RITA CIRRINCIONE | Liberamente ispirato al monologo finale dell’Ulisse di James Joyce, Molly Bloom. Anatomia di una (Anti) Eroina di e con Serena Ganci e Daniela Macaluso ha aperto Scena Nostra Spring Edition allo Spazio Franco dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. In scena Daniela Macaluso, che ne ha curato la riscrittura e l’adattamento drammaturgico, e Serena Ganci, che ha composto le musiche originali eseguite dal vivo.
Momento culminante della cronaca di una giornata di Leopold Bloom e delle ordinarie avventure di questo moderno Ulisse, lontane dall’epicità delle gesta dell’eroe omerico, il monologo che chiude il capolavoro dell’autore irlandese riflette i pensieri più profondi e notturni di Molly-Penelope. E se tutto il romanzo è una cronaca dilatata in un incessante flusso di coscienza fatto di ricordi, immagini, fantasie del protagonista, lo stream of consciusness di Molly Bloom – che non a caso nel romanzo inizia il suo monologo distesa tra le lenzuola del suo letto, luogo regressivo per eccellenza – diventa linguaggio onirico fatto di immagini simboliche, libere associazioni, accostamenti sinestetici che sembrano affiorare dall’inconscio.
In scena, Daniela Macaluso, tra una sedia sulla quale adagiarsi, allungarsi, abbandonarsi, un microfono al quale sussurrare le proprie fantasie e i propri pensieri più intimi, e lo spazio in mezzo in cui muoversi con la sua fisicità scarmigliata e sensuale; dall’altro lato, al pianoforte elettrico, Serena Ganci, non solo alter ego musicale, ma presenza incarnata, voce dialogante, eco risuonante. Insieme creano una Molly Bloom sfaccettata e multiforme e danno al monologo un andamento polifonico.

Daniela Macaluso ph Alessandro Pensini – Serena Ganci ph Rori Palazzo

Per approfondire alcuni aspetti di questa messa in scena tra musica e parole, incontriamo le due artiste palermitane, ciascuna con un profilo artistico e professionale ben distinto e strutturato, ma con importanti punti di contatto, come l’appartenenza generazionale a una sorta di risveglio della scena palermitana di questi ultimi anni, e una lunga collaborazione con Emma Dante.
Daniela Macaluso, attrice e performer, ha lavorato per circa quindici anni con la compagnia diretta da Emma Dante portando in scena spettacoli come Le Sorelle Macaluso, vincitore di due premi Ubu. Ha partecipato a diverse produzioni cinematografiche e televisive, con autori come Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Pietro Marcello, Piero Messina, Ridley Scott. Da un anno porta avanti dei progetti propri.
Serena Ganci, cantante, musicista, performer, con studi di musica classica al Conservatorio di Palermo, un dottorato di ricerca in musicologia in Francia e un diploma in canto jazz al Conservatorio di Parigi. Nel 2010 vince il premio “Musicultura”. Dal 2013 collabora con la regista Emma Dante e dal 2022 con il Piccolo Teatro di Milano al fianco di Davide Enia. Insegna Canto alla Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo e Sound Design all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica “Silvio D’Amico” di Roma.

Serena Ganci

«L’universo sonoro di Molly Bloom nasce dalle parole. La prima partitura musicale si genera proprio dal suono nascosto tra le parole, nella loro struttura fonetica, quanto etimologica. La drammaturgia musicale viaggia a fianco del racconto, in un flusso di coscienza che ora è suono, ora è parola, facendo della performance teatrale una pulsazione incessante di forza femminile ed erotismo». Questa, nelle stesse parole di Serena Ganci, l’idea guida che ha seguito nella composizione della drammaturgia musicale dello spettacolo. Nell’intervista che segue, Daniela Macaluso ne racconta la genesi e il lavoro di riscrittura e di adattamento teatrale.

Daniela Macaluso, come nasce il sodalizio artistico con Serena Ganci?

Il nostro è un legame di amicizia e di profonda stima artistica nato tanti anni fa. Collaborando per un reading, abbiamo avuto l’opportunità di lavorare insieme e in quell’occasione si è creata una sintonia immediata in cui parola e musica, in un flusso naturale, non solo dialogavano perfettamente, ma nascevano da una stessa esigenza creativa.

Il monologo di Molly Bloom è uno dei più celebrati della letteratura moderna, più volte rappresentato a teatro. Quali ragioni vi hanno spinto a riproporlo?

Dopo un primo approccio al testo all’epoca del liceo, ho avuto la fortuna di imbattermi in questo monologo in occasione della rassegna Donne in Amore, curata dalla giornalista di «Repubblica» Sara Scarafia, nella quale mi è stata affidata la lettura di alcuni brani tratti dal monologo di Molly Bloom selezionati dall’anglista Enrico Terrinoni, uno dei massimi traduttori di Joyce, presente alla manifestazione. Successivamente ho avuto modo di lavorarci di nuovo – questa volta insieme a Serena – all’interno del Festival di Letterature Migranti. In entrambi i casi ho avuto l’opportunità di riscoprire questa figura femminile così lineare e precisa nel suo essere poco conforme e ‘conformata’ alle regole di una quotidianità bigotta e moralista (pensiamo alla Dublino di allora, ma anche alla nostra contemporaneità). Molly nella sua estrema naturalezza riesce a sovvertire le regole di sovrastrutture culturali predefinite, diventando trasgressiva senza volerlo essere. Quel testo mi è rimasto dentro, è maturato e, in modo sotterraneo, ha continuato a farsi spazio. Ho sentito una forte esigenza di dire ancora quelle parole, un’esigenza concreta, fisica, che si è fatta quasi esigenza politica.
Molly Bloom, comunque, è una figura femminile che, in modi diversi, ci rispecchia entrambe, e questo è alla base dell’ideazione e dell’allestimento di questo spettacolo insieme a Serena.

Com’è nata l’idea del doppio in cui una sembra lo specchio dell’altra? Come avete proceduto nella scrittura per integrare i due linguaggi, quello musicale e quello drammaturgico?

L’idea del doppio nasce dalla necessità di far incontrare musica e parole, di renderle un tutt’uno, in un dialogo in cui la musica non sia accompagnamento alle parole, ma essa stessa fonte creativa. Non dimentichiamo che Molly era una cantante e Serena una musicista e una cantante, oltre che una straordinaria performer. Il fatto di rispecchiarci l’una nell’altra ci sembrava un importante punto di partenza, artistico e politico allo stesso tempo.
L’una si fa specchio dell’altra, o meglio, l’una è dentro l’altra, in un gioco continuo di rimandi in cui musica e parola si generano in una continua alternanza, in un dialogo personale, ma anche comune. Il fatto di essere due donne che utilizzano linguaggi diversi, ciascuna con la propria individualità e specificità, diventa una pratica di scrittura al femminile che si fa volano per l’elaborazione di un discorso collettivo.

Daniela Macaluso – ph Fulvia Bernacca

Molly, moderna Penelope, viene rappresentata come una donna emancipata la quale, piuttosto che rimanere in attesa del marito, segue il suo desiderio e vive la sua sessualità in modo libero. Ma le sue fantasie erotiche, il ricordo delle sue avventure sessuali, sono la proiezione di una mente maschile. Come ti sei confrontata con questa “contraddizione”?

In realtà, non trovo e non sento alcuna contraddizione. Mi sono chiesta: “Perché una donna che parla in maniera esplicita e libera di desiderio ed esprime il suo erotismo non può esistere se non come immagine di una donna selvaggia, strana o un po’ matta? Perché vederlo come riflesso dell’eros maschile?”. Probabilmente, Joyce si ispira al suo immaginario di uomo, ma in un orizzonte in cui il desiderio femminile appare liberato dalle pastoie di un moralismo soffocante: lo rende in linea con quello che io, come donna, rivedo e ricerco.
A volte, è come se avessimo bisogno di qualche giustificazione in negativo o in positivo per negare o affermare un fatto, senza vederlo per quello che è. Qualcuno, uomo o donna che sia, sta parlando di uno specifico universo femminile, ma in una prospettiva più ampia, che abbraccia l’umanità con i suoi desideri, le sue paure e incertezze, i suoi bisogni corporali e fisiologici, mostrandoci gli aspetti che ci rendono donne e uomini.
Fondamentale per Joyce e per la creazione della sua idea di femminile è stata l’influenza di Nora – moglie, musa e amante – con la quale, come emerge dalla loro corrispondenza ventennale, ebbe una relazione intensa, passionale e senza tabù, dalla sessualità spinta, ma anche eterea. Non dimentichiamo che, all’interno del suo romanzo, Joyce concede a Molly Bloom il posto più importante e, come confida lui stesso a un amico, il monologo finale rappresenta il clou di tutto il romanzo. Molly-Penelope tesse la trama di tutto.

Qual è stato il tuo approccio al testo, quali le difficoltà di ridurre per la scena il lungo monologo con la sua prosa destrutturata e quasi del tutto priva di interpunzione?

Il lavoro è stato lungo ed è maturato nel tempo. Il testo, un lungo flusso di coscienza privo di punteggiatura, sovverte le leggi della lingua scritta per ricreare il flusso del pensiero che non conosce pause e che si riconnette a una tradizione orale che secoli di scrittura hanno cancellato. Il linguaggio dell’Ulisse, che nel monologo di Molly Bloom raggiunge il suo culmine, ha il compito di risvegliare quell’oralità.
Lo studio iniziale si è incentrato sul ricreare la velocità del pensiero nel suo passaggio dal testo scritto al racconto teatrale. Una prima lettura è servita per entrare nel flusso, per farmi invadere da quel ritmico alternarsi di pensiero e parola. “Il flusso di coscienza di Molly Bloom trasforma i pensieri in “immagini visive”, rileva gli affioramenti, l’inconscio, la parte oscura della mente, il caos onirico” (Tonussi, 2020). Inizialmente, la prima impressione è stata di straniamento, ma poi è diventato naturale attraversare le parole e farsi travolgere.
Per quanto riguarda la versione del testo, sono partita dallo studio di una precisa traduzione e ne ho confrontate diverse, cercando, infine, di tradurre il linguaggio letterario in linguaggio teatrale e, soprattutto, di rendere la rapidità del pensiero notturno ricreando il linguaggio sognante della notte. Per certi versi è stato un lavoro che mi ha ricordato quello fatto sulla metrica classica.

Quali sfumature assume nella tua riscrittura, a più di cento anni dalla scrittura originaria, il di Molly – quel sì dalle mille interpretazioni – che conclude il monologo e l’intera opera?

Su questo punto si potrebbe parlare per giorni. In alcuni casi, il sì finale di Molly è stato visto come un segno di arrendevolezza, come il cedere alle istanze del matrimonio (lo stesso Carmelo Bene in un’intervista televisiva di qualche anno fa, forse in questa prospettiva, definisce Molly una donnina), oppure come una accettazione ‘generalizzata’ della vita. Probabilmente quel sì è molto più potente, è un sì ‘generativo’: Molly, moderna Penelope, genera il mondo e la stessa trama del testo. Lei afferma la sua volontà di essere donna e di vivere con consapevolezza e pienezza assoluta. Nel crescendo ritmico finale del suo Yes, c’è una straordinaria conoscenza notturna, terrena, estremamente corporea, senza moralismi e sensi di colpa. Molly come anima del mondo.

MOLLY BLOOM – Anatomia di una (Anti) Eroina

liberamente ispirato all’Ulysses di James Joyce
di e con Daniela Macaluso e Serena Ganci
adattamento drammaturgico Daniela Macaluso
musiche originali Serena Ganci
luci e direzione tecnica Gabriele Gugliara
consulenza costumi Mariangela Di Domenico
produzione Babel e Sardegna Teatro con il sostegno di Spazio Franco

Spazio Franco, Cantieri Culturali alla Zisa, Palermo | 30 marzo 2025