un giorno di impazienzaEMANUELE TIRELLI | Se qualcuno mi chiedesse un consiglio sui libri di Raffaele La Capria da leggere necessariamente, risponderei subito Ferito a morte  e Un giorno d’impazienza. Certo, sul primo si va giù facile perché è il suo romanzo più famoso, più venduto e più esposto in libreria. Su Un giorno d’impazienza c’è invece qualche difficoltà. E sì, perché la storia in questione (meravigliosa e che anticipa lo stesso Ferito a morte) è fuori catalogo, non è più in circolazione in edizione singola, cosa che ci costringe alla speranza dell’usato o al Meridiano Mondadori da, prezzo intero, 65 ricchissimi euro. Stiamo parlando, attenzione, di uno degli autori più interessanti, colti e appassionati che l’Italia abbia mai avuto. Di un Maestro della letteratura che, riferendosi al mestiere dello scrittore, appunto, ci ha regalato un’immagine splendida nel descriverlo come il movimento di un’anatra “che senza sforzo apparente fila via tranquilla e impassibile sulla superficie, mentre sott’acqua le zampette palmate tumultuosamente e faticosamente si agitano”. Stiamo parlando di un artista che ha pubblicato una lista interminabile di volumi, ma che se lo cercate sugli scaffali delle librerie lo ritroverete di certo in Ferito a morte e, se vi va bene, in un altro paio di pubblicazioni, magari le più recenti. Quando scrivo recente, prendetemi alla lettera, perché nel 2013 La Capria è uscito con Novant’anni d’impazienza. Un’autobiografia letteraria per Minimum Fax e con Umori e malumori per Nottetempo, e ha già annunciato il suo nuovo Romae per Mondadori all’inizio del 2014. Senza considerare quelli firmati negli anni precedenti, che non sono pochi.

Un sabato dello scorso ottobre, il quotidiano il Foglio accoglie una lettera dell’autore napoletano che, innanzitutto, spara a zero sul lettore italiano medio colpevole di non leggerlo o non leggerlo abbastanza. E, infine, annuncia il suo ritiro, quasi per punizione.

la capriaPochi giorni dopo, però, in un’intervista rilasciata a Repubblica, La Capria ci dice di stare tranquilli perché non ha affatto intenzione di abbandonarci. Quindi quella lettera è uno scherzo? No, chiarisce lui, è solo una provocazione. È un modo per fare pubblicità ai suoi ultimi due libri e per annunciare l’uscita di quello sulla capitale. Ci tiene però a confermare il suo atteggiamento critico nei confronti dell’italiano che presta poca attenzione ai suoi romanzi. Dice che “alcuni hanno avuto molto successo come Ferito a morte o L’armonia perduta. Ma per gli altri siamo sulle 10 mila, massimo 20 mila copie vendute. Mentre in testa alle nostre classifiche ci sono libri che non valgono niente”. E su quest’ultima affermazione, come fare a dargli torto? Poi sostiene che la letteratura sia elitaria. E anche qui, dice forse una bugia? Non parliamo mica di pubblicazioni in generale, parliamo di letteratura, quella vera. Ed è realmente qualcosa di elitario, perché pochi sono in grado di apprezzarla davvero. Altrimenti dovremmo immaginare che chiunque abbia studiato fisica al liceo sia in grado di avvicinarsi al Bosone H da Premio Nobel. O che chiunque abbia iniziato a scrivere in prima elementare verso i 30 anni sia capace di partorire un ottimo romanzo. La Capria sfonda una porta aperta e fa bene a pronunciarsi in questi termini decisi. Dice che alla sua età, novant’anni, si può permettere di affermare certe cose, di dire come stanno i fatti. Anche se poi preferisce non fare nomi di bestseller negativi. Ma se non se lo può permettere lui di fare ‘sti nomi, con l’autorità del Maestro, con gli anni che consentono di scontentare qualcuno senza temere sensibili ripercussioni professionali, chi potrebbe azzardarsi?

Insomma, a La Capria fa male che molti autori tirino su palazzi di piccioli con libri scarsi e molto pubblicizzati. Ma forse… con un numero minore di uscite annuali… per dare almeno la possibilità al lettore… di abituarsi, di conoscere le sue nuove pubblicazioni, leggerle, amarle, suggerirle con il passaparola. Senza tornare però all’esperienza degli esordi (i suoi primi tre romanzi sono pubblicati a dieci anni di distanza l’uno dall’altro) che pure è un po’ spiazzante. E forse, oltre al lettore medio, due paroline potrebbe dirle anche alle case editrici che lo pubblicano, perché ci sono alcune che gli fanno un’ottima distribuzione e una sincera pubblicità, ma altre…