ESTER FORMATO | Racconta.  È la prima battuta di Carbonio, spettacolo scritto e diretto da Pier Lorenzo Pisano e allestito per il Teatro Studio Melato di Milano.
Secondo la visione di Marco Rossi che cura la scena, due personaggi separati dal resto della sala, sono racchiusi in una cortina semitrasparente al cui interno una piattaforma circolare costituisce il solo assito dello spettacolo. Illuminati da una luce perfettamente verticale, come inquadrati dall’iride di un’astronave, essi danno luogo a un incalzante dialogo la cui essenza risiede proprio in quella prima battuta. Lei (Federica Fracassi) è una scienziata e lui (Mario Pirrello) è l’uomo che ha toccato un essere non umano. Un alieno? In una crescente climax i due personaggi costruiscono e decostruiscono quell’avvenimento, scoprendo battuta dopo battuta quanto le narrazioni implichino più versioni della stessa realtà di cui (forse) conservano oggettiva memoria solo  i video su Youtube.

C’è una palese divergenza nelle posture, nei toni di voce, in tutte le inflessioni delle battute dei due personaggi: lei, bravissima, ingloba in una misuratissima gestualità la razionalità intrinseca in chi indaga l’inesorabile curiositas che spinge l’umano oltre i limiti della conoscenza, ma tale razionalità è di continuo increspata dalla paura dell’incontrollabile; lui, magnetico, stremato dagli infiniti interrogatori, rivendica l’impossibilità di restituire una versione univoca, la sua memoria è continuamente sovrascritta da impulsi esterni, ed è riluttante ai nuovi tentativi di decostruzione e ricostruzione di quel solo episodio che ora appare staccato da sé, non più parte del suo vissuto, ma virtualmente di tutti coloro che ne hanno notizia. La sua partitura è una progressiva ascensione emotiva che inchioda l’attenzione dello spettatore.

In questo atto maieutico e duello verbale, i due personaggi si avvicinano e si allontanano muovendosi circolarmente con le loro poltrone a rotelle, conferendo alla drammaturgia apparentemente statica, una dinamicità di fondo che ben si sposa con essa.

A intervallare i quadri e a stemperare la crescente tensione fra i due personaggi, interviene lo stesso Pisano il quale, fungendo da narratore extradiegetico, mette a punto un secondo piano dello spettacolo, di tipo didascalico, entro il quale racconta dell’esperienza Voyager. Si tratta del  progetto NASA implementato nel 1977 che ha mandato nello spazio due sonde  a scopo esplorativo, allegando a esse 115 fotografie, un saluto in 55 lingue diverse e una serie di canzoni (il disco rec istruzioni illustrate) nel caso in cui qualche altra forma di vita volesse mettersi in contatto con noi. Funzionanti sino al 2025, ora le due sonde si trovano rispettivamente a più di 22 miliardi e 445 milioni di km e a più di 18 miliardi di km dalla Terra.

L’excursus extradiegetico di Pier Lorenzo Pisano che interviene da vari punti della platea si avvale di enormi pannelll sparsi nella sala e mostrati al  pubblico, mentre il cilindro che funge da assito viene oscurato; recano una piccola selezione di quelle 115 fotografie inviate nello spazio. Partendo dal pirandelliano presupposto di quanto sia insignificante l’uomo rispetto all’universo, il carbonio, preso come ironica metonimia del pianeta Terra, si palesa nei suoi  aspetti più ridicoli, ma quanto più se ne assume coscienza maggiore è il desiderio di valicare i propri limiti, incarnato nella sfida all’infinito universo.

Se all’apparenza i due livelli di narrazione sembrano stridere, in realtà l’uno e l’altro trovano un punto focale univoco che risiede nella frattura realtà/narrazione, frattura che nel corso del dialogo maieutico fra i due protagonisti diviene sempre più dolorosa, per poi esplodere nel disperato tentativo di far coesistere due piani della realtà nella mente, perché si possa aggirare il dolore di una tragedia, di una perdita. Lo spettatore vive quindi uno sbilanciamento, assapora la tensione drammatica, la tragica conflittualità di un uomo qualsiasi compresso fra la tensione tragica dalla quale emerge il lutto per la sua bambina e una folle speranza, un’ implicita istanza a queste presunte creature non umane, di invertire, manipolare il tempo perché il passato diventi alternativa al presente, e ancori alla vita la bambina perduta.

Un duello a colpi di parole, con scampoli di tregua e comprensione reciproca; entrambi i personaggi si misurano con le più profonde inquietudini e da esse vengono incalzati battuta dopo battuta, finché tutto s’infrange come un’unica onda emotiva sul finale, in un monologo recitato da Federica Fracassi che, ripercorrendo a ritroso il cammino della razza umana e del pianeta Terra, pone fine a tutto il lavoro, allentando la densità della drammaturgia centrale.

Carbonio è una prova interessante anche per quanto riguarda il rapporto fra fantascienza e teatro, perché ne trova una giusta quadra. Ciò vale non solo per l’impostazione della storia, ma anche per la qualità e le soluzioni dell’allestimento scenico, come ad esempio l’uso della tecnologia Coelux che ripropone il colore azzurro del cielo, frutto di ricerche ed esperimenti fisici. D’altronde, anche la stessa scena circolare con il suo involucro trasporta lo spettatore verso i luoghi asettici dei laboratori scientifici nascosti negli enormi edifici deputati alla ricerca. Ma la ricostruzione tangibile e visiva di un ambiente fantascientifico non si presenta sterile; la caratterizzazione dei personaggi densa e complessa dà allo spettacolo un’autentica bellezza e coinvolge emotivamente lo spettatore.
Perciò, la tessitura drammaturgica custodita e agìta all’interno del cilindro semitrasparente è forte e concreta tanto da poter coesistere con il piano extradiegetico, secondo livello della narrazione, che non indebolisce il dramma, ma al contrario lo valorizza dandogli un ritmo, una scansione ben precisa che asseconda la contrazione emotiva della vicenda, mescolando abilmente due modalità narrative che rappresentano l’essenza dell’umanità: tragicità e ironia.

Se è vero che  Carbonio conserva a tratti una natura sperimentale forse anche per il solo fatto di porre in scena una commistione di generi e narrazioni diversi, è pur vero che  l’accuratezza di ogni aspetto caratterizzante questo lavoro ce lo consegna come un ingranaggio ben riuscito e ben rodato dal quale lo spettatore esce arricchito dalle chiavi di lettura che è riuscito a strappare nel corso della visione.

CARBONIO

scritto e diretto da Pier Lorenzo Pisano
scene Marco Rossi
luci Gianni Staropoli
costumi Raffaella Toni
con Federica Fracassi, Mario Pirrello
una voce Pier Lorenzo Pisano
assistente alle scene Francesca Sgariboldi 
assistente volontario Alberto Marcello
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in coproduzione con Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Testo vincitore del 56° Premio Riccione per il Teatro

Teatro Studio Melato, Milano
1 luglio 2022