VALENTINA SORTE | Il 2 luglio si è conclusa con un’escursione in alta quota la terza edizione di Rami d’ORA, di cui avevamo già parlato qui. Siamo tornati con piacere tra i boschi e i sentieri di Castellaccio (Piateda, Sondrio) per raccontare altri interessanti appuntamenti di questa rassegna.
Il tema della trasformazione ha caratterizzato in modo originale anche il fine settimana del 24-25 giugno, che si è aperto con il laboratorio Pratiche di canto nel bosco di Maria Corno e con la presentazione del suo libro Quando cammino canto. Attingendo alle proprie esperienze di cammini in Italia, in Europa e nel mondo l’autrice ha elaborato una vera e propria fenomenologia del cammino che si lega a un’esperienza di profonda conoscenza e trasformazione di sé. 

Maria Corno_presentazione “Quando cammino canto” © Carla Ariosto

Altrettanto curiosa e ibrida è stata la proposta di Fulvio Vanacore, per la seconda volta a Rami d’Ora con Rivoluzione Arcana. Si tratta di una performance pensata per uno o pochi spettatori alla volta, a cavallo tra la conferenza e la narrazione, in cui Vanacore riesce a restituire ai Tarot, meglio conosciuti con il termine di tarocchi, la sua funzione di potente e arcano strumento di crescita interiore, allontanandolo dal pregiudizio della ciarlataneria
La drammaturgia di Rivoluzione Arcana è lineare e sfrutta il linguaggio visivo ed evocativo delle carte, risultando godibile anche per un pubblico molto giovane. Attraverso la carta de “Le Mat” il Matto che è l’unica a non essere numerata ed l’emblema del viaggiatore e quindi dell’uomo, Vanacore ripercorre i 21 arcani dei tarocchi di Marsiglia: la Papessa, l’Imperatrice, l’Appeso, la Temperanza, e così via. In questa narrazione, ogni arcano assume un significato preciso e rappresenta una tappa di crescita interiore e di trasformazione del Matto che lo condurrà all’incontro finale con il Mondo.  

Ancora più intima, ancora più ibrida e difficilmente collocabile l’esperienza proposta da Elisabetta Consonni, all’interno di una tenda nel bosco. Special Handling, questo il suo nome, è un percorso nato all’interno delle Alleanze dei Corpi per ripensare nuove economie di prossimità e per riflettere sul tempo della cura come forma di resistenza rispetto all’accelerazione del mondo attuale.  

Elisabetta Consonni_Special Handling © Carla Ariosto

L’artista è partita dallo scambio di pratiche quotidiane con donne migranti per chiedere allo spettatore che entra nella sua tenda di fare altrettanto. Special Handling è uno scambio reciproco di saperi situati, ovvero non convenzionali ma radicati nel corpo e nell’esperienza di vita vissuta. Un dispositivo performativo che è al tempo stesso esperimento sociale. Come Fatima, una delle donne migranti, ha insegnato a Elisabetta Consonni l’arte di tessere i tappeti, realizzandoli insieme, così quest’ultima ha offerto a ogni spettatore un gesto di cura: un massaggio. Un gesto che non solo si radica nel corpo dell’altro ma che vorrebbe innescare una circolazione di saperi reciproci, compresi quelli che lo spettatore è disposto a trasmettere. In questo caso il tema della trasformazione si  fa pratica sociale e culturale di condivisione, di superamento di qualsiasi tipo di confine, radicandosi nel corpo dell’altro.  

Infine, Irene Russolillo insieme a Eduardo Sansonne ha presentato Dov’è più profondo, altro intenso esercizio di sconfinamento. Innanzitutto lo spettacolo ha sovrapposto linguaggi molto eterogenei tra loro – canto, danza, lettura, live set, video, fotografia – spesso cercando di renderli meno familiari possibili, tentando un estraniamento estetico. La performance muove infatti dallo studio di rari archivi e collezioni della Puglia, del Piemonte e della Valle d’Aosta e dalla registrazione di forme canore e pratiche orali tradizionali dei territori di volta in volta ospitanti, per costituire un ricco repertorio di immagini e cori dove convivano pensieri sull’identità e sulle tradizioni, svincolati dall’ideale di purezza o di una provenienza unica.  

Irene Russolillo_Eduardo Sansonne_Dov’è più profondo © Carla Ariosto

La sovrapposizione delle diverse narrazioni identitarie diventa sovrapposizione dei linguaggi: Russolillo e Sansonne riflettono sulla tradizione e sul radicamento in un territorio o in un paesaggio, convocando luoghi e abitanti molto distanti tra loro, accomunati però dal tempo della fatica e del lavoro, della socialità e del rapporto con la natura e la Storia. La performance attinge alla potenza del canto, come luogo di una possibile condivisione sensibile tra esseri umani, per analizzare e celebrare aspetti semplici e importanti del vivere insieme. Dov’è più profondo propone un materiale visivo e sonoro molto denso – forse a volte troppo – per comunicare con un pubblico che ha una storia diversa e lontana dai paesaggi attraversati ma che continua a condividere un terreno comune. 

Su questo terreno comune abbiamo interrogato Erica Meucci che ha diretto Rami d’ORA – insieme a Francesca Siracusa – e Riccardo Olivier che con la sua preziosa consulenza artistica ha contribuito alla realizzazione del festival. 

Com’è nata Orobie Residenze Artistiche? 

Erica: ORA nasce dal desiderio di trovare un luogo raccolto, dove il tempo scorra in una maniera differente, un luogo dove i valori come il silenzio, la lettura, il riposo, il mangiare insieme, l’improduttività siano salvaguardati. Non poteva che essere in montagna, da sempre luogo di resistenza, di ascesi, di lotte per la libertà, luoghi di stili di vita autosufficienti e in armonia con l’esistente naturale.  

Riccardo: Poi una freddissima sera di inverno Erica ed io siamo saliti a Castelasc, unacasa che sorge in una frazione abbandonata nel bosco sopra a Piateda, in Valtellina, che dopo solo 3 anni di attività, ora tutti/e conoscono come la casa degli artisti. Quattro anni fa incontrammo persone del luogo che ci hanno accompagnato a conoscerne gli anditi meno frequentati e a capire i tratti meno ovvi del carattere delle comunità che abitano questi territori. Ci siamo fatte sorprendere, ci siamo messe in ascolto, abbiamo provato a portare anche noi qualcosa che aggiungesse più che sottrarre, che creasse spazi più che riempire. Senza molte persone che ci hanno consigliato e accompagnato non sarebbe nata ORA e non sarebbe quello che è adesso. 

Erica Meucci © Marco Ragaini

Che cosa rappresenta Rami d’ORA, all’interno di questa cornice? 

Erica: A primavera il tanto lavoro invisibile covato durante l’inverno si espande verso nuova luce e nuova vita. Il festival è un po’ la manifestazione di processi di progettazione, di percorsi di residenza, di mediazione di rapporti con persone, comunità, spazi, associazioni, che all’improvviso prende corpo e si materializza, a volte spiazzando, e ha in sé molte incognite e speranze. Far sì che siano speranze che covano in più persone e non solo in noi, anche lontane da noi, è un obiettivo meraviglioso, generato proprio dall’esposizione che il festival è. 

Perché avete scelto il tema della trasformazione per questa edizione? 

Erica: All’interno della rassegna abbiamo dedicato un pomeriggio all’incontro con Maria Corno, autrice del libro Quando cammino canto in collaborazione con VEL – La Libreria del Viaggiatore di Sondrio. Il libro aveva come sottotitolo la frase “Il cammino come esercizio di trasformazione” e con sorpresa ci siamo rese conto che descriveva perfettamente la nostra idea di rassegna. I lavori scelti, affiancati alle esperienze dirette nel bosco, volevano toccare concretamente chi partecipava, spostando anche solo di qualche millimetro il suo sguardo sulle cose. Chi cammina così come chi lavora con il proprio corpo, professionalmente o meno, anche chi fruisce in un certo modo l’arte, conosce anche il piacere degli esercizi di trasformazione. Ha provato il piacere di non essere più come si pensava poco prima, di aver fatto un percorso di spostamento – anche se millimetrico – da dove si partiva.
Non deve essere un qualcosa di dogmatico o presentato come la panacea a malesseri esistenziali contemporanei, è solo una pratica corporea che diventa modo di vivere le cose e, se lo provi, poi spesso lo cerchi nuovamente. Crea assuefazione e piacere, come speriamo il nostro festival!
 

Riccardo Oliver

Sentite che l’esperienza di ORA vi ha trasformati?

Erica: Prendermi cura del luogo, del bosco, delle storie delle persone che passano di qui e delle relazioni si è riflesso in un’attenzione verso le scelte personali. E come tutte le trasformazioni organiche è successo senza accorgermi e ora abito nel bosco da sola. E sto molto bene. 

Riccardo: Lo sta ancora facendo. Ma è difficile abbandonare certe abitudini e certe posture. Io poi sono cresciuto vicino e nei boschi da bambino e da ragazzo, ed è come tornare là. Non so se vivo la trasformazione in senso di progressione positiva, ma certamente in molti mi trovano molto meglio. 

Quali sono le prospettive future per Rami d’ORA? 

Erica: La cosa che mi piace della rassegna è che è in costante dialogo con il territorio, e quindi spesso sono i luoghi e le persone che ti suggeriscono come proseguire. Per esempio, l’altro giorno ci hanno chiamato per mostrarci un paesino in Svizzera perché dovevamo proprio conoscerlo e creare un evento lì. Siamo diventati i cercatori di luoghi dimenticati, bellissimo!
Ci siamo riconosciuti in questo ruolo e stiamo allargando le nostre esplorazioni per incontrare paesi e frazioni che abbiano comunità accoglienti che desiderino incontrare e ospitare la nostra rassegna.
 

 Tre parole per definire questa edizione. 

 Erica e Riccardo: In cammino, scoperta, intimità. 

RIVOLUZIONE ARCANA
Progetto e performance di Fulvio Vanacore

SPECIAL HANDLING
Installazione-performance di Elisabetta Consonni

DOV’È PIÙ PROFONDO
Progetto, coreografia, scrittura vocale e performance di Irene Russolillo
Creazione sonora e performance Edoardo Sansonne|Kawabate
Assistenza drammaturgica e cura Irene Pipicelli
Costumi di Vanessa Mantellassi