ELENA SCOLARI | Della sempiternità di Amleto abbiamo già detto e non finiremo di ribadirla. E innumerevoli prove si snocciolano per le stagioni di tutto il mondo. Proprio la folla di principi di Danimarca che ancora oggi popola le scene dal Manzanarre al Reno, dalle Alpi alle Piramidi, da Broadway al West End rende non facile far risultare almeno apprezzabili se non originali le operazioni teatrali intorno al capolavoro shakespeariano.
Ecco perché la versione della compagnia Vico Quarto Mazzini, nata nel 2010 nell’alveo dell’Accademia Nico Pepe di Udine, sorprende con favore ed entra a pieno diritto nella schiatta dei danesi di vaglia.
Amleto FX, per dichiarazione stessa degli ideatori, non è l’ennesima messinscena dell’Amleto, e stavolta siamo d’accordo perché lo spettacolo sceglie di cogliere alcuni interrogativi cardine della tragedia ma non ne fa una banale attualizzazione né una comoda parodia, bensì prende liberamente in prestito i concetti di libertà ostacolata dalle relazioni, di rapporti irrisolti coi padri (vivi o morti), di essere o non essere nel mondo e li fa volteggiare tra il ridicolo e la sofferenza, li superficializza con ironia.

Su un fondale di tende a veneziana bianche è disegnata con tratto di matita La stanza di van Gogh ad Arles. Nella cameretta è infatti chiuso Amleto, con il suo MacBook dal quale gli amici gli parlano in chat e lo invitano a party in Orazio style, e sul cui schermo sta l’archetipico teschio.

Gabriele Paolocà è un interprete mutevole, sa incarnare l’agitazione refrattaria degli adolescenti (come era effettivamente Amleto), l’insofferenza indistinta che spesso opacizza genitori, amici, compagni, fidanzate… C’è molto buio, l’attore canta Amy Winehouse e si muove sul palco come se quello spazio/camera fosse sottodimensionato, in quella stanza gioca “a fare i personaggi della tragedia”, con qualche scalcinato costume, con qualche arruffata parrucca, con qualche mutanda con la scritta UOMO sull’elastico. Si oscilla ambiguamente tra momenti penetranti per sicurezza drammatica – il celebre monologo urlato in luce rossa prima di stringersi il cappio intorno al collo – e altri travolgenti per talento comico come la scena dei finti amici Rosencrantz e Guildenstern, un poco in stile Rezza: stesso corpo illuminato da due tagli opposti, come due metà di coppia comica, lo scemo e il furbo, il capo e la spalla, il bianco e l’augusto, fusi in unico soldataccio romanesco.
Rosencrantz: “Amle’, t’o ricordi quando…”
Amlè: No.
Guildenstern: “Oh, nun s’o ricorda”.
Che questi mica so’ tornati per Amleto, so’ qui perché li ha chiamati il re. Pe ‘a patria.


Questa attenta canzonatura prosegue in un percorso di fulminee citazioni “moderne” che vanno da Ecce bombo a Apocalipse now, da Mork e Mindy a Marylin Monroe (curiosa la coincidenza hollywoodiana con il Fortinbrasmachine di Latini…), dallo spritz shakerato in un biberon ai suoni delle chiamate Skype.
La meschinità della madre Gertrude è tutta in una stupida telefonata al figlio mentre lei è a Forte dei Marmi per il weekend.
Struggenti le istruzioni date ad Ofelia per il suo suicidio, da riprendere con lo smartphone fissato sul salice. Ofelia che è però non solo ingenua ma anche un po’ tonta: “Ofelia, tu ci sei”. Sottinteso non “ci fai”.

La maggior qualità di questo lavoro di Vico Quarto Mazzini è aver saputo prendere davvero ispirazione da IL Classico con la c maiuscola trovando una chiave che ne mantiene il pensiero con un umorismo diretto, sfacciato. C’è una trasandatezza Bukowskiana, in Paolocà. E una nota hard boiled nella collaborazione alla regia di Altamura e Carbone.
Immaginiamo che FX stia anche per l’inglese effects, stiamo vedendo quale può essere l’effetto della nebbia di Elsinore che arriva da noi, la coltre riflessiva che si posa su uomini e donne d’oggi, che pensano oggi.

Mentre il ragazzo sconsolato ma non pago canta Vedrai vedrai di Tenco


Amleto FX
di e con
  Gabriele Paolocà
collaborazione alla regia Michele Altamura, Gemma Carbone
scene Gemma Carbone
disegno luci 
Martin Emanuel Palma
SELEZIONE IN-BOX 2015_PREMIO DIRECTION UNDER30 – TEATRO SOCIALE GUALTIERI