EUGENIO MIRONE e ELENA SCOLARI | La prima edizione di Hystrio Festival, ospitata dal Teatro Elfo Puccini di Milano, ha animato cinque giornate settembrine dando spazio al teatro italiano under 35. PAC chiude il reportage iniziato la settimana scorsa con il racconto che segue, su letture e spettacoli di giovani autori e compagnie: La gloria di Fabrizio Sinisi, Camminatori della patente ubriaca di Nicolò Sordo, L’ombra lunga del nano di Les Moustaches e Oh little man di Giovanni Ortoleva.

Tutti hanno sognato almeno una volta nella vita di diventare famosi. Certo, fa scalpore quando la persona che anela alla fama, un giovane dall’animo spiccatamente nietzschiano, amante di Wagner, dell’ideale classico di otium, disprezzatore del mediocre e della massa, si chiama Adolf Hitler. Eppure, anche Hitler è appartenuto al genere umano e ha condiviso le aspirazioni di qualsiasi uomo, tra cui soprattutto il desiderio di gloria.
L’omonimo spettacolo scritto da Fabrizio Sinisi, La gloria, mette in scena un frammento della giovinezza di Hitler (Alessandro Bay Rossi) quando sognando la fama come pittore si trasferì a Vienna insieme all’amico August Kubizek (Dario Caccuri) per frequentare l’accademia delle Belle Arti della capitale austriaca.


La regia di Mario Scandale si muove in un’ottica simbolica ed essenziale, grandi scenografie e costumi storici sono messi al bando. I tre attori (in scena anche una decisa Marina Occhionero nelle vesti di Stefanie, amante di August) vestiti in abiti casual si muovono in uno spazio completamente vuoto definito solo dal suggestivo disegno luci di Camilla Piccioni. L’unico elemento scenografico è un grande telo  su cui vengono proiettate le immagini di una fervente Vienna dei primi anni del ventesimo secolo. L’occhio dello spettatore, però, viene in gran parte catturato dalle grandi campiture monocolore e dalle tonalità ombrose su cui è basata l’estetica della scenografia. Lo spettacolo è un piacere per gli occhi.
Se è vero, però, che la vista è la facoltà sensoriale più astratta e mentale, la scelta registica di ricreare un meccanismo scenico antinaturalistico che, con puro intento brechtiano, punti a stimolare lo spirito critico dello spettatore rischia di tarpare le ali al potenziale espressivo della storia. Se non altro perché a catalogare in ogni modo razionale Hitler come un mostruoso tiranno ci ha già pensato la storia. Non è un caso che proprio la sofferta interpretazione di Alessandro Bay Rossi sia l’elemento di maggior risalto della pièce, soprattutto perché mette davanti agli occhi  una spaventosa verità, spesso difficile da accettare: Hitler fu un giovane come tutti, non è nato tiranno ma lo è diventato.

La quarta e ultima giornata di Hystrio Festival al Teatro Elfo Puccini comincia con il rito – inventato da Tindaro Granata – della lettura scenica di un testo teatrale, realizzata davanti a una platea fornita di copione per seguire come la parola scritta si trasformi in parola recitata per bocca degli attori; il testo di domenica 18 settembre è Camminatori della patente ubriaca di Nicolò Sordo, tra gli interpreti insieme a Francesca Porrini, Alessandro Bandini e Angelo Di Genio, accompagnati dalla musica delicata di Kahlumet, che – si parva licet – ricorda lo stile raccolto e sofferto di Nick Drake.
I camminatori sono una famiglia composta da madre e due figli maschi, tutti e tre alcolisti (il padre, con qualche ragione, si è dato alla macchia) e tutti e tre privi della patente per la ragione suddetta. Ecco perché camminano. Nella nebbia di un paese della provincia veneta, lato Lago di Garda. La donna vuole essere chiamata Pupa anche dai figli, i figli si chiamano Simon e Teschio; battibeccano, litigano, si insultano un po’, fanno colazione con una birra o due per neutralizzare la sbornia della sera prima.
Teschio era innamorato di una barista, la ragazza è morta ma si presenta, muta, in forma di angelo, non è chiaro se anche gli altri la vedano o meno, in ogni caso questo è il fatto – soprannaturale – intorno a cui gira il testo, che si chiude con la restituzione della patente a Pupa. Due segni di speranza: uno assai pratico e l’altro sognante forse perché per Nicolò Sordo l’unico rifugio di una vita marginale alcolica e misera è la dimensione dell’impossibile.

L’impossibile poetico è anche la bellissima idea, romantica, che costituisce la brillantezza impalpabile de L’ombra lunga del nano, lo spettacolo di Les Moustaches proiettato in video per la giusta volontà della direzione artistica del Festival di mantenere lo spazio riservato alla compagnia nonostante l’improvvisa e drammatica scomparsa di Claudio Gaetani, che è stato coprotagonista del lavoro insieme a Ludovica D’Auria.

In scena il lettone di Neve e Olo, sono sposati e lei si innamorò di lui anni fa quando diventò l’eroe del circo in cui lavorava: ebbe il suo momento di gloria quando con un atto rivoluzionario liberò gli animali del circo, lui, il nano che recitava le barzellette piangendo. Ora il loro matrimonio non è più felice, lei non esce mai dall’appartamento del condominio, lotta con la stitichezza e il conseguente gonfiore, lui se ne va all’alba per andare a lavorare e torna stanco, arrabbiato, in attesa della sera della pizza settimanale.
I due coniugi bisticciano – anche malamente ma sempre con molto spirito – e Olo avverte l’infelicità e l’insoddisfazione della moglie e, amandola ancora, le regala l’ombra gigante di un uomo che non c’è ma di cui si possa ancora innamorare ritrovando la gioia e la sorpresa.
Lo spettacolo diventa una fiaba soave e la via dell’ombra proiettata sul pianerottolo fuori casa sarà la strada fantastica che porterà entrambi su un piano irreale e che li solleverà da un’esistenza piatta portandoli nel regno dell’immaginazione.
L’ombra lunga del nano è uno spettacolo bello, molto ben scritto, pieno di fantasia, che non vedremo più.

Se La gloria riflette sul dittatore assassino più noto al mondo, cercando di spogliarlo delle sovrastrutture obbligate con cui sempre si ragiona attorno a Hitler, scegliendo di mostrarlo prima che diventasse l’insuperabile nazista che è stato, Oh little man ci parla invece di un capitalista tipo, un personaggio d’invenzione che rappresenta una categoria.


In scena nulla la ricorda ma il protagonista è a bordo di una nave (pare da crociera), è un uomo ricco, con un servo che si chiama Lunedì (forse perché è il giorno in cui riaprono le borse?), è dedito ai calcoli e alla freddezza dell’analisi contabile finanziaria ma, senza alcuna coerenza, ascolta “una voce” che gli dice di vendere tutto prima che sia troppo tardi. Sulla nave non si trova un telefono (e nemmeno un ginocchio di ricambio dopo una caduta) e in un ritmo vorticoso in cui l’esplosivo Edoardo Sorgente mostra una duttilità davvero sorprendente, capiamo che il naufragio economico è vicino. Mentre due schermi ai lati del palco mostrano i titoli quotati che scorrono a cascata, il nervosismo del capitalista sull’oceano cresce perché gli investimenti cui si è dedicato come a un idolo da adorare finiranno a picco perché l’invisibile Lunedì non gli porta quel maledetto telefono.
Giovanni Ortoleva, autore e regista, ha una scrittura incalzante, febbrile, perfettamente resa dalla tensione recitativa di Sorgente; la direzione è precisa, l’andamento è vieppiù forsennato. Ecco perché la scelta della chiusa risulta brusca ma soprattutto facile e pare un modo furbo per risolvere con un gioco di prestigio il problema di trovare una conclusione che approfondisca il personaggio e il senso che gli si potrebbe dare.
Oh little man si blocca appena prima del naufragio e viene chiesto al pubblico di decidere se accorrere in aiuto dell’uomo porgendogli un salvagente che sta a lato della scena oppure lasciarlo affondare con tutto il suo patrimonio. All’Elfo uno spettatore preferisce intervenire e una voce fuori campo sbeffeggia la platea dicendo “Complimenti: avete salvato un capitalista”. Mentre sui due schermi si susseguono immagini di montagne di plastica (sigh). Cioè avete salvato uno stronzo e quindi ne siete complici e siete un po’ stronzi anche voi.
Ecco, questo atteggiamento scanzonatamente accusatorio comprime l’intelligenza di un testo che fino a questo momento preludeva a qualcosa di più sferzante di un dito ideologico alzato.

Hystrio Festival è stato una bella occasione, molto frequentata dal pubblico, di vedere numerosi esempi di giovane teatro ed esplorare le direzioni e i temi che gli autori battono per indagare il senso e il valore di un’arte che rimane quella più viva e più adatta a muovere la discussione e il confronto. Alla seconda edizione!

LA GLORIA

di Fabrizio Sinisi
con Alessandro Bay Rossi, Dario Caccuri, Marina Occhionero
regia di Mario Scandale
video di Leo Merati
luci di Camilla Piccioni
assistente alla regia Marialice Tagliavini
produzione La Corte Ospitale

CAMMINATORI DELLA PATENTE UBRIACA

lettura scenica a cura di Associazione Situazione Drammatica/Progetto Il Copione
con Francesca Porrini, Nicolò Sordo, Alessandro Bandini, Angelo Di Genio
voce e musica Kahlumet

L’OMBRA LUNGA DEL NANO

di Les Moustaches
regia Alberto Fumagalli e Ludovica D’auria
drammaturgia Alberto Fumagalli
light design Eleonora Rodigari
costumi e scenografia Giulio Morini
produzione Compagnia Les Moustaches, Società per Attori, Accademia Perduta Romagna Teatri

OH LITTLE MAN

testo e regia Giovanni Ortoleva
con Edoardo Sorgente
progetto sonoro Agnese Banti
disegno luci Marco Santambrogio
produzione Kanterstrasse – Teatro Le Fornaci di Terranuova Bracciolini

 Hystrio Festival, settembre 2002 | Teatro Elfo Puccini

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