in questo spettacolo della Compagnia Nuovo Teatro (nel cast figurano pure Eugenio Marinelli, Paolo Madonna, Jacopo Mauriello) il racconto, a differenza di quanto capita nel libro, talvolta rischia di suonare un po’ didascalico, illustrativo, ma il bello è che il filo della storia torna sempre a lui. Sempre all’Enaiat “italiano”. Egli ci parla della sua vita, delle minacce dei talebani, dell’uccisione del suo maestro; ci parla di un’infanzia allegra ma compromessa dall’odio interetnico e dal terrore della vendetta. Ci parla della morte del padre, dei tanti dolori attraversati durante il viaggio (l’abbandono “necessario” della madre, la povertà, la violenza dei trafficanti, la fame, il freddo, la paura continua) e noi vediamo/ascoltiamo tutto ciò. Ma poi torniamo a quell’Enaiat narratore che, con il suo semplice stare lì quasi fuori campo, ci “confida” anche ciò che la sua epopea gli ha regalato di bello: una famiglia adottiva, la possibilità di studiare e laurearsi, una nuova vita, un nuovo sé. Enaiat si fa perciò testimone di una possibile luce per tanti come lui. Viste le drammatiche notizie che arrivano da Kabul, può sembrare ingenuo insistere sull’esito positivo della storia. E certamente quel sentimento di nostalgia per il proprio Paese che spesso si fa spazio tra le pagine del libro (la telefonata alla madre dall’Italia ne è uno degli esempi più toccanti) non può che essersi tramutato, oggi, in paura e angoscia. Eppure Enaiat ce l’ha fatta. Credo sia questo il messaggio più importante che dobbiamo cogliere dal film e che, soprattutto, dobbiamo far cogliere ai nostri ragazzi. 

ENAIAT, l’incredibile storia
un film liberamente tratto da
Nel mare ci sono i coccodrilli – storia vera di Enaiatollah Akbari di Fabio Geda

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egia e drammaturgia Patrizia Schiavo
con Antonio De Stefano, Paolo Madonna, Eugenio Marinelli, Jacopo Mauriello, Patrizia Schiavo
aiuto regia Sarah Nicolucci
foto di Roberto Corradini
versione Cinematografica a cura di Persico Film
in collaborazione con la Regione Lazio
con il patrocinio di Amnesty International 

CNT Compagnia Nuovo Teatro: www.teatrocitta.org 

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l progetto è in diffusione presso scuole e altre realtà culturali di tutta Italia. Dirigenti scolastici, docenti, genitori e chiunque sia interessato a portare Enaiat nel proprio contesto può compilare il form nell’apposita sezione sul sito www.teatrocitta.it/info.