VALENTINA SORTE| A metà strada fra il Chianti e la Maremma, c’è un paese che prova a ripensare la parola comunità o, come direbbe Franco Arminio, c’è un paese che prova a sopravvivere all’autismo corale della città e dei grandi centri urbani per formare una “comunità provvisoria”. Questo paese è Radicondoli, fa 1.000 abitanti e da 32 anni ospita un festival che non solo trasforma i suoi paesaggi nella cornice ideale per i diversi appuntamenti festivalieri ma sperimenta nei suoi luoghi un nuovo rapporto con lo spazio comunitario. Un esperimento a piccola scala ma diffuso.

Per Radicondoli il decentramento urbano non è un limite geografico o culturale, al contrario è una scelta prospettica. Proprio in virtù della sua posizione laterale e dei suoi indici demografici contenuti può vantare un angolo di visione altro e per l’edizione 2018 si è potuto concedere veri e propri esercizi di prossemica: una semiologia dell’altro inteso come luogo. I suoi spazi fisici – boschi, pievi, piazze – sono stati spazi umani di relazione. Investire sui primi ha significato riflettere sui secondi e ridefinirli, ricalibrarli. Ripensare la terra e chi la abita.

radicondoli3Non si tratta di una riflessione isolata e occasionale, né qui né altrove. In questa estate 2018, dal Trentino alla Toscana, osserviamo come la questione dell’appartenenza a una comunità in termini di relazione a un luogo/all’altro sia sempre più trasversale e urgente. Sempre più presente alle Direzioni artistiche, soprattutto per chi vive la provincia e la periferia.

Dei giorni di permanenza a Radicondoli Festival due sono stati i momenti che meglio hanno espresso questa diversa attenzione e distanza/vicinanza agli altri.
Da una parte Poesie d’amore e di terra, il trekking poetico di/con Franco Arminio, nel prato delle Querce alle Canterie. Dall’altra il progetto speciale di Arianna Scommegna, Un albero di trenta piani alla Pieve vecchia della Madonna. Anche se nel primo caso il programma riportava come facoltativa la passeggiata per raggiungere il luogo della lettura, è stato proprio nel percorso da Piazza della Collegiata alle Canterie che si è compiuto questo nuovo esercizio di comunità. La condivisione di paesaggi, di sguardi e di sensibilità con lo stesso paesologo, il direttore artistico – Massimo Luconi – la gente del posto e quella venuta da fuori ha predisposto tutti ad un ascolto diverso verso il territorio e verso chi stava accanto. Si è tornati in qualche modo “alla domanda”.

Non è un caso che la lettura poetica di Franco Arminio abbia funzionato non solo quando il poeta ha letto alcuni versi tratti dai suoi Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere 2017) e Resteranno i canti (Bompiani 2018) ma soprattutto quando ha chiesto al pubblico, aspiranti paesologi e non, di recitare quegli stessi versi nella propria lingua. Una traduzione simultanea nel proprio dialetto. Si sa, tradurre un testo non è un esercizio di equivalenze. Ci sono scarti inevitabili. È questa la bellezza. Per tradurre serve una certa predisposizione, come durante la passeggiata. Non è una questione di significati, ma di significanti: bisogna entrare nella lingua dell’altro, sentirne il ritmo e poi sovrapporlo al proprio. È un’esperienza di vicinanza nella differenza, di alterità nella sovrapposizione. I versi del poeta irpino hanno così respirato nel dialetto friulano, triestino, sardo, bisaccese. Persino in inglese e olandese.

Arminio
Franco Arminio in Poesie d’amore e di terra

L’impegno ecologico, civile e umano che attraversa le liriche di Arminio è quello che ha animato tutto l’incontro. Dalla coralità dei dialetti si è passati alla coralità delle domande e delle risposte, e infine a quella del canto. Il pubblico è stato generoso e parte essenziale dello scambio, praticando forme concrete di distanza e intimità.

Anche Arianna Scommegna ha unito parola e canto nel suo recital Un albero di trenta piani ma seguendo un altro tipo di vocazione, più performativa. L’artista è ormai una delle presenze più assidue del festival e per questa edizione ha presentato un reading musicale ritagliato sul tema della Terra, sulla cura dell’ambiente e dell’altro, come il brano che dà il titolo all’appuntamento. In una cornice suggestiva – la facciata di una vecchia pieve – la Scommegna ha offerto una lettura emozionante sia per la scelta dei brani che per l’intensa interpretazione. Le parole e i versi di Dante, Neruda, Calvino, Arminio stesso, Mariangela Gualtieri, Adriano Celentano, Piero Ciampi, Rino Gaetano, Jean Giono accompagnati dalla fisarmonica di Giulia Bertasi hanno costruito un tappeto di voci molto eclettico e originale in cui ancora una volta la geografia e l’ecologia hanno assunto una dimensione comunitaria e condivisa. Ma al di là della qualità artistica di questo momento, il reading è stata un’occasione di forte socialità e relazione. L’attenzione e l’affetto che l’artista ha rivolto alla comunità di Radicondoli al termine dell’evento ne è stato un chiaro esempio.

Ovviamente Radicondoli Festival ha approfondito attraverso altri linguaggi e appuntamenti – 15 in tutto – la sua ampia riflessione sulla Terra nelle diverse declinazioni di luogo di appartenenza, di bene comune da conoscere e proteggere, di luogo di partenza/ritorno e di approdo/congedo. Dal 26 luglio al 05 agosto il programma è stato piuttosto ricco e valido. Massimo Luconi ha presentato in anteprima assoluta Preghiera per Cernobyl dall’opera della scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic, Ulderico Pesce ha narrato in Petrolio una storia di denuncia e di impegno civile ambientata in terra lucana, Davide Enia ha portato l’attenzione su Lampedusa in Scene da una naufragio, e molto altro ancora. Ma è proprio quello che non abbiamo trovato scritto in nessun pieghevole a fare la cifra di questo festival. La distribuzione itinerante degli spettacoli all’interno del paese e nei suoi dintorni ha moltiplicato le occasioni di socialità e di comunità. I passaggi in macchina o i percorsi a piedi per spostarsi da un luogo all’altro, i trekking poetici nei boschi sono stati veri momenti di incontro e scambio.

Come Franco Arminio pratica da anni il turismo della clemenza che consiste in un turismo paesologico, ovvero di scoperta dei paesi e dei suoi abitanti, allo stesso modo possiamo dire che Radicondoli ha praticato in questa edizione un festival della clemenza, un festival di (ri)scoperta della sua comunità provvisoria festivaliera.