CRISTINA SQUARTECCHIA | From C. to you è un lavoro sul ritorno alle origini,  è una lettera, un invito al principio delle cose. Il brusio nella platea  del Teatro Fedele Fenaroli di Lanciano, dove si è svolto nei tre giorni dell’11,12 e 13 aprile il Flic*35 – la vetrina di danza dedicata alla giovane coreografia under 35 – ci accoglie mentre in sottofondo, come da una radio lontana, si riconoscono le percussioni di Rumore di Raffaella Carrà e sul boccascena un display a led manda in loop la parola «pensa». Ci prende così, senza rendercene conto, il lavoro di Christian Consalvo e Giovanni Careccia, che, con una sorta di pre-degustazione, ci porta dentro questo racconto autobiografico dal gusto decisamente pop.
All’abbassarsi delle luci, entra Careccia con indosso una tuta da lavoro, per poi lentamente spogliarsene, offrendo la sua nudità in penombra. É l’invito al ritorno del candore, a quell’innocente nostalgia dell’infanzia, mentre il suono di un cinguettio di un’alba carica di luce avvolge la scena. Intanto, il display manda in loop le seguenti frasi: «pensa a tuo fratello», «pensa a tua sorella», «pensa a quando eri felice», pensa «ad Aladdin», «al primo bacio», «a quella prima volta», fino a «pensa a tua madre».

Affiorano memorie miste di tanti sapori, desideri inespressi e incontenibili entusiasmi, fino a quando un cortocircuito non rompe gli incantesimi. Una luce di taglio avvolge il danzatore e ora incalza Rumore, prima mandata a intermittenza in sottofondo. Ed è in questo istante che il ritmo della pièce fa un “click” in linea con il cambio della frase sul display, che viene volutamente coperto dal performer, per essere poi liberato allo sguardo dello spettatore.
Non siamo più invitati a pensare, ma a immaginare, per “proiettare” qualcosa di nostro su ciò che si vede. I contorni, i colori di quei ricordi che si vorrebbero cancellare, quelli che fanno ancora “rumore” dentro, ora ci appaiono più nitidi.
Giovanni Careccia si muove sulla scena con lentezza, dosando i movimenti e le azioni che non vengono mai lasciati al caso. Si avvicina al display quando è necessario, lo copre o si pone dietro di esso con una qualità minimale del gesto, quasi accessorio alle transizioni. Nulla di virtuosistico o atletico nella coreografia, o meglio codifica del movimento, che non ha alcuna pretesa performativa, ma un semplice e misurato “atto danzato” che scava nelle nostre memorie, come una lettera autobiografica di parole centellinate rivolta allo spettatore.
Eleganti sono le scivolate a terra, morbide “roulade” e sensuali risalite, quanto basta per guidare l’occhio dello spettatore verso il display o verso di lui, in una sovrapposizione testuale che si risolve nel preciso istante in cui il danzatore si impone dietro il display. Con le mani indica una pistola con precisa chiarezza formale, mentre sotto il testo scorre, invitandoci a viaggiare con la nostra fantasia, come un flusso di coscienza da liberare.
Si insinua in questo passaggio la base strumentale di Non, je ne regrette rien di Édith Piaf che sembra farci luce, liberarci da ciò che ci inquieta. Si avverte anche che il viaggio sta per terminare quando poi entra il brano Please don’t go di Kc&The Sunshine Band che, invece, ci invita a restare con il cuore avvolto nel calore di questa pièce, che si rivela un inno contro ogni forma di violenza, mentre Careccia al centro scena si lascia andare adagiandosi a terra.

Un’altra forma di violenza, invece, la troviamo in Africa – orizzonti di rinascita del coreografo Claudio Scalia per la compagnia Ocram dance movement che dirige insieme a Marco Laudani, come artisti associati al Centro di Produzione Scenario Pubblico diretto dal coreografo Roberto Zappalà. Una fila di quattro danzatori in linea perpendicolare al boccascena avanza con dei movimenti ondosi nelle braccia. La struttura si rompe per poi fare spazio a forme coreografiche decise, soluzioni simmetriche, unisono d’impatto, movimento virtuoso, danza gloriosa ed esteticamente gioiosa, che piace, coinvolge ed entusiasma.
Una metrica perfetta del movimento in musica, con combinazioni d’effetto, in continua evoluzione tra passi e sequenze in piedi, a terra e in diagonale, che richiamano le antiche danze tribali, quei rituali magici in tondo tra salti vigorosi e passaggi spiraliformi, che travolgono lo spettatore, rapito da tanta generosità cinetica.
Claudio Scalia ci mette davanti a un’Africa simbolica, quella dei deserti, quella depositaria di antichi saperi, degli sciamani, di riti sacrificali, di folklore, miseria e abbandono, di una cultura locale in lotta contro la globalizzazione. Di una terra eternamente saccheggiata, deturpata, invasa e sfruttata. Oltre il “concept” di un’Africa come pluralità di lingue, culture e scenari, si coglie, attraverso la danza e la vitalità dei corpi, l’urgenza di una terra da salvare, di un continente che racchiude il mondo intero, ormai in pericolo. Un riferimento esplicito alla visione di Waste land di Thomas Stearns Eliot, da cui il coreografo ne riprende il tono di biasimo rivolto all’umanità che lo scrittore usa nel famoso sonetto.
E non a caso c’è un bisogno di fare appello ai quattro elementi – acqua, aria, terra, fuoco – che puntellano l’intera coreografia in diversi quadri, lasciando intuire l’idea di un futuro affatto roseo. Tutto questo lo capiamo quando un danzatore porta a bordo scena un grande telo di plastica, come mantello pronto a soffocare ogni essere vivente. Il tema della difesa non solo dell’ambiente, ma di ogni forma vivente, si chiarisce quando i quattro danzatori da questo momento in poi coprono il proprio volto con dei copricapo che alludono ad antichi totem: una scelta registica volta a colpevolizzare l’umano e la sua incontenibile tracotanza per il nostro ecosistema in pericolo.

Foto di Eros Brancaleon

La danza regna tra i corpi squisitamente musicali, connessi alle pulsazioni del cuore, a quel battere e levare che origina dal calpestio dei piedi, dal legame con la terra venerato in egual misura dai kenioti come dai tedeschi. Ciò in segno di una universalità folklorica e ritmica da preservare come il pianeta, la nostra o la propria Africa che si voglia immaginare.
Nei suoi trenta minuti circa la scrittura drammaturgica di Africa è sostenuta da una dinamica ondosa, esplicitata dalla ripresa della posa iniziale, e in diversi momenti ripetuti, così come anche alla fine, allusione alla stessa qualità compositiva del verso di Eliot. Così, come ogni corpo ondoso, in oscillazione da un punto morto all’altro, il messaggio di Africa attraversa fisiologicamente diversi stadi che transitano per molte rinascite, simili al bagliore che avvolge i danzatori nel minuto finale, che lascia prefigurare un faro, come  possibile salvezza.

Il Festival “FLIC*25 – Spazio ai Giovani!” è all’interno della nona edizione del “FLIC – Festival Lanciano In Contemporanea” diretto da Antonella Scampoli, festival multidisciplinare a prevalenza danza riconosciuto dal 2022 dal MiC – Ministero della Cultura per il triennio 2022/2024.

FROM C. TO YOU

coreografia e danza Giovanni Careccia
drammaturgia Christian Consalvo
assistente di produzione Sara Gaboardi
una coproduzione Sanpapié e FLIC – Festival Lanciano in Contemporanea
con il sostegno di Centro ArteMente

AFRICA – ORIZZONTI DI RINASCITA

produzione ocram dance movement in collaborazione con Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale
coreografia e regia Claudio Scalia
drammaturgia Claudio Scalia, Marco Laudani con la collaborazione di Sergio Campisi
danzatori Rebecca Bendinelli, Ismaele Buonvenga, Rachele Pascale, Nunzio Saporito
costumi Gabriella Palomba – copricapo Grazia Pulici
musiche Armand Amar, Jaap Blonk e Yaron Engler
disegno luci Sammy Torrisi
foto Eros Brancaleon
grazie a Istituto Italiano Di Cultura di Atene – Istituto Italiano di Cultura di Sofia
Claudio Scalia è artista associato a Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale

Teatro Fedele Fenaroli, Lanciano | 13 aprile 2024