ANNALISA GURRIERI | «Sono venuto qui per sparire, in questo borgo abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante». Si presenta così il protagonista dello spettacolo La lucina. Ma chi non ha mai desiderato, almeno una volta nella vita, di scappare e rifugiarsi in un posto remoto, immerso nella natura? Il desiderio recondito di molti si realizza in una piovosa serata di settembre, tra le mura e le poltrone del Piccolo Teatro Grassi dove prende forma un bosco fitto di alberi e piante di ogni genere tra le quali si nasconde una casupola, di cui si vedono solo il cortile, una sedia, una tenda sorretta da un filo e una bacinella. Ma prima di approdare su un palcoscenico, la storia stupefacente di questa fuga si snoda tra le pagine dell’omonimo romanzo di Antonio Moresco. Ne è interprete Silvio Castiglioni, che ha anche curato l’adattamento teatrale. La regia è di Fabrizio Pallara. Lo spettacolo è inserito nella rassegna Tramedautore – Festival Internazionale delle Drammaturgie, realizzato da Outis – Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano e con mare culturale urbano.

Nel silenzio, sul palco, illuminato solo da una luce laterale gialla, avanza il protagonista, un uomo anziano che trascina i piedi e comincia a strizzare e stendere vestiti. Egli, se subito ci rivela il suo intento con quella frase lapidaria, poco dopo ci rende partecipi di un evento straordinario e soprannaturale al quale continua a cercare una spiegazione: ogni notte, nel buio del bosco, «si accende una lucina», anche se, dichiara egli stesso, non ci sono occhi che lo fissino nel buio.

Ph Pino Montisci

Mentre la trama, sin da subito, si rivela un racconto tenero, dolcemente posto nelle mani e nel cuore degli spettatori da Silvio Castiglioni, delicato e sensibile, gli occhi sono stregati dalla scenografia che prende vita. Le mani di Georgia Galanti sono riprese e proiettate sulla tenda che fa da sfondo: collocano pezzi di legno prima e foglie poi, quando il protagonista descrive il suo rifugio. La trama si fa più dinamica quando egli si mette alla ricerca: vuole scoprire a tutti i costi cosa o chi ci sia dietro quella lucina, interroga anche un albanese che crede si tratti di un ufo. Il protagonista, però, non si rassegna, vuole scavare più a fondo: sulla tenda compaiono immagini di fogli ingialliti, il profilo di un volto, ancora cespugli fitti. Decide così di recarsi al punto dal quale proviene la lucina: scopre una casa abitata da un bambino, solo, è lui ad accendere ogni notte la lucina. Ha sei anni, fa il bucato, cucina e va a scuola, ma della sua storia qualcosa non torna finché non ci si trova davanti alla rivelazione: il bambino è morto.
Da questo dettaglio macabro cambia la percezione di ogni cosa. Infatti egli frequenta la scuola dei bambini morti, gestita da un bidello morto. Mentre le orecchie sono tese ad ascoltare il più strano e criptico dei racconti, gli occhi sono rapiti da una visione singolare, una scenografia che cambia in continuazione: siamo stregati da queste immagini vive. Adesso compaiono un foglio e delle mani che iniziano a dipingere: sono cerchi che si trasformano in volti e infine in corpi. È la classe dei bambini morti. Ma poi il disegno viene strappato, accartocciato, spezzettato. Il bambino si imbatte in difficoltà quotidiane non molto diverse da quelle di un bambino vivo: è escluso e preso in giro dai suoi compagni perché strano, è pasticcione eppure molto sensibile. Unica consolazione è la compagnia del vecchio: infatti, poco dopo essere stati gettati sulla tela, i pezzetti dell’acquerello prendono la forma di un cuore. Verso la fine dello spettacolo, sulla tenda, inizia a nevicare: è arrivato l’inverno e con esso l’atmosfera si fa ancora più cupa. Pervade un senso di incertezza e facilmente si perde la via. Ma in questo borgo senza tempo, basta una grande mano che stringa una piccola manina, per trovare la strada nel buio.

Questa immagine finale restituisce una certa consolazione, ma suscita anche una serie di domande su ciò a cui si è appena assistito: perché raccontare una storia che abbia come protagonisti bambini morti? Perché sono collocati in questa natura che sembra divorare ogni essere che la abiti? Se è difficile evincerlo dalla messa in scena, la regia di Fabrizio Pallara, fondatore e direttore artistico della compagnia di teatro per ragazzi Teatro delle Apparizioni, restituisce comunque una commistione di sensi e percezioni. Il regista romano, che ha da poco concluso la prima edizione del Festival Contemporaneo Futuro a Roma, si conferma attento al mondo dell’infanzia, nella realtà o nella finzione, come dimensione della vita da tutelare, da formare e a cui attingere.

Così, tra le parole di questo racconto si innesta un linguaggio singolare, una performance nella performance che dà vita a quella contaminazione di linguaggi performativi ricercata quest’anno da Tramedautore e dal suo nuovo direttore artistico Andrea Capaldi. Egli stesso ha dichiarato quale vorrebbe che sia la funzione del festival e del teatro in generale, ovvero quella di strumento per «curare le ferite della comunità». Tramedautore diventa dunque un momento d’incontro tra le urgenze degli autori e le necessità di una comunità: il bisogno di essere ascoltati degli uni e l’esigenza di fermarsi ad osservare degli altri. Le persone trovano finalmente qualcuno che dia voce a pensieri e sensazioni per troppo tempo celati. Forse proprio questo spettacolo, e ancor prima il testo di Moresco, permettono di riconoscersi in certi desideri reconditi, in certe sensazioni di fragilità, nell’incapacità di comprendere il mondo che cambia e si evolve, nell’emarginazione per l’essere diversi e nell’innocenza con cui a volte capita di guardarsi intorno, questa forse da ricercare più spesso.

 

LA LUCINA

tratto dal libro di Antonio Moresco
adattamento teatrale Silvio Castiglioni
regia Fabrizio Pallara
con Silvio Castiglioni, Georgia Galanti
un progetto Celesterosa Associazione Culturale col sostegno di Comune di Cattolica e Regione Emilia Romagna

Milano, Piccolo Teatro Grassi
16 settembre 2021