SUSANNA PIETROSANTI | Presso il Teatro dei Coraggiosi di Pomarance, a cura di Officine Papage,  è andato in scena il 22 aprile, in prima nazionale, l’ultimo progetto dei Controcanto Collettivo, Salto di specie, uno spettacolo che dietro l’apparente decifrabilità nasconde una composizione ad anello dai molti segreti.
La prima meraviglia è l’inserzione immediata del pubblico in una mimesi realistica a cui non siamo più abituati: conferita non dalla scenografia, simbolica e gelida – sbarre di ferro che diventano postazione e sostegno rimanendo ciò che sono, cassone di camion, gabbia e prigione – il cui senso solo più tardi ci sarà svelato, ma dal fluido dialogo, realistico, così naturale e scorrevole da proiettarci tutti in una immediatezza stupefacente.

Foto Simone Galli

Un dialogo che ci trasporta in una sfera definita di io-qui-ora, sostenuto da una recitazione di tale naturalezza da diventare cinematografica anche se i volti degli attori ci sono lontani. Questa mimesi naturalistica è la chiave della creazione di un universo in cui il tempo della storia scorre con la lentezza con cui si dipana la vita, in un alternarsi di quadri in cui apparentemente non succede niente, e invece questo niente è tutto, è il modo in cui la nostra esistenza si snoda in uno spotting decifrabile solo a posteriori, e le battute, le frasi, i minimi movimenti, costruiscono su una tettonica sotterranea lo scheletro della vita.
La drammaturgia, preziosa, si prende questi tempi di esistenza vera, che rifiutano di essere spiegati superficialmente come presentazione dei personaggi per strutturare, invece, un universo cechoviano, dove le situazioni si muovono in una lentezza quotidiana che prepara tutto, anche se non sappiamo cosa. Questa variante, minima forse, questo discostarsi minimamente ma immensamente dalle tecniche consuete (presento i personaggi, costruisco un clima gioioso che sarà poi contraddetto, semino chiari indizi della catastrofe finale) per dipingere il movimento lento di ciò che è profondamente vita, è un rispetto per il pubblico, e per la dignità del proprio lavoro, veramente prezioso, e veramente raro.

Tre camionisti, Roberto (Federico Cianciaruso), Mirko  (Riccardo Finocchio) , e il protagonista, Sandro (Emanuele Pilonero), alle dipendenze Walter (Andrea Mammarella) trasportano quotidianamente animali al macello. È la loro consuetudine, che non li rende diversi, né malvagi: eccoli presi dai mille niente che sono la vita, il sushi a Tivoli particolarmente buono, un figlio in arrivo di cui già si sa che sarà maschio. In uno dei due appartamenti in cui è divisa la casa di Sandro, arriva, però, Chiara (Martina Giovanetti), più colta, più informata delle nuove filosofie di moda, bellissima e proprietaria di una cagnolina che, mai in scena, raduna su di sé varie funzioni: è l’elemento di squilibrio della situazione ed è il contagio del cambiamento, il kairos che colpisce una volta, quando non lo sappiamo.

Chiara, con la quale Sandro fa amicizia, dovendo trasferirsi per qualche settimana, propone al vicino di tenerle la cagnolina, Luna. Sandro accetta, e la sua vita cambia. Il prendersi cura del cane (Sandro viene da una cultura in cui le regole sono chiare: le case che accolgono animali puzzano, la metonimia con il cane deve essere ristretta e limitata), l’ammetterlo nella sfera del prendersi cura, poi in quella protettiva, poi in quella affettiva, è una decisione colma di conseguenze.

Il rapporto con l’altro da sé si dilata: le paratie che ci separano dall’altro di specie diventano troppo porose per resistere. Quando, una mattina, una mucca si ribella all’essere caricata sul camion che la porterà al macello, ecco, per Sandro, quella mucca non è diversa da Luna che si impunta per evitare di essere portata dal veterinario. E, per colmo di catastrofe, la mucca lo guarda. Lo sguardo animale – lo sappiamo dai tempi di Eschilo che definisce Cassandra una vacca condotta al sacrificio dagli dei –è una porta che apre a un altro senso. Apre un mondo dove non è più necessario, né accettabile, il linguaggio, dove le menzogne che l’umanità si racconta costruendo degli animali silenziosi una classe di viventi assassinabili senza rimorso, si sbriciola.
Toccato, aspirato da questo sguardo animale, Sandro precipita nel vortice. Non può più continuare a collaborare nel trasporto degli animali al macello. Il mondo si ribalta.

Ogni tentazione di tragedia, o di propaganda militante, viene, comunque, con sommo buon gusto e sommo senso, rifuggita: la metamorfosi di Sandro è solo sua, e non ha neanche elevate giustificazioni, è una vertigine che lo ha preso, è solo fastidiosa perché intralcia il meccanismo del lavoro di gruppo: il suo licenziamento non è una scelta eroica, e non avrà conseguenze micidiali: lavorerò nell’orto, dice, poi ho comunque la patente…. Conseguenze amare, sì, però. Nessuno condividerà, o capirà. Non la sorella, Lorena  (Clara Sancricca), materna ma inflessibile, neppure Chiara, che ribadisce che lei gli altri animali «non li vede» e che Luna, comunque, non è veramente un animale, ma una di famiglia, per cui il trattamento diverso per lei è ammissibile. È solo Sandro a fare questo infinito salto di specie, slittando dal cane all’animale di utilità e quindi saltando di specie anche lui: un movimento inaudito da una specie crudele e capace di utilitaristiche distinzioni a una nuova specie, capace di percepire che sì, tutto è collegato, e l’immagine di un’umanità diversa, schiavista degli altri viventi, è ingiustificabile e assurda. Del resto, viviamo tra le sbarre: il camion che trasporta le vittime al sacrificio è costruito di barre metalliche, come i nostri luoghi, porte, tavoli, sedie, come il cammino di una vita cieca in cui ci muoviamo, inconsapevoli cavie sulla ruota, nel caso non riuscissimo, come Sandro, a saltare.

Si conclude così, sommessamente, un congegno drammaturgico che evita i clamori della tragedia pur costruendo un meccanismo perfettamente tragico, se tragedia è scelta, mutazione, metamorfosi e anche, secondo Milo Rau, una promessa di ripresa, di nuova vita. Sandro si sdraia, solo, con la sola compagnia della radio che accende proprio come nella prima scena: del resto, il susseguirsi di momenti in cui ci arrendiamo a quello che ci succede, e ci cambia, costituisce profondamente la nostra essenza.  Questo momento alto di teatro ha, fra gli altri meriti, quello profondo di ricordarcelo.


SALTO DI SPECIE

drammaturgia originale Controcanto Collettivo
ideazione e regia Clara Sancricca
con Federico Cianciaruso, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero,Clara Sancricca
scenografie Michelle Paoli
disegno luci Martin Emanuel Palma
costumi Rebecca Valloggia
produzione Controcanto Collettivo / Progetto Goldstein

Progetto vincitore del bando Toscana Terra Accogliente 2020 a cura di Rat (Residenze Artistiche Toscana)
In collaborazione con Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Toscana Spettacolo, Centro di Produzione della Danza Virgilio Sieni
Residenze artistiche presso Catalyst, Giallo Minimal Teatro, Murmuris, Teatrino dei Fondi, Teatro Popolare d’Arte