ILENA AMBROSIO | Quanto valore ha, oggi, in Italia, il teatro? Quanto valore ha, nella nostra cultura, nella nostra mentalità, l’attività teatrale? Facile sarebbe rispondere che ne ha molto, facile sarebbe riportare la mente alle tante parole spese durante gli anni di pandemia sulla salvaguardia e la tutela dello spettacolo dal vivo, degli artisti. Eppure, poi, capita che un piccolo teatro nato in un quartiere problematico di Napoli, un teatro che per dieci anni ha lavorato con e per la comunità di quel quartiere, uno spazio che ha ospitato tanti artisti e ne ha visti nascere e crescere di nuovi, uno spazio che è stato a tutti gli effetti un presidio dell’arte in un contesto spesso ostile, ecco: capita che quel teatro debba interrompere bruscamente la propria attività e chiudere le sue porte.

Il Nuovo Teatro Sanità è nato nel 2013 a Napoli nel rione Sanità, una zona carica di contrasti, dove convivono il forte disagio socio-economico legato all’alta dispersione scolastica, alla disoccupazione e alla criminalità e un profondo desiderio di riscatto sociale e culturale.
In mezzo a questi contrasti un gruppo di giovani professionisti del teatro, guidati dal direttore artistico Mario Gelardi, ha incontrato i giovani del quartiere Sanità e con loro, in una chiesa del settecento, ha costruito da zero un teatro che, con un’offerta culturale sempre di valore e una serie di proposte laboratoriali, ha raccolto intorno a sé una vera e propria comunità.

Oggi, dopo 10 anni, il sipario del Nuovo Teatro Sanità, deve calare definitivamente. Così ne ha dato la notizia il collettivo artistico in un comunicato stampa pieno di rammarico:
“Il 7 novembre scorso la stagione del nostro teatro è stata sospesa a causa di lavori di adeguamento che le autorità ci hanno indicato come necessari per proseguire l’attività e noi ci siamo immediatamente attivati.
Nonostante i tentativi già fatti negli ultimi anni per adeguare la sala secondo la normativa per il pubblico spettacolo, la particolarità della struttura del ‘700, il fatto che il bene fosse di proprietà del Comune di Napoli ma nella disponibilità della Curia e le conseguenti difficoltà burocratiche derivate da questa situazione, non ci hanno consentito di raggiungere il risultato.
Abbiamo sempre tenuto al corrente le istituzioni della nostra situazione, cercando più volte aiuto e un tavolo di incontro, cosa che purtroppo non è avvenuta. In questi anni abbiamo lavorato nella massima trasparenza, senza sottrarci ad ogni possibile risoluzione della questione.
Ma dopo quattro mesi di sospensione delle attività, la mancanza di azioni concrete da parte delle istituzioni ci costringe ad annunciare la chiusura definitiva. Il nostro palcoscenico che è stata la casa di molti artisti e che ha dato la possibilità a tanti giovani che desiderano fare questo lavoro di formarsi e trovare uno spazio che li accogliesse, non potrà più illuminarsi. È un silenzio che fa calare il buio. Dobbiamo purtroppo, lucidamente, constatare che questa è una decisione da considerarsi definitiva”.

La vicenda è piuttosto chiara: l’ennesima chiusura di un teatro causata da un inestricabile groviglio burocratico. Ma per capirne di più abbiamo raggiunto telefonicamente Mario Gelardi.

Mario, prima di tutto, come stai?

Diciamo che sto cercando di razionalizzare qualcosa di inevitabile… Credo ci sia un momento in cui bisogna capire quello che sta accadendo e rassegnarsi, soprattutto quando non hai risposte intorno a te. Io in buona fede penso di aver fatto tutto quello che potevo, non so più cos’altro fare.

La storia degli ultimi mesi l’avete raccontata bene nel comunicato stampa, ma spiegaci meglio le questioni in gioco.

Ci sono due questioni differenti: una legata all’agibilità per pubblico spettacolo, che riguarda la legge, la legalità e che quindi non è procrastinabile. Noi non possiamo sottrarci a questo impegno, dovrebbe essere il Comune, il legislatore che presiede la commissione a indicarci cosa può andare in deroga, noi non possiamo dire di non voler rispettare la legge, sarebbe indifendibile. L’altra questione è che lo spazio ecclesiastico riconosciuto come tale e quindi non modificabile non può più essere utilizzato come luogo di spettacolo e anche questo non è risolvibile da noi.
Noi su questi due punti non abbiamo potere, né pensiamo che si possano cambiare le leggi per un singolo.

Aiutaci a capire: non è un po’ contraddittorio che, oltre al dato oggettivo dell’agibilità, una questione ecclesiastica ponga fine a un’esperienza come la vostra così attenta alla comunità e al sociale?

Beh, in realtà l’esperienza sociale non termina: l’associazione Nuovo Teatro Sanità, in collaborazione con Parrocchia Santa Maria Della Sanità, per il momento, continuerà la sua azione nel quartiere attraverso l’attività laboratoriale. Termina l’esperienza teatrale.

Ma l’esperienza teatrale non è un’esperienza sociale?

Questo lo dico io, lo dici tu… Non so dare una risposta a questa domanda, dovrebbero farlo i nostri interlocutori. Io sto chiedendo al Comune perché penso che il mio interlocutore sia soprattutto lo stato ma mi muovo con difficolta in questo mare burocratico.
Se devo dare io una risposta dico che ho sempre creduto che il teatro muova una forza politica semplicemente facendolo, e non posso considerare la mia attività di tipo sociale sciolta da quella di tipo teatrale. Sono contento della fiducia che mi si dà oltre il mio lavoro artistico ma io vorrei pur sempre essere considerato come una persona che usa il teatro, certo per agire nel sociale, per fare azioni politiche ma che lo fa con il teatro, che è uomo di teatro.
Io non interromperò il laboratorio di drammaturgia del Mic né quello di regia, non si interromperà il laboratorio dei bambini ma, senza il teatro, diventa un altro tipo di esperienza.

Hai detto che stai interloquendo con il Comune. Cosa state chiedendo?

Quello che stiamo chiedendo adesso è di non far morire questa esperienza, di darci almeno un altro spazio. Se proprio fosse impossibile, per la burocrazia e per il codice ecclesiastico, continuare a fare teatro lì dentro, ci aiutino almeno a trovare un altro spazio in cui questo è possibile prendendoci anche la responsabilità noi stessi di partecipare ai lavori di adeguamento, di trovare risorse ecc… Ovviamente noi non abbiamo la forza di trovare uno spazio e adeguarlo, parliamo di economie che per l’attività che facciamo sono insostenibili.

La comunità del rione vi è molto vicina ormai. Come sta reagendo a questa decisione? Non si sta pensando a una mobilitazione?

Undici anni fa, quando sono arrivato io, l’atmosfera del rione era diversa. Poi in questi anni sono successe cose che hanno l’hanno cambiata, che hanno cambiato anche la narrazione di questo rione. Sicuramente c’è stata una crescita umana, sociale, culturale, turistica. Quando siamo arrivati noi è stato difficilissimo aprire un teatro in quella zona, poi in qualche modo abbiamo fatto parte di questa crescita.
Credo che siamo diventati il teatro di questo luogo e di queste persone e questa è la cosa più importante che trova conferma anche nei messaggi di vicinanza e dispiacere che leggo su Facebook.
Per quanto riguarda la mobilitazione, onestamente, sono contrario. Non credo che i cittadini, che hanno già tanti pensieri e problemi, debbano occuparsi di cose di cui dovrebbe occuparsi lo Stato, se ne deve fare carico lo Stato perché altrimenti è come se spostassimo l’attenzione. Io ringrazio tantissimo chi sta proponendo di mobilitarsi ma abbiamo anche visto che qualsiasi manifestazione per spazi culturali alla fine risulta vana. Non siamo noi a doverci mobilitare ma lo Stato.

E il Collettivo? Come sta vivendo questo momento?

Come io sto cercando sbocchi professionali che mi diano la tranquillità di affrontare il mio lavoro e la mia vita nei prossimi mesi così ognuno di noi sta anche riflettendo sul proprio percorso perché, in questo momento, non abbiamo davanti una via per fare il nostro lavoro. Io per primo mi sto chiedendo come continuare a fare il regista e l’autore visto che nella mia casa non lo posso fare più. Credo sia la domanda che ci facciamo tutti.

Questa vicenda ti fa fare una riflessione più generale su che cosa ci si possa aspettare dal teatro in questo paese?

Dal teatro ci si potrebbe aspettare tantissimo perché le persone di teatro sono belle persone, che sono state capaci di resistere a una pandemia ricevendo la carità e comunque continuando a credere nel proprio lavoro. Penso che il teatro possa dare moltissimo alle nuove generazioni perché è un’arte viva, tangibile. Ci credo fermamente.
Poi il problema è che le istituzioni non riconoscono questa forza e soprattutto confondono turismo, spettacolo e teatro facendone un’unico obiettivo ignorando che sono attività con esigenze diverse. Io non posso ragionare commercialmente se ho un teatro di 90 posti come è il Nuovo Teatro Sanità: senza aiuto pubblico lo chiudo, con un aiuto pubblico lo posso tenere aperto.
Siamo in un paese che in questo momento storico, che dura da 10 anni, non dà importanza al teatro, il teatro non è considerato importante; e non è una questione politica o partitica, è un fatto di mentalità, culturale.

Nella tua voce, così come nel comunicato che avete inviato si legge davvero rassegnazione… Non riuscite proprio a vedere una luce?

Guarda, finché abbiamo forza e resistenza cerchiamo di vederla ed è quella per la quale poi si continua ad agire, anche a fare questa intervista, perché speriamo che possa servire a qualcosa, che accada qualcosa… Il problema però è che sono passati già quattro mesi e mezzo; per i tempi della burocrazia sono pochi ma per un teatro che ha già annullato 20 spettacoli, che stando a marzo sa di non poter fare la prossima Stagione, che perdipiù viene dalla batosta del Covid… è tosta, è difficile!
Quindi, a un certo punto, le energie vanno conservate per investire in nuove strade piuttosto che continuare a sbattere la testa contro un muro senza ottenere risposte.