RENZO FRANCABANDERA | Si è svolta anche quest’anno con grande successo di pubblico l’annuale edizione di Inteatro Festival, evento internazionale con la direzione artistica di Velia Papa che ogni anno, a partire dal 1977, a giugno, anima la struttura comunale di Villa Nappi ed altre sedi di spettacolo a Polverigi, in provincia di Ancona, e trasforma il borgo in luogo di incontro fra i più importanti del panorama nazionale delle arti performative contemporanee.
Il festival si è uno dei festival di spettacolo dal vivo più longevi d’Italia. Di qui sono passati grandissimi innovatori del linguaggio della scena, tanto teatrale quanto coreografica. Anzi, negli ultimi anni l’attenzione che la direzione artistica di Velia Papa ha spinto sempre più verso il performativo coreografico ha permesso di trasformare progressivamente la rassegna in un incontro di modernità e innovazione aperto a codici diversi, che la operatrice stessa ricerca in tutta Europa con l’entusiasmo di una vera talent scout.
È il caso, nell’edizione 2023, dello spettacolo work.txt, su drammaturgia di Nathan Ellis che la Papa ha visto in Inghilterra e ha deciso di portare in Italia in una produzione Marche Teatro.
Abbiamo già raccontato di questo lavoro in un’intervista esclusiva che Ellis ha concesso a Paneacquaculture. Lo sceneggiatore e drammaturgo britannico ci ha raccontato l’antefatto creativo di uno spettacolo nato nel 2019, con l’idea di trasformare gli spettatori in protagonisti unici dell’evento. Ospitato negli spazi del Teatro della Luna, il concept prevede che il pubblico all’inizio si trovi di fronte ad un messaggio scritto che invita qualcuno del pubblico in sala a leggere una battuta. Di lì in poi si dipana un copione in cui gli spettatori leggono sul grande schermo in proiezione una serie di indicazioni che invitano, in gruppi ben identificati (quelli del segno dei gemelli, quelli che hanno visto le piramidi, quelli che guadagnano più di 2.500 € al mese, gli uomini allegri, le donne contente di essere in sala… e così via) a dire a voce alta questa o quella battuta, creando un divertente mashup di voci e situazioni: il tutto sfocia qui e lì in una serie di azioni fisiche che coinvolgono uno o più spettatori, fino ad un momento in cui tutto il pubblico è invitato a salire sul palco per ordinare in modo casuale ma preciso una serie di mattoncini di legno, tipo Kapla, dando vita ad una costruzione che diventerà poi ambientazione della seconda parte dello spettacolo.
La drammaturgia si focalizza sul rapporto sempre più drammatico e svuotante che abbiamo con il lavoro e la sua pratica alienante, in un tempo in cui le macchine prendono il sopravvento e l’infelicità attanaglia gli individui, nella ripetitività delle esistenze che in modo ciclico, da mattina a sera, vedono ripetersi gesti, azioni e schemi di relazione interpersonale.
La riflessione nel finale diventa quasi filosofica perché, con una sorta di zoom retorico, il presente viene proiettato in un futuro lontanissimo di migliaia di anni, che rende i nostri affanni quotidiani veramente ridicoli al cospetto della grandezza dell’universo. Un finale un po’ leopardiano per uno spettacolo vivamente partecipato dal pubblico di ogni età tanto che finanche i più giovani, i ragazzi, hanno avuto l’impulso di impadronirsi del meccanismo drammaturgico e di farsi essi stessi protagonisti di alcune sezioni recitate.
E questo è sempre un bene perché permette al medium di trovare nuove spalle su cui appoggiarsi.
Il resto degli eventi del weekend, che hanno fatto registrare al botteghino il tutto esaurito e le liste d’attesa, si è focalizzato su azioni ed esperimenti di immersione nello spazio naturale del giardino di Villa Nappi con interventi affidati a giovani coreografi venuti alla ribalta negli ultimi concorsi nazionali, avvicinati ad artisti che hanno fatto dell’ibridazione del linguaggio la propria cifra, come nel caso di CollettivO CineticO.
La sera di sabato è toccato ad Annalì Rainoldi iniziare al tramonto le azioni per formative nel giardino con Song of Extinction, che nasce dal desiderio di utilizzare la danza per attraversare la condizione data dall’alterazione irrimediabile degli ecosistemi e dal rischio di estinzione di numerose vite sulla terra.
Una tenue danza, accompagnata da un soundscape realizzato da Fabio Malizia, offerta al pubblico in modalità frontale e in movimento di poco itinerante: gli spettatori hanno assistito alla sua coreografia indossando delle cuffie e ascoltando una colonna sonora che li ha accompagnati nella piccola passeggiata entro lo spazio del piazzale erboso antistante la villa. L’artista indossa pantaloncini color malva e un top in raso trasparente nei colori dell’azzurro e del viola brillanti, che lasciano intuire il busto nudo. Un corpo in tensione fra suggestioni vegetali e animali che affiorano nel complesso di gesti e posture poste in atto davanti ad un pubblico con il quale, alla fine, si cerca un contatto fisico, quasi una trasmissione di energia solidale. Una ricerca di gesti di avvicinamento alla natura per una ricerca che può, nell’evolvere del concept, guadagnare spessore.
A seguire, alle 20.00, è stato il turno di CollettivO CineticO con O+< Scritture viziose sull’inarrestabilità del tempo ospitato nel Cortile interno di Villa Nappi, un raccolto prospiciente sull’orizzonte collinare ma sufficientemente raccolto per accogliere una performance gestuale e segnica che porta il concept e la regia di Francesca Pennini, affidando azione e creazione ad un trio composto da Andrea Amaducci (grafica live), Teodora Grano (movimento) e Angelo Pedroni (Dj live). Ricordiamo peraltro che CollettivO CineticO partecipa al Progetto Internazionale di cui Marche Teatro è capofila, Crossing The Sea.
All’inizio dell’azione la danzatrice si trova su una superficie rettangolare bianca, a un estremo di essa. L’artista grafico invece è posizionato dal lato opposto e inizia una osservazione che, una volta avviata l’azione coreografica, si trasforma in un’attività di segno sulla superficie bianca con veloci segnature composte di linee ellissoidali, che hanno quasi forma ideografica. In questi segni, grafie continue realizzate senza staccare il pennarello dalla superficie che è la stessa su cui avviene l’azione danzata, si sintetizza una sorta di continuo ritratto in movimento, un esercizio a là Boccioni, che racchiude, in forme continue, i gesti, le dinamiche, le parvenze.
Pian piano la danzatrice si muove sul rettangolo e così anche il disegnatore, che si sposta lungo i bordi della superficie bianca senza mai accedere ad essa se non per disegnare. Alla fine la superficie bianca diventa una lavagna piena di gesti informali, disegni narrativi sintetici che, uniti alle sonorità di natura eminentemente ambientale prodotte al mixer da Pedroni, creano uno spazio emotivo particolarissimo e unico.
Un’altra prima assoluta è stata, sempre sabato 17 giugno alle 20.40, la creazione itinerante firmata d Simone Donati, coreografo di studi ed esperienze internazionali, e intitolata Cashapona: una coreografia su musiche Atmo Music Productions, affidata nell’interpretazione ai danzatori Francesca Merolla, Stephen Quildan e Lucrezia Aiuto.
Cashapona significa “palma che cammina” e nasce da un’esperienza vissuta nella foresta amazzonica peruviana da cui consegue un tentativo di analisi e assimilazione di aspetti unici e affascinanti della natura con un particolare sguardo ad alcune abitudini, meccanismi di sopravvivenza e di relazione simbiotica che piante e animali mettono in atto.
La performance inizia nella parte bassa del giardino dove i tre danzatori appaiono in tuniche di tessuto lucido composte da giacca e pantaloni larghi, color pesca: sembrano quasi monaci indiani.
Il gruppo degli spettatori si divide per seguire, tripartendosi, scegliendo autonomamente uno dei tre come guida. Partono così tre distinti percorsi di esplorazione che attraversano la villa nelle sue diverse dimensioni stratificate, talvolta incrociandosi, talvolta sovrapponendosi, per dare agli spettatori una visione che via via diventa tridimensionale. Ad un certo punto, nel convergere dei tre gruppi nell’ampio piazzale di Villa Nappi, i movimenti dei tre diventano così veloci che seguirli quasi diventa un inseguire.
L’azione poi converge e si definisce in uno spazio circolare delimitato da una serie di luci LED poste sul prato. Da questo momento in poi, l’azione diventa unica per gli spettatori, che guardano tutti la stessa scena disposti in emiciclo. Al centro i tre performer che alternano momenti danzati a gestualità più teatrali e performative che rimandano a riti e a forme aggregative della natura vivente.
Arrivano momenti intensi in cui l’azione arriva ad un complimento formale puro, che potrebbe benissimo chiudere la rappresentazione, la quale gioca peraltro sul passaggio dal giorno alla notte, dalla luce al buio.
Il regista sceglie invece di proseguire la coreografia in una serie di ulteriori finali che forse spengono alcune vette di intensità emotiva precedentemente raggiunte, ma nel complesso la creazione lascia un’idea di robustezza su cui al più lavorare nel senso dell’asciugare.
Terminiamo questa carrellata con Amadriadi,una coreografia di Michele Ifigenia Colturi ispirata alle omonime figure mitologiche che si dice vivano negli alberi, affidata all’interpretazione delle performers Enzina Cappelli, Martina Di Prato (che sostituisce a Polverigi Andreyna De la Soledad) e Federica D’Aversa.
Le tre si muovono su una composizione sonora firmata da Tarek Bouguerra.
Il coreografo che sta ben figurando in diversi concorsi a premi di carattere nazionale, si è diplomato come danzatore-coreografo presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi con il lavoro Fisica dell’aspra comunione di Claudia Castellucci. Attualmente lavora come coreografo presso il gruppo Michele Ifigenia/Tyche di cui è membro fondatore, coprodotto da AIEP- Ariella Vidach e ospite in diversi festival e stagioni.
Anche questa creazione, vista domenica 18 alle ore 19:00 sempre nel piazzale erboso antistante Villa Nappi, si è svolta en plain air e senza ausilio di illuminazione artificiale.
L’intenzione artistica ha voluto una visione frontale disponendo le tre performer in una prospettiva di campo lungo, ciascuna su di un piccolo cumulo di terra smossa dal quale fuoriesce un ramoscello. Sicuramente un rimando mitologico ma pare anche qualcosa che abbia a che fare con il tema della vita, della morte e della rinascita naturale. Un tumulo? Un’idea di rinascita o di spirito che dal sottosuolo viene fuori?
All’inizio le tre figure appaiono immobili in una posizione che assomiglia a quella di un voler mettere un passo. Osservando attentamente, mentre parte il sottofondo musicale, si arrivano a notare micro movimenti, compiuti con esasperante lentezza e che passano da una all’altra in uno sviluppo di azioni che riverberano da quella compiuta dalla performer in primo piano verso le due figure più distanti dal pubblico, separato dallo spazio performativo da un canapo, a dividere nitidamente l’area agita dall’azione artistica rispetto alla platea. Piccoli progressioni, movimenti delle tre figure in stile Bill Viola, con dinamiche che piano piano assumono pose sempre più ardite fino a rivelare una sorta di trucco, che le porta ad assumere una postura squilibrata e innaturale, il momento centrale della rappresentazione, che comunque prosegue in una logica umana sì, ma in fondo quasi espressionisticamente disumana, installativa. Una natura quasi morta con umani in movimento. O una natura viva, visto il contesto, con umani in disfacimento.
Si notano una pulizia del gesto e una maturità del segno artistico già vive, che rivelano la formazione iconografica del coreografo e la formazione alla scuola della Societas.
La creazione sviluppa una densità poetica ampia, che dura fino al compimento della sequenza gestuale che si spegne con le tre artiste che si fermano in una posizione finale. Ma questa stasi ovviamente può racchiudere in sé infiniti altri movimenti e continuazioni, lasciati comunque all’immaginazione dello spettatore. Anche nel non dire tutto e nel voler lasciare un compimento dell’atto artistico nello spazio equivoco affidato a ciascuno sguardo, si rivela un talento di particolare nitore che ci piace segnalare per vederlo ulteriormente crescere.
WORK.TXT
scritto e diretto da Nathan Ellis
prodotto da Eve Allin
produttore originale Emily Davis
direttore tecnico Harry Halliday
musica e suoni di Tom Foskett-Barnes
luci di Danny Vavrečka
drammaturgia di Sam Ward e Ben Kulvichit
aiuto drammaturgico di Grace Venning e Charlotte Fraser
per la versione italiana
produzione MARCHE TEATRO diretta da Velia Papa
direttore tecnico Roberto Bivona
tecnico audio video Federico Occhiodoro
tecnici di compagnia Franco Mastropasqua/Francesco Mentonelli (adattamento luci)
traduzione italiana Lara Virgulti
tour manager Serena Martarelli
direttore di produzione Marta Morico
project manager Alessia Ercoli
organizzazione Emanuele Belfiore, Alessandro Gaggiotti
comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo
promozione Benedetta Morico
grafica esecutiva Fabio Leone
SONGS OF EXTINCTION
coreografia e danza Annalì Rainoldi
musica Fabio Malizia
costumi Barbara Sambri
consulenza Francesca Gironi
produzione DancehausPiù
in collaborazione con Rainforest Connection
CASHAPONA
coreografia Simone Donati
musica Atmo Music Productions
danzatori Francesca Merolla, Stephen Quildan, Lucrezia Aiuto
aiuto con la drammaturgia Taner Ünalgan
assistenza nella ricerca Clarissa Serri (architetto)
concept e regia Francesca Pennini
azione e creazione Andrea Amaducci (grafica live), Teodora Grano (movimento), Angelo Pedroni (Dj live)
AMADRIADI
di Michele Ifigenia Colturi
coreografia Michele Ifigenia Colturi
performers Enzina Cappelli, Andreyna De la Soledad (a Polverigi Martina Di Prato), Federica D’Aversa
suono Tarek Bouguerra